martedì 24 gennaio 2012


Sì, ma non troppo. Insomma, nì. Questo sembra essere – riassumendo – il risultato del referendum che ha chiamato i cittadini croati ad esprimersi sull’ingresso del loro paese nell’Unione europea. Se l'esito è confortante – ha votato sì il 66%  – a “raffreddare” quello che altrimenti sarebbe un successo pieno è il tasso di astensione: “l’affluenza del 43,6 per cento al referendum è la più bassa mai registrata per questo tipo di consultazioni su scala europea”, scrive Senol Selimovic su Sloboda Dalmacija.

Ma, a ben guardare, quello che esce dalle urne croate è un risultato che Bruxelles può vivere con sollievo: la crisi, si sa, ha limato non poco l’appeal della “casa comune europea”, accusata di ritardi e tentennamenti nella gestione delle difficoltà economico-finanziarie. Ecco allora che il sì, sia pur tiepido, è un buon risultato. “Votando a favore dell'adesione, i croati hanno dimostrato che l’Ue non era soltanto un progetto delle élite politiche, ma un obiettivo condiviso”, osserva Augustin Palokaj (Jutarnji List). L'ingresso è previsto per il primo luglio 2013, quando la Croazia diventerà ufficialmente il ventottesimo paese dell'Ue. 

Armati di sano realismo, insomma, i croati hanno deciso di aderire all’Ue, senza però sparare i fuochi d’artificio. Avrebbero stonato con il clima mesto della crisi. 

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