Quando due Premi Nobel per
la Pace si incontrano, non può che essere un bello spettacolo. E proprio un bello
spettacolo – carico di speranze e di buoni significati – è andando in scena in
queste ore in Birmania, dove una minuta e coraggiosa signora si è incontrata
con un possente e determinato uomo di colore. Aung San Suu Kyi e Barack Obama. L’una, leader dell’opposizione birmana alla
dittatura, per anni prigioniera, oggi parlamentare; l’altro, neo-rieletto
presidente degli Stati Uniti.
Il luogo dell’incontro è
più che mai simbolico, quella "casa sul lago" a Rangoon, prigione di
Aung San Suu Kyi per ben quindici anni.
Barack Obama, ancora una
volta, fa la storia: è il primo presidente americano a visitare il paese
asiatico. Lo fa «per sostenere il
cammino della Birmania verso la democrazia». E lo fa anche per lei: «un'icona della lotta per la democrazia, che ha ispirato
tante persone e non solo nel suo paese: mi ci metto anch'io», spiega Obama alla folla di giornalisti e di comuni
cittadini che li ascoltano.
Il paese,
governato dai militari fino agli inizi del 2011, attraversa ora una delicata fase
di transizione.
Molte le riforme compiute, ma molta è anche la strada che resta ancora da
percorrere. Aung San Suu Kyi è cauta:
«ci attendono ancora anni difficili. In questo
momento è importante non essere ingannati dal miraggio del successo».
Entrambi premi Nobel per
la pace, dicevamo. Lei nel 1991, “ per la sua battaglia non violenta per la democrazia e i diritti
umani”, si legge nella motivazione ufficiale. Lui nel 2009, al termine del suo
primo anno di presidenza, “per i suoi straordinari sforzi per rafforzare la
diplomazia internazionale e al cooperazioe tra i popoli”.
L’abbraccio finale tra i
due è intenso, una di quelle immagini destinate a durare.
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