Le immagini e i video di
Matteo Renzi nelle scuole di Treviso, prima, di Siracusa poi, hanno un ché di
inquietante. Non tanto perché sia realistico pensare - ovviamente - ad un vero
profilo di idolatria o di culto della personalità. Su questo si può fare della
più che legittima ironia, suggerita dal comportamento del Primo ministro,
ostentatamente adulatore e forzatamente imbonitore. Il premier amicone, che
manda in bordo di giuggiole i piccoli.
«L’adulazione e il
servilismo spacciati per entusiasmo genuino sono valori profondamente sentiti
nel nostro Paese - scrive Massimo Gramellini su La Stampa - perciò meriterebbero di essere sviluppati in proprio e non
per interposto bambino ».
Ironia e questioni di stile a parte, il
problema è un altro. Il problema è che queste sono immagini di propaganda.
Sono immagini, cioè, da
campagna elettorale.
Matteo Renzi è oggi il
presidente del consiglio dei ministri di un governo - il terzo non eletto dai
cittadini italiani, che fa promesse mirabolanti e che si autoproclama governo
del fare - ma si comporta, di fatto, come se fosse prossimo alle elezioni, con
l'impellenza di raggranellare consenso qua e là. In cerca, probabilmente,
di quella legittimazione popolare che per il momento non ha avuto (per sua scelta).
Di solito prima si ottiene il consenso, poi si governa. In questo caso è il contrario, si governa e, nel mentre, si ottiene il consenso.
Di solito prima si ottiene il consenso, poi si governa. In questo caso è il contrario, si governa e, nel mentre, si ottiene il consenso.
In queste
scene, dunque, c'è la dissociazione della corrente attualità politica nostrana:
da una parte si fa, si è al governo e si lavora, con un occhio, però, allo
scenario sempre aperto delle urne.
È il pericoloso cortocircuito tra azione di governo e campagna elettorale.
Il vero disturbo bipolare della politica italiana.
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