giovedì 29 settembre 2011

L'Europa è finita. Anzi, no.


Prendiamo due osservatori, Enrico Letta e Lucio Caracciolo, due che analizzano e giudicano l'Europa in maniera totalmente diversa: ne esce un dialogo serrato, bello come solo può esserlo quando si parte da posizioni divergenti. Stiamo parlando del libro “L’Europa è finita?” (Add Editore, 2010) scritto a quattro mani dal noto politico italiano (vicesegretario del Partito Democratico e più volte Ministro della Repubblica tra il 1998 e il 2001) insieme al direttore dell’autorevole rivista italiana di geopolitica Limes
Nel libro, alternando auspici federalisti (invoca addirittura gli “Stati uniti d’Europa”) con un più prudente metodo funzionalista (dall’integrazione economica passeremo gradualmente a quella politica e “l’euro è l’anticamera dell’unione politica”), Letta testimonia passione e realismo, senza nascondersi problemi e difficoltà. E fa proposte concrete e mirate. Noi lo abbiamo incontrato e gli abbiamo rivolto alcune domande.
Perché questo libro?
Perché siamo stati entrambi sconvolti nel vedere, in quel pomeriggio di maggio, la piazza di Atene bruciare. Atene, come Roma, è il cuore della cultura da cui nasce l’Europa e l’idea che quel luogo si infiammasse sui temi europei ci ha profondamente colpiti. Abbiamo ritenuto opportuno offrire questo contributo per aiutare l’opinione pubblica italiana a non rimanere ferma e insensibile.
Oltre le differenze che persistono tra gli Stati membri, c'è un'idea condivisa di Europa? Qual è il “minimo comun denominatore”?
L’Europa è un’unione di minoranze. Non c’è nessuno che può prevaricare. Questa è la sua vera forza. E’ una bellissima definizione, data da un deputato della minoranza rumena al parlamento ungherese. Riflette il senso del rispetto e della tolleranza, tipici dell’approccio europeo.
In questi tempi di crisi in molti guardano indietro: e c'è chi accusa l'euro di essere stato un elemento distraente rispetto alla vera (e prioritaria) unificazione politica. Abbiamo davvero creato un mostro, ossia  una valuta senza unità politica?
No. Abbiamo costruito una cosa unica: il fatto che l’unione economica e monetaria preceda quella politica è certamente una stranezza ma è una stranezza che – finora –  ha funzionato. Oggi però, come sostengo nel libro, bisogna necessariamente intervenire chiudendo il cerchio.
Questa “bizzarria” quindi non sopravvive alla crisi?
L’unione politica è il prossimo passo da compiere e, in questo senso, la crisi è un'opportunità: perché ci spinge in modo formidabile – molto più che “in tempi normali” - proprio in questa direzione.
Ma senza un governo veramente concertato dell’economia - senza la gestione comune del “condominio europeo”, per citarla - la strada dell’Europa sarà sempre più incerta...
Serve urgentemente una legge finanziaria europea, che unifichi i diversi strumenti di politica economica dei paesi dell’Eurozona. Non si può più permettere ai singoli Stati di compiere scelte di bilancio completamente indipendenti le une dalle altre. Dobbiamo creare un quadro unitario pur salvaguardando margini di autonomia. E’ inoltre indispensabile prevedere la costituzione di un Fondo monetario europeo in grado di accompagnare i Paesi eventualmente in difficoltà.
Scelte coraggiose....
Sì, sono interventi in forte discontinuità con il passato ma si impongono, altrimenti l’euro non avrà più ragion d’essere.  A questi aggiungo anche la necessità di autorità comuni in grado di attuare una forma di vigilanza sui numeri, ad esempio attraverso l’unificazione degli istituti di statistica. La certezza dei dati è fondamentale per l’affidabilità delle scelte economiche. La tendenza dei governi di far dire alle cifre ciò che vogliono può avere conseguenze drammatiche, come ha dimostrato la crisi greca. Bisognerebbe anche intraprendere la strada di una condivisione, anche parziale, dei debiti pubblici.
Negli ultimi anni i grandi vertici hanno perso terreno. Di fronte all’inefficacia dimostrata dalle formule del G8 (troppo piccolo) e del G20 (troppo grande), è emerso il cosiddetto G2, l’asse Usa – Cina, unico summit veramente incisivo. Alcuni intravedono il G3, una sorta di triangolazione Europa-America-Cina nella gestione degli affari geopolitici e geoeconomici globali. Siamo pronti o sarà solo G2?
Noi dobbiamo tenere l’Europa unita e lavorare per il G3. Il G2 già di fatto esiste e quindi dobbiamo rapidamente affermare il nostro ruolo. I singoli Stati europei perdono terreno: per questo è importante costruire al più presto il polo europeo.
Nella sua biografia descrive un percorso umano e formativo all’insegna dell’Europa, di cui più volte si è definito “innamorato”. Quanta importanza ha avuto questa formazione?
L’Europa mi ha dato l’apertura, l’esperienza dell’incontro con altri e l’idea che le nostre identità sono multiple: io sono cittadino della mia città, Pisa, della mia regione, la Toscana, ma sono contemporaneamente cittadino italiano e cittadino d’Europa. La molteplicità di appartenenze è, ne sono convinto, la grandezza della nostra vita europea. 


Questa intervista è comparsa sul Corriere dell'Umbria il 29 novembre 2010 (il PDF)

Nessun commento:

Posta un commento