Mi aspettavo
Renzi fosse un imbonitore. Sapevo, avendolo visto tante volte in tv, dei suoi
toni a forti tinte populistiche. Avevo letto dei suoi one man show. Ma la realtà, come spesso accade, è
andata oltre le aspettative. Ed è così che mi sono ritrovata immersa in una
specie di avanspettacolo. Niente contro la persona, s’intenda. Ognuno ha il
diritto di proporre la propria ricetta per il futuro dell’Italia. Ma il dato,
qui, è politico. E di questo si può, anzi, si deve discutere. Ma tutto fuorché
discussione c’era in quel teatro gremito di persone, per le quali la c aspirata
di Renzi fungeva da elemento consolatore, mero sfogo per quel malcontento
covato per molto tempo. Ma oltre a ciò, poco. Non che tutte le proposte di
Renzi, si badi, siano errate. Chi sarebbe contrario al rinnovamento, alla
volontà di ricambiare una classe dirigente da troppo tempo inamovibile? Chi non
vorrebbe, ancora, la modernizzazione del paese? Ma l’incontro – dal forte
sapore di marketing e artificio – è un format ripetuto secondo copione in lungo
ed in largo per l’Italia. Mai una specificità, mai un riferimento alle
problematiche di un territorio. E, quel che è peggio, la totale assenza di ogni forma di
dibattito. Bordate anticasta, strizzate d’occhio ai bisogni (sacrosanti) della
gente, intervallati con video ruffiani tratti dal (per altro bellissimo) “Non
ci resta che piangere”, dalle imitazioni di Crozza e, per parlare di finanza,
dalle gag di Cettola Qualunque. Basta così poco agli italiani? E la visione
politica? Si strizza l’occhio di qua e di là, per arraffare più voti possibile.
E la coerenza?
Ci risiamo,
poi, con il temibilissimo mito dell’uomo della provvidenza, ennesimo demiurgo che “scende in
campo” a salvare i destini di questo martoriato paese. Ancora una volta – come
se dall’esperienza non fosse possibile imparare – gli italiani si infatuano di
un personaggio, più che di una persona. Di un vocabolario, più che delle idee.
Di un modo di fare, più che delle competenze.
E’ la “sempiterna
figura della missione redentrice di un salvatore” scriveva Zagrebelsky nel 2010 (non
su Renzi, ben inteso) a proposito della attitudine tutta italiana ad affidarsi
al “lui” di turno. Il Lui sul quale riporre tutta la fiducia, senza andare
troppo per il sottile. Senza accertarsi delle competenze, senza richiedere
certe preziose caratteristiche. E dopo
Grillo, il comico che fa politica, abbiamo il politico – fino a prova contraria
Renzi è il sindaco di Firenze – che fa il comico, che rende i suoi comizi
spettacoli di cabaret. Spettacoli che si concludono
con l’immancabile metafora calcistica.
Che, ahinoi,
ricorda tanto qualcuno...
Ps: chi
scrive, come non si riconosce in Renzi, non si riconosce, sottolineato più
volte il non, nella nomenclatura “tradizionale” del PD. Quello che è stato
scritto è una semplice disamina di uno stile politico. Per la totale chiarezza:
sostengo Sandro Gozi.
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