Che la comunicazione - soprattutto se virale, velocissima come quella dei social media - faccia paura ai governi che hanno qualcosa da nascondere, non è una novità. Sempre nuova però è la rabbia, anche a chilometri di distanza e conto terzi, per questa grave violazione di libertà. È avvenuto ieri notte, in Turchia. Poco dopo la mezzanotte il governo ha bloccato Twitter, proibendone l'accesso. La mossa era stata minacciata poche ore prima (leggi l'articolo Reuters).
Sale la tensione, in vista delle elezioni amministrative del 30 marzo, appuntamento rischioso per il partito di Erdogan, dopo il pesante scandalo sulla corruzione e la tensione accumulata a partire dai fatti di Gezi Park. I rumors - ancora da confermare - parlano anche di un ulteriore scandalo che coinvolgerebbe personalmente Erdogan, che pare avrebbe usufruito del Nikāḥ al-Mutʿah, una sorta di matrimonio breve, a termine, per una relazione sessuale.
Ecco che scatta, allora, la stretta sui media. La ragione? Duplice. Da una parte si tratta di un tentativo (destinato al fallimento) di depotenziare la circolazione massiccia delle notizie - in arrivo in queste ore - su alcuni sviluppi sull'inchiesta per corruzione che ha coinvolto esponenti governativi. Dall'altra, l'obiettivo è quello di alzare la tensione, scatenando nuove proteste e nuovi scontri. Già, perché così Erdogan può, come è avvenuto in passato, presentarsi come tutore dell'ordine contro i cosiddetti "terroristi", in realtà manifestanti ordinari. Guadagnando, ebbene sì, in consensi. Questo il gioco pericoloso del primo ministro turco. E per questo molti, anche dall'opposizione, invitano i cittadini a non scendere in piazza. A non cadere nella trappola.
(Grazie a Yurda, che mi fornisce sempre tante informazioni
- Thanks to Yurda, my turkish friend always providing me with a lot of informations).
Intanto la rete si scatena in una ironia iconografica molto amara:
Nessun commento:
Posta un commento