giovedì 14 marzo 2013

Buonasera


Forse il senso della giornata storica di ieri sta in una parola. In quel “Buonasera”, così umile, pronunciato con quella voce morbida e accogliente.
Primo Papa latino americano. Primo outsider, che viene dalla “fine del mondo”, come l’ha definita lui con bonario sarcasmo. Usa il “noi” di fronte alla piazza stracolma, un noi che sa di collegialità, pluralità e condivisione. Lontano dalla Curia – nonostante le alte credenziali al Conclave – e votato più all’azione che alla dottrina. Conservatore in senso strettamente teologico, ma progressista nelle maniere, nei modi e nelle intenzioni. 
Primo a chiamarsi Francesco. Primo a scegliere un nome tanto denso di significato, di un significato universale, impregnato di valori inclusivi e profondamente umani, che travalicano – non me ne vogliate – i confini della fede. Per chi vive in Umbria, poi, quel nome è così evocativo, quasi intimo e familiare, perché sperimentato costantemente nei luoghi che furono del Santo.
Colpisce, poi, la dichiarazione di Barack Obama, che – nel salutare l’avvento del nuovo Pontefice – ha usato un termine che è tutto un programma: “Americas”. Riferendosi alle Americhe, tutte. «In qualità di primo Pontefice latino americano – ha dichiarato Obama – la sua elezione testimonia la forza e la vitalità di una regione che sta esercitando sempre maggiore influenza nel nostro pianeta, e insieme a milioni di americani ispanici, noi statunitensi condividiamo la gioia di questa giornata storica». Perché, l’altra bella notizia, dunque, è che l’America latina non è più il cortile di casa degli Stati Uniti. E sempre meno lo sarà, anche grazie a questo Papa. 

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