«Ma oggi, a distanza di vari decenni, posso dire che molto devo
a quei libri, anzi, alla semplice visione di quei dorsi. Inoltre, ho il
sospetto che questa acuita sensibilità per i dorsi dei libri abbia avuto una
parte anche nella mia attività editoriale. Ho sempre pensato che vivere
circondati dai dorsi di certi libri fosse, in certi casi, poco meno importante
che leggerli. Nessun grande editore, per quanto mi risulta, ha mai pubblicato
libri con brutti dorsi, come se si trattasse di un punto decisivo, dove non è
ammesso cedere».
martedì 5 febbraio 2013
Dorsi
E poi succede che – in una
mattina di febbraio – la tua Università conferisce la laurea honoris causa
in Lingue e Letterature moderne a Roberto Calasso. Allora ti torna in mente
quando – a Liceo – leggevi della Grecia antica e dei suoi miti che si intrecciano
con la storia, con il pensiero, con la filosofia e con la letteratura. Ripensi,
poi, a tutti i libri che hai letto e leggi ancora pubblicati per Adelphi, prestigiosa casa editrice diretta proprio da Calasso. E
allora, ovvio, decidi di andare ad ascoltare, per non perderti quella che ha
tutta l’aria di essere una più che promettente lectio doctoralis. Tra Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi, tra
Baudelaire e T.S. Eliot, un passaggio in particolare mi ha colpito
dell’intervento dello scrittore: quello sui dorsi dei libri. Sì, sui dorsi dei
libri. E, cioè, su quello che è – in effetti – il primo punto di contatto tra
il potenziale lettore e il testo, contatto dal quale può nascere interesse,
allo stesso modo dello sguardo che corre tra due che si scoprono innamorati.
«Da bambino, fino ai dodici anni, usavo fare i compiti in una lunga stanza che
aveva alte librerie su due pareti. Poggiavo sul tavolo il mio sussidiario e,
alzando lo sguardo, vedevo libri di grande formato – erano spesso degli in-folio
– sui cui dorsi si leggevano nomi misteriosi e titoli generalmente in latino»,
ricorda Calasso. «Ma quei nomi, che soltanto su quegli antichi dorsi, di
pergamena o di pelle, potevo incontrare, si incunearono nella mia mente,
accanto ad altri non meno misteriosi: Azo, Alciatus, Accursius, Albericus de
Rosate, Donnellus, Cuiacius, Fulgosius, Vossius. I sentimenti del bambino verso
quei testimoni muti di certi tediosi pomeriggi erano insieme di curiosità e di
insofferenza. Non era facile immaginare che cosa si celasse di attraente in
quelle lunghe colonne di stampa, spesso impeccabili e sempre indecifrabili».
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