martedì 9 ottobre 2012

Renzi, c’è chi dice no



Mi aspettavo Renzi fosse un imbonitore. Sapevo, avendolo visto tante volte in tv, dei suoi toni a forti tinte populistiche. Avevo letto dei suoi one man show. Ma la realtà, come spesso accade, è andata oltre le aspettative. Ed è così che mi sono ritrovata immersa in una specie di avanspettacolo. Niente contro la persona, s’intenda. Ognuno ha il diritto di proporre la propria ricetta per il futuro dell’Italia. Ma il dato, qui, è politico. E di questo si può, anzi, si deve discutere. Ma tutto fuorché discussione c’era in quel teatro gremito di persone, per le quali la c aspirata di Renzi fungeva da elemento consolatore, mero sfogo per quel malcontento covato per molto tempo. Ma oltre a ciò, poco. Non che tutte le proposte di Renzi, si badi, siano errate. Chi sarebbe contrario al rinnovamento, alla volontà di ricambiare una classe dirigente da troppo tempo inamovibile? Chi non vorrebbe, ancora, la modernizzazione del paese? Ma l’incontro – dal forte sapore di marketing e artificio – è un format ripetuto secondo copione in lungo ed in largo per l’Italia. Mai una specificità, mai un riferimento alle problematiche di un territorio. E, quel che è peggio, la totale assenza di ogni forma di dibattito. Bordate anticasta, strizzate d’occhio ai bisogni (sacrosanti) della gente, intervallati con video ruffiani tratti dal (per altro bellissimo) “Non ci resta che piangere”, dalle imitazioni di Crozza e, per parlare di finanza, dalle gag di Cettola Qualunque. Basta così poco agli italiani? E la visione politica? Si strizza l’occhio di qua e di là, per arraffare più voti possibile. E la coerenza?
Ci risiamo, poi, con il temibilissimo mito dell’uomo della provvidenza, ennesimo demiurgo che “scende in campo” a salvare i destini di questo martoriato paese. Ancora una volta – come se dall’esperienza non fosse possibile imparare – gli italiani si infatuano di un personaggio, più che di una persona. Di un vocabolario, più che delle idee. Di un modo di fare, più che delle competenze.
E’ la “sempiterna figura della missione redentrice di un salvatore” scriveva Zagrebelsky nel 2010 (non su Renzi, ben inteso) a proposito della attitudine tutta italiana ad affidarsi al “lui” di turno. Il Lui sul quale riporre tutta la fiducia, senza andare troppo per il sottile. Senza accertarsi delle competenze, senza richiedere certe preziose caratteristiche. E dopo Grillo, il comico che fa politica, abbiamo il politico – fino a prova contraria Renzi è il sindaco di Firenze – che fa il comico, che rende i suoi comizi spettacoli di cabaret. Spettacoli che si concludono con l’immancabile metafora calcistica.

Che, ahinoi, ricorda tanto qualcuno...

Ps: chi scrive, come non si riconosce in Renzi, non si riconosce, sottolineato più volte il non, nella nomenclatura “tradizionale” del PD. Quello che è stato scritto è una semplice disamina di uno stile politico. Per la totale chiarezza: sostengo Sandro Gozi. 

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