Ok, adesso dirò una cosa
politicamente scorretta.
Una cosa per cui in
tanti (in tante) storceranno il naso.
Nel nuovo esecutivo non
c'è il ministero per le pari opportunità. E non se ne sente la mancanza.
Il punto è che la parità
è un diritto universale che deve essere difeso da tutti: dal ministro
dell'economia e da quello del lavoro, per esempio, che dovrebbero lavorare per
ridurre, fino ad eliminarlo, il gap salariale tra i sessi o contrastare il
fenomeno del mobbing. Oppure dal ministero della salute, che dovrebbe (come ha
fatto in passato) offrire adeguati servizi alle donne e alle loro sacrosante
scelte, con uno sguardo attento anche alle esigenze delle donne straniere, nel
rispetto della diversità culturale. Ma sarebbe anche il caso che il ministero
della pubblica amministrazione vigilasse sul funzionamento di quest'ultima e se
davvero le opportunità sono uguali, al suo interno, per uomini e donne.
Sono quelle che in
Europa chiamano politiche trasversali: certi obiettivi devono investire
l'azione del potere pubblico nel suo complesso, in tutte le sue
ramificazioni.
Si tratta del cosiddetto
"gender mainstreaming": portare la questione di genere - donne, ma
anche tutela dei diritti degli omosessuali - al centro dell'azione pubblica. Una strategia
per far sì che l'uguaglianza di genere non sia un canale collaterale,
accessorio, la cenerentola delle altre politiche, ma ne sia parte integrante.
Mettere, insomma, un
determinato pensiero o una determinata azione al centro della "corrente
principale", al centro cioè dei programmi e delle strategie della
politica, dell'amministrazione e dell'economia, rendendoli al contempo una
prassi ovvia e naturale.
Molti diranno: eh no, i
segnali, così come i simboli, servono eccome.
E invece non è così. Anzi, spesso
non fanno altro che reiterare, riproporre nel tempo vecchi modelli (la società
è così e non cambia, serve e servirà sempre un ministero per le donne).
"Non è un ministro che cambia la società - scrive
Rossi Marcelli su Internazionale - la parità di diritti non può essere ridotta a una materia di competenza
di qualcuno. Mi suona come se avessimo un ministro dell’onestà o un ministro
della democrazia".
In fondo è un fatto
culturale, dove ognuno di noi può (e deve) fare la propria parte.
Ad esempio i media
generalisti potrebbero cominciare a farsi un esame di coscienza. Già, perché
il Messaggero titola:
"Governo, tra il
blu elettrico e rosa shocking, le ministre si prendono la scena",
mentre
Repubblica opta per un più minimal ma non meno grave: "otto ministre, tutti i look", con annessa galleria fotografica.
Ecco,
è molto più utile abolire titoli come questi, che invocare imbalsamate
iniziative ministeriali.
Quello
che non deve mancare, dunque, non è il ministero, ma la volontà politica di
perseguire certi obiettivi.
In
molti (in molte) gridano allo scandalo.
Ma
davvero non si sente la mancanza di un Ministero
di serie B, spesso salottiero e che sa tanto di riserva indiana.
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