Gli aeroporti.
Ogni volta – e non importa
quanta sia l’abitudine ad attraversarli – ti stupiscono.
Per il loro essere sempre
uguali a se stessi.
Crocevia di visi, razze e
colori.
Business or pleasure, 24ore o zaini da campeggio, non importa: in aeroporto siamo tutti
individualità in movimento, singoli parte di un inafferrabile reticolo di
direzioni e mete.
Zone tutte speciali dove
si incontrano uomini e donne, dove si fondono fusi orari e dove il tempo è
sospeso.
Non esistono climi, la
temperatura è sempre quella, e non c’è altitudine o latitudine che faccia la
differenza. Puoi solo intuire, guardando oltre il vetro, cosa c’è fuori.
O accontentarti dei negozi
di souvenir, con la loro pretesa di riassumere intere nazioni.
Dove c’è – anche con
Schengen – l’incontro con l’autorità pubblica, fosse anche per un solo rapido
sguardo alla ID.
Luoghi dove impari,
volente o nolente, a perdere tempo. Dove l’attesa – non c’è tablet o smartphone
che regga – è sempre attesa, con la sua noia e con le sue speranze.
Tempo sospeso, in attesa
di riagganciare il tempo reale,
Il tempo della vita vera,
quella vissuta.
Perché – quando ci
spostiamo – è come se fossimo in stand by.
Pronti per una nuova
avventura
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