Finalmente
l’Ecofin svoltosi oggi a Lussemburgo ha dato il via libera all’introduzione
della tassa sulle transazioni finanziarie, nota ai più come Tobin Tax. Abbandonata la strada
dell’unanimità – alcuni paesi, in primis la Gran Bretagna si sono opposti da subito – si è
deciso di percorrere quella della cosiddetta “cooperazione rafforzata”: undici
paesi dell’Ue – tra cui l’Italia – adotteranno la Tobin Tax, sulla base di un
draft che verrà presentato, sempre all’Ecofin, il prossimo novembre. Tanti i
benefici di questa misura. Anzitutto permetterà di reperire nuove preziose
risorse per il bilancio europeo. Ma poi scoraggerà le operazioni speculative degli squali
della finanza,
cominciando così a far pagare coloro che sono stati in gran parte responsabili
dell'avvio della crisi. Oltretutto – nel caso dell’Italia – sarà possibile alleggerire
il carico fiscale sul lavoro e sull’impresa, andando a tassare le rendite finanziarie. Un modo, in
altre parole, per fare della politica fiscale uno strumento per promuovere
maggiore giustizia sociale e per incentivare lo sviluppo.
Ma che
cosa è esattamente la Tobin Tax? Andiamo a spulciare nei libri di economia per cercare di
saperne di più. Innanzitutto partiamo dal nome. Tobin, come James Tobin, ossia l’economista e premio Nobel
(professore anche di Mario Monti, eh sì, come è piccolo il mondo) che l’ha
inventata. Niente meno che 40 anni fa (il primo studio fu elaborato nel 1972).
Già perché la “tassa Tobin” è, oramai, un vecchio progetto, mai realizzato. Ma
sempre valido, anzi validissimo. Trattasi, in sostanza, di una tassa da
applicare alle transazioni finanziarie internazionali, con l’obiettivo di frenare la
speculazione e stabilizzare i mercati, raccogliendo al contempo nuove risorse utili
– secondo la versione originaria – ad obiettivi globali (riduzione del divario
tra i paesi ricchi e quelli poveri), oggi preziose soprattutto per ridare
ossigeno ai debiti sovrani dei paesi in affanno.
La tassa –
la cui aliquota di riferimento è compresa tra lo 0,1 e l’1 % – andrebbe a colpire
soprattutto la speculazione: scattando implacabile ad ogni transazione, renderebbe poco
convenienti, in particolar modo, le compravendite di breve periodo (comprare e
vendere a piccoli intervalli di tempo per approfittare degli spostamenti del
mercato, significherebbe vedersi applicare l’aliquota ad ogni passaggio).
Valido deterrente, dunque, la Tobin Tax annullerebbe l’appetibilità di simili
operazioni per i falchi della finanza.
E se
pensiamo che è stata proprio la finanza globale più spregiudicata ad innescare
la crisi di cui ancora oggi stiamo pagando le (amare) conseguenze, be’, allora
la Tobin tax diviene subito, agli occhi dei più, la “tassa buona” per eccellenza. Capace di rivalersi
– una volta per tutte – sui veri responsabili del virus che ha drammaticamente
contagiato l’economia reale. Cavallo di battaglia del movimento No Global, la tassa di Tobin era
temporaneamente tornata in auge dieci anni fa (ricordate gli adesivi della
campagna promossa dall’associazione francese Attac, con lo squalo – munito di
ventiquattro ore – il cui feroce morso veniva fermato da una semplice matita,
quella per la raccolta firme pro aliquota?), senza essere di fatto mai attuata.
Le pressioni esercitate del mondo finanziario, riverito (anche dalla politica)
e lasciato a mani libere, hanno sempre avuto la meglio.
Oggi, a
quanto pare, qualcosa sta cambiando.
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