Ieri ho pubblicato l'allarme lanciato dai geologi sardi, che non più di due mesi fa segnalavano l'elevato rischio cui sono esposti i comuni dell'isola. Oggi è la volta del consiglio nazionale dei geologi che pubblica sul proprio sito un comunicato. Il titolo è più che eloquente: "Dalle parole ai fatti, nel 2013 non si può morire così".
Eccolo:
"Negli ultimi 60 anni gli eventi naturali a carattere disastroso
sono stati ben 3.362 e sono collegabili principalmente a fenomeni come
improvvise inondazioni, frane di tutti i tipi e di tutte le dimensioni, colate
di fango e detriti.
Con l’arrivo delle nuove piogge, al manifestarsi di nuove
alluvioni ci si ritrova a ribadire stessi concetti, ad inseguire emergenze, a
far la conta di danni e vittime.
Il territorio è la più grande infrastruttura, la sua
salvaguardia non può più aspettare, non è possibile prescindere dall’attuazione
di misure rigide e ragionate finalizzate a garantire ad ampio raggio adeguati
interventi nell’ottica di un concreto cambio di rotta. Solo quando la cultura
della emergenza sarà radicalmente sostituita da quella della prevenzione
potremo ritenerci soddisfatti. L’abusivismo e l’illegalità sono stati tra le
cause principali dello scempio del nostro territorio, con i conseguenti
conteggi di danni, distruzioni e lutti.
Proprio 50 anni orsono, il 3 febbraio 1963, lo Stato italiano
definì, attraverso la Legge n. 112, i criteri per esercitare la
professione di geologo. Al geologo venne attribuito per la prima volta un
corpus sistematico di conoscenze ed un profilo professionale specifico e
soprattutto esclusivo, che a partire da quella data sono stati riconosciuti
dall’ordinamento giuridico del nostro Paese.
È da allora che i geologi lanciano continui allarmi inascoltati. Vogliamo ripercorrere questi 50 anni riproponendo gli interventi fatti a salvaguardia di un’Italia troppe volte flagellata dal susseguirsi di eventi distruttivi, talvolta impudicamente definiti disastri naturali".
E snocciolano una serie di dichiarazioni alla stampa rilasciate nel corso degli anni, a testimonianza della loro costante attenzione alle condizioni del nostro paesaggio. "La Penisola è in pericolo. Non è uno slogan pubblicitario, è una realtà - scrivevano niente meno che nel 1971 - non siamo qui per fare delle polemiche sterili. Vogliamo solo ribadire la necessità di interventi organici, chiedere ai responsabili della cosa pubblica di adottare i provvedimenti e di creare gli strumenti legislativi idonei. L’appello di oggi diventerà l’atto di accusa di domani. Atto di accusa contro chi poteva provvedere e non ha provveduto. Siate sicuri che sarà un’accusa pesante. Pesante per le sciagure che sicuramente affliggeranno il nostro Paese e che, facili cassandre, possiamo già fin da ora prevedere”.
Da un'inchiesta del Consiglio dei Geologi condotta nel 1975 risultava già allora come
la pianificazione territoriale fosse la cenerentola delle politiche pubbliche, trascurata da leggi urbanistiche succedutesi nel tempo ed in grado solo di approvare piani di fabbricazione e piani regolatori del tutto ciechi rispetto alle specifiche realtà territoriali. E nel 1987 - in occasione della presentazione del libro bianco "Territorio-Ambiente" - i geologi parlavano di "una inquietante serie di inadempienze di Stato e Regioni di fronte ai rischi che si corrono in diverse zone. È difficile capire come le Regioni riescano ad organizzare e pianificare l’uso del territorio, visto che non hanno provveduto, nel 50 per cento dei casi, a rendere obbligatorie le indagini geologiche preventive ai piani urbanistici".
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