Forse il senso della
giornata storica di ieri sta in una parola. In quel “Buonasera”, così umile, pronunciato con quella voce morbida
e accogliente.
Primo Papa latino
americano. Primo outsider, che
viene dalla “fine del mondo”, come l’ha definita lui con bonario sarcasmo. Usa
il “noi” di fronte alla piazza stracolma, un noi che sa di collegialità,
pluralità e condivisione. Lontano dalla Curia – nonostante le alte credenziali
al Conclave – e votato più all’azione che alla dottrina. Conservatore in senso
strettamente teologico, ma progressista nelle maniere, nei modi e nelle
intenzioni.
Primo a chiamarsi
Francesco. Primo a scegliere un nome tanto denso di significato, di un significato universale, impregnato di
valori inclusivi e profondamente umani, che travalicano – non me ne vogliate –
i confini della fede. Per chi vive in Umbria, poi, quel nome è così evocativo,
quasi intimo e familiare, perché sperimentato costantemente nei luoghi che
furono del Santo.
Colpisce, poi, la
dichiarazione di Barack Obama, che – nel salutare l’avvento del nuovo Pontefice
– ha usato un termine che è tutto un programma: “Americas”. Riferendosi alle Americhe, tutte. «In qualità di
primo Pontefice latino americano – ha dichiarato Obama – la sua elezione
testimonia la forza e la vitalità di una regione che sta esercitando sempre
maggiore influenza nel nostro pianeta, e insieme a milioni di americani
ispanici, noi statunitensi condividiamo la gioia di questa giornata storica».
Perché, l’altra bella notizia, dunque, è che l’America latina non è più il
cortile di casa degli Stati Uniti. E sempre meno lo sarà, anche grazie a questo
Papa.
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