Sabato
mattina, l'ospedale è, al solito, affollato. I corridoi pullulano di varia
umanità. Aspetto l'ascensore che, anche esso al solito, non arriva mai.
Accanto
a me una coppia. Sorrisi di circostanza in nome della comune attesa. Lei è
incinta, come è chiaro dal grande ventre arrotondato e dalla tipica
espressione, con quel misto di orgoglio e apprensione.
L’inconfondibile suono annuncia l'arrivo dell’ascensore.
Dentro ci sono tre ragazzi di colore. Della coppia, l’uomo, passo deciso, fa
per entrare. Lei no. Dice no. Determinata e a voce alta. Quasi stizzita, nell’esprimere
il suo rifiuto sprezzante per coloro che considera altro da sé. Sceglie di aspettare un altro ascensore, forse per
lei più rassicurante.
È spaventosamente impressionante vedere come oggi – nel mondo ultraglobalizzato
del 2012 – ci sia ancora qualcuno preda di un istinto tanto basso quanto
probabilmente inconscio. È tremendamente inquietante vedere una giovane donna
spaventarsi per qualcosa di così naturale come il colore della pelle.
Perché
nessuno, ma proprio nessuno, dovrebbe temere quelle differenze che ci rendono così uguali.
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