La prima e la seconda guerra mondiale, la grande crisi del ’29. Ma ancora, lo spettro dei fascismi, l’invenzione del welfare state, le personalità di Reagan e della Tatcher. Per capire questo e molto altro ancora, c’è un testo fondamentale, vera e propria stella polare per la comprensione dei complessi meccanismi sociali e politici del novecento. Si tratta de “Il Secolo breve”, scritto nel 1994 da Eric Hobsbawm. Distinto signore inglese che oggi ci ha lasciati, all’età di 95 anni. Volume destinato a durare, a partire dal titolo, che rappresenta, ancora oggi, uno dei concetti chiave della storia contemporanea. Secondo Hobsbawm, il ‘900 comincia, dal punto di vista storico, più tardi rispetto al suo inizio cronologico. Prende il via dentro le umide trincee del primo conflitto mondiale, vero turning point rispetto agli anni precedenti, ultima illusoria appendice della belle époque ottocentesca. Primo conflitto di massa, meccanizzato ed ideologizzato, è proprio la grande guerra ad aprire ad un secolo di lacerazioni e rivoluzioni, di speranze e di atrocità. Ed è sempre il senso storico a suggerirci che – spiega Hobsbawm – il 900 finisce tra il 1989 e il 1991, con l’implosione del blocco sovietico. Da marxista (onesto intellettualmente), Hobsbawm non insegue comode spiegazioni: la resa del’Urss non avvenne (solo) a causa della supremazia militare e tecnologica degli Stati uniti, ma soprattutto per l’incapacità del regime sovietico di reggere la sfida del benessere. La “cortina di ferro” aveva, infatti, finito per separare non solo due ideologie ma due stili di vita, troppo differenti per poter esistere entrambi. Ma – anche a fronte del violento fallimento dell’esperimento pratico – Hobsbawm non abbandona mai, in fondo, la fiducia per quelle idee che, ne era convinto, avrebbero potuto cambiare il corso delle cose. Il mondo che ci ha raccontato lo ha vissuto, eccome, Hobsbawm, cosmopolita e poliglotta. Nasce nel 1917 ad Alessandria d’Egitto da genitori ebrei. Cresce tra Vienna e Berlino. Quando l’Europa continentale vive la tragica ascesa di Hitler si trasferisce in Inghilterra. Studia a Cambridge e successivamente diviene professore al Birkbeck College di Londra. Proverbiali la sua lucidità e la sua capacità di raccontare e di concettualizzare la storia. Capace di farci appassionare ad essa. E di farci capire che, in fondo, il nostro presente non è altro che la storia di domani.
lunedì 1 ottobre 2012
La lunga tradizione del secolo breve
La prima e la seconda guerra mondiale, la grande crisi del ’29. Ma ancora, lo spettro dei fascismi, l’invenzione del welfare state, le personalità di Reagan e della Tatcher. Per capire questo e molto altro ancora, c’è un testo fondamentale, vera e propria stella polare per la comprensione dei complessi meccanismi sociali e politici del novecento. Si tratta de “Il Secolo breve”, scritto nel 1994 da Eric Hobsbawm. Distinto signore inglese che oggi ci ha lasciati, all’età di 95 anni. Volume destinato a durare, a partire dal titolo, che rappresenta, ancora oggi, uno dei concetti chiave della storia contemporanea. Secondo Hobsbawm, il ‘900 comincia, dal punto di vista storico, più tardi rispetto al suo inizio cronologico. Prende il via dentro le umide trincee del primo conflitto mondiale, vero turning point rispetto agli anni precedenti, ultima illusoria appendice della belle époque ottocentesca. Primo conflitto di massa, meccanizzato ed ideologizzato, è proprio la grande guerra ad aprire ad un secolo di lacerazioni e rivoluzioni, di speranze e di atrocità. Ed è sempre il senso storico a suggerirci che – spiega Hobsbawm – il 900 finisce tra il 1989 e il 1991, con l’implosione del blocco sovietico. Da marxista (onesto intellettualmente), Hobsbawm non insegue comode spiegazioni: la resa del’Urss non avvenne (solo) a causa della supremazia militare e tecnologica degli Stati uniti, ma soprattutto per l’incapacità del regime sovietico di reggere la sfida del benessere. La “cortina di ferro” aveva, infatti, finito per separare non solo due ideologie ma due stili di vita, troppo differenti per poter esistere entrambi. Ma – anche a fronte del violento fallimento dell’esperimento pratico – Hobsbawm non abbandona mai, in fondo, la fiducia per quelle idee che, ne era convinto, avrebbero potuto cambiare il corso delle cose. Il mondo che ci ha raccontato lo ha vissuto, eccome, Hobsbawm, cosmopolita e poliglotta. Nasce nel 1917 ad Alessandria d’Egitto da genitori ebrei. Cresce tra Vienna e Berlino. Quando l’Europa continentale vive la tragica ascesa di Hitler si trasferisce in Inghilterra. Studia a Cambridge e successivamente diviene professore al Birkbeck College di Londra. Proverbiali la sua lucidità e la sua capacità di raccontare e di concettualizzare la storia. Capace di farci appassionare ad essa. E di farci capire che, in fondo, il nostro presente non è altro che la storia di domani.
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