mercoledì 15 giugno 2016

Brexit and the City


Uno degli aspetti più interessanti (e più complessi) del dibattito inglese sull'appartenenza all'Unione è la posizione della City - importantissimo comparto finanziario della capitale inglese - con riferimento al voto del 23 giugno.
Fino a qualche mese fa, la vulgata più diffusa voleva che broker e banchieri all'ombra di St. Paul fossero compatti a favore della separazione da Bruxelles: troppe regolamentazioni da parte dell'Unione, la finanza inglese ha bisogno di mano libera. E invece, nelle ultime settimane, si sta profilando qualcosa di molto differente. Anzitutto la City non è affatto compatta.
"Quasi il 49% dei professionisti della City sono certi di votare no alla Brexit, mentre un altro 24% è probabile che lo faccia", stando ai dati del Center for The Study of Financial Innovation riportati da Politico. Quasi 3 banchieri e operatori di borsa su 4 intendono rimanere con Bruxelles.
E non basta, si è anche prodotta una profonda spaccatura intergenerazionale: la nuova classe di operatori della finanza si schiera a favore della permanenza nell'Unione, mentre i senior preferirebbero uscirne. "Nella City più giovani sono molto più eurofili degli anziani: l'80% di coloro tra i 18 e i 30 anni voteranno a favore della appartenenza all'Unione".
Daniel Hodson - leggiamo sul WSJ - si è fatto un nome nella City di Londra negli anni '90. Oggi vorrebbe portarla fuori dall'Europa. "La nostre reali possibilità sono fuori dal Vecchio Continente: sono a New York, a Singapore, ad Hong Kong", dice l'ex banchiere, mentre sorseggia un bicchiere di vino rosso in una sala gotica tappezzata di arazzi raffiguranti cavalieri giostranti e oli su tela che descrivono l'incoronazione di Elisabetta II. A solo mezzo chilometro di distanza, Xavier Rolet, francese del London Stock Exchange PLC, è in pensiero per il futuro del distretto finanziario inglese. L'uscita dall'Unione "sarebbe un brutto colpo per la City", dice, nel suo ufficio moderno, affacciato sulla Cattedrale di St. Paul. Invece, i "grandees" come Mr Hodson - che hanno fatto carriera prima della crisi finanziaria - la vedono pressappoco così: l'Ue soffoca il distretto finanziario con il cosiddetto "red tape", che sta per eccessiva regolamentazione, divenendo al contempo un partner commerciale sempre meno vantaggioso. 
A prescindere dalle generazioni, la spaccatura è netta. Dal Financial Time leggo: "Una significativa mole del commercio finanziario attualmente gestite da Londra scompariranno se il Regno Unito lascia l'Unione", dice Alex Wilmot Sitwell, capo del settore europeo della Banca americana Merril Lynch. "non avverrà da un giorno all'altro, ma progressivamente verrà redistribuito in tutta l'Unione". I sostenitori della Brexit invece controbattono che la City continuerà a crescere se liberata dalle catene della burocrazia brussellese. "Fuori dall'Europa, non soffriremo di regolamentazione" dice Howard Shore, chairman dello Shore Capital Group, broker specializzato nelle piccole aziende. "Saremo in grado di liberalizzare la nostra economia, predisponendo regole e contesti adeguati a noi". Il Regno Unito, insomma, dovrebbe restaurare un light-touch regulation model per meglio adattarsi alle economie emergenti dell'Asia e del Medio Oriente. 
Le considerazioni che circolano in questi ambienti, poi, richiamano nel dibattito anche altri elementi.
Ad esempio il fatto che la City abbia, di fatto, beneficiato anche di qualcosa di cui non è parte: la creazione dell'Euro. L'unione monetaria, infatti, ha creato un mercato finanziario a valuta unica la cui capitale è Londra, anche se l'Inghilterra ha scelto di non far parte dell'area-Euro. In altri termini, la City ha prosperato fuori dall'Eurozona ma largamente grazie all'Eurozona.  
Inoltre, il Regno Unito potrebbe uscirsene proprio quando l'Ue sta imbastendo una riforma che potrebbe dare maggiori opportunità agli operatori della City: il cosiddetto "Capital Market Union" (qui), il mercato unico dei capitali, disegnato al fine di eliminare le rimanenti barriere nazionali alla libera circolazione dei capitali. 
Insomma, è proprio il caso di dire... we will see. 










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