L'Italia è un paese di
commentatori seriali. Quale occasione migliore per sfogare questa atavica
smania se non l'Oscar vinto da Paolo Sorrentino? Tutti scatenati: i bastian
contrari del "no, il film fa schifo", gli anticonformisti del
"nì, insomma, avrei voluto di meglio", i commentatori da titolo
(senza aver visto il film, si sa, ci si deve accontentare). E infine i
cinepolitici, quelli che hanno attribuito alla statuetta - messia dorato - un
valore salvifico, in grado di risollevare miracolosamente le sorti del
paese.
Ecco, in tutto questo
c'è anche stato chi ha trovato il tempo di condannare il povero Sorrentino, reo
di aver citato dal palco del Dolby Theatre niente meno che Diego
Armando Maradona.
Apriti cielo. Strali da
tutte le parti per "l'inopportunità di aver citato l'evasore degli
evasori", nonché il re degli eccessi. Che l'evasione fiscale sia il più
odioso dei reati non ci piove. Sacrosanto, come sacrosanto deve essere il
giusto perseguimento di questa grave violazione della legge.
Ma è un altro discorso.
E andrebbe fatto in un altro contesto.
Che il
"mito"calcistico di Maradona abbia influenzato il giovane Sorrentino
che - racconta - andava allo stadio con il padre; che la figura di Maradona,
probabilmente con le sue contraddizioni, con le sue macroscopiche imperfezioni,
nel cortocircuito tra vita privata e vita pubblica di sportivo idolatrato, abbia potuto insinuarsi nel panorama, nell'immaginario del regista è lecito.
Sorrentino non è un
politico né un uomo delle istituzioni: è un regista, e come tale
rappresenta solo se stesso e la propria arte.
Se lui da giovane
ragazzo napoletano è stato in qualche modo influenzato, insieme ad altre, da
questa figura dobbiamo lasciarglielo dire.
Per fortuna, stampa e tv
non hanno ripreso questo pseudo dibattito che ha proliferato sul web. Almeno
per una volta, insomma, è stato evitato l'appiattimento dei media mainstream
sui social. «Sarebbe bastato un minimo di pensiero ieri, per capire che,
indicando le fonti della sua ispirazione, Sorrentino parlava di Maradona come
artista del calcio, atleta ineguagliabile, realizzatore dei desideri di un
popolo e blasfemo del potere
E allo stesso tempo in
quelle parole (la parola sfida le correnti e la gravità) non c’era un giudizio
morale, lo si sospendeva perché non è sempre necessario fare i Savonarola»,
scrive Vittorio Zambardino su Wired.
Insomma, l’indignazione
a buon mercato non paga, soprattutto quando è fuori posto. È proprio vero, il moralismo a tutti i costi e in
tutti i contesti finisce con l'essere un giacobinismo davvero ridicolo. Invece
che condannare le personali dediche di Sorrentino, chiedete lo scontrino
fiscale quando comprate.
Il
politicamente corretto non è un passe-partout. Ma va usato, come dicono le
ricette, quanto basta.
O, detto in altri termini, cum grano salis.
Ps. A proposito, il film a me è piaciuto.
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