Apparentemente, niente verde. Al
suo posto un ovale blu e una scritta in giallo e bianco, 'Noi con Salvini'. Del
simbolo con cui la Lega in salsa mediterranea si presenterà alle regionali del
centro-sud del prossimo maggio, colpiscono due cose. La prima è la scomparsa
del colore storico del Carroccio, tratto distintivo ed elemento identitario.
Quello che ti faceva riconoscere il leghista nei talk show, immancabilmente
contraddistinto dall cravatta verde. Il verde rimane confinato al nord: troppo
caratterizzato per funzionare al meridione. Anche se - scherza Salvini -
mischiando il blu e il giallo viene fuori il verde.
La seconda è la personalizzazione
del partito e, con esso, del simbolo: il rampante Matteo, non si sottrae alla
tentazione tutta italica di constradistinguere il partito con il nome del
leader, tendenza oramai predominante, prevedibile lascito dell'era
berlusconiana. Ma questa del simbolo non è che la
rappresentazione plastica di una transizione di un partito che Matteo Salvini
sta trasformando in tempi da record. Di certo il giovane segretario è riuscito
a rianimare una formazione politica quasi scomparsa sotto le ceneri degli
scandali. Eppure ancora alcune cose non
tornano. Anzitutto non è chiaro in che misura quello che tutti chiamano
"l'altro Matteo" sia fenomeno mediatico e fenomeno politico. In altri
terimini, sono i media che stanno costruendo il fenomeno politico o è il
fenomeno politico che sta attirando l'attenzione dei media?
Sia come sia, la Lega che c'era
non c'è più. Ha un ben dire Salvini che il partito da lui guidato
"mantiene i suoi caratteri identitari". Ma quando parla (e lo fa
spesso, ospite fisso in tutte le trasmissioni) non racconta più di un territorio, di
una parte del paese e delle sue esigenze. Ma dà fiato alle trombe del
nazionalismo più spinto e dell'antieuropeismo più demagogico. E lo fa in chiave
italiana, cercando consensi tanto a Brescia quanto a Napoli. Ed ecco allora la
trasformazione della Lega: poco resta di quello che è stato il partito territoriale per eccellenza del panorama
politico del Bel Paese; per lungo tempo la sua capacità di radicamento sul territorio
ha fatto invidia ad altri soggetti della politica. Nel corso degli anni ’90 la
principale mission del “Carroccio prima maniera” era dare voce al tentativo
di autonomizzazione delle regioni settentrionali, al contempo canalizzando e
cavalcando la contestazione alla politica italiana, il disprezzo montante per i
partiti tradizionali e per le altrettanto tradizionali pratiche e consuetudini
politiche. Il tutto, condito con una buona dose di intolleranza sociale
(principalmente contro immigrati e - allora - meridionali). Riusciva così, la
Lega di Bossi, persino ad intercettare la domanda di rappresentanza prima
destinata ad altri partiti (basti pensare ai successi ottenuti sull’elettorato
di matrice operaia, bacino esclusivo – fino a quel momento – della sinistra).
Di tutto ciò, oggi, resta solo lo
spirito antipolitico e demagogico.
Ma la storia che inzia è un'altra.
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