sabato 31 agosto 2013

Odi et amo

L'ultima copertina del Time fotografa bene quello che deve essere lo stato d'animo di Mr. President
(photograph by Jonathan Ernst/Reuters)
In queste ore di incertezze e indecisioni, infarcite di quel lessico ripetitivo e monotono, che fa tanto tensione internazionale (crimine, colpo e intervento le parole più usate), il caso Siria riapre, puntuale, il vaso di Pandora di valutazioni - più o meno accurate - sull'interventismo americano. Bello il pezzo di Vittorio Zucconi su Repubblica, che descrive in termini asciutti il paradosso storico di una nazione e, ora, anche di un Presidente. Il paradosso di un paese che, nato da un gruppo di padri pellegrini che fuggivano dal vischiosissimo vecchio continente e dai tutti i suoi lacci e lacciuoli, si impantana sempre in guerre combattute lontano, molto lontano. E il paradosso di un Presidente, che solo pochi giorni fa celebrava il cinquantesimo anno dalla storica giornata di "I have a dream", di un sogno di pacifismo ed eguaglianza, e che oggi si trova, controvoglia, alle prese con una crisi internazionale dalla cui gestione - così dicono - dipende la credibilità di un governo e di un paese.
«Anche in Siria - scrive Zucconi - come nei canali di Fiandra, come tra le dune della Normandia, come nelle paludi Indocinesi, come nei deserti d'Arabia, come in dozzine di altri angoli del mondo spesso sconosciuti anche ai soldati mandati a morire per loro, l'America non può sfuggire al destino di essere America». Perché? Facile: l'interventismo, secondo molti, non sarebbe altro che il rovescio della medaglia dell'imperialismo economico e commerciale nordamericano. E, all'uopo, gli Usa avrebbero non solo colto al volo le occasioni di intervento, ma anche creato le occasioni per l'intervento manu militari. Queste, in breve, le tesi di certo antiamericanismo tanto in voga da noi. Ma queste spiegazioni, impastate di dietrologia e infarcite di complottismo, non spiegano niente. Certo, la storia Usa è fatta anche di errori e di false provocazioni (Zucconi cita l'esplosione del Maine a l'Avana e l'incidente americano nel Golfo del Tonchino), ma spesso l'interventismo ha prodotto più costi che benefici.
"Non ci sono precedenti nella storia del mondo - continua il giornalista - di superpotenze che consumino tesori immensi e brucino migliaia di vite senza pretendere annessioni, tributi, cessioni totali di sovranità dai nemici vinti, come ha fatto l'America dopo il doppio intervento nella guerra dei trent'anni in Europa, fra il 1914 e il 1945». E dalle tragedie di Vietnam, Afghanistan ed Iraq, gli Usa non hanno tratto particolari vantaggi imperiali, finendo - al contrario - col perdere ogni forma di controllo su queste complesse realtà geopolitiche. «Tutto questo mentre nel 2008, quando l'imperialismo yankee avrebbe dovuto conoscere la propria apoteosi, gli Stati Uniti hanno rischiato il collasso economico totale».
Criticata e, al tempo stesso, chiamata in causa.
«Segretamente e incoffessabilmente si punta sull'eccezionalismo americano, sulla disponibilità ad intervenire con la violenza per impedire la violenza. La prepotenza americana è l'indicatore inverso della della impotenza altrui. Di fronte al vuoto di volontà, di determinazione, di semplice capacità d'azione Washington si lascia risucchiare ancora e ancora pur sapendo, come anche oggi i generali stanno dicendo a Obama, che una spedizione punitiva contro Assad è un salto nel buio dove i rischi superano di molto i possibili vantaggi. Ma l'America non può fare a meno di essere l'America, di sentirsi chiamata a rispondere e a indossare la responsabilità di essere insieme il protettore e al vittima, il poliziotto e il killer nella viltà del mondo».
In queste ore di incertezze ed indecisioni, non sappiamo se ci saranno altre tragedie, altri uomini e donne destinati a morire, in spirali di violenza che non vorremmo mai vedere.
Sappiamo solo che, per dirla con Zucconi, «non c'è un'altra America, ma soltanto questa, la somma di tutti i successi e i disastri della storia contemporanea, sempre più sola, sempre meno amata, sempre più indispensabile».

da Odiata e indispensabile, la condanna dell'America a finire in prima linea, articolo di Vittorio Zucconi, La Repubblica 31 agosto 2013, pag. 7

mercoledì 28 agosto 2013

Un sogno di eguaglianza e di pace



Un sogno di eguaglianza e di pace. Questo il senso più profondo di un discorso - "I have a dream"- che è passato alla storia. Lo pronuncia a Washington, il 28 agosto 1963, Martin Luther King, pastore della chiesa battista nera, ben presto leader e catalizzatore del movimento improntato alla non violenza ed alla disobbedienza civile. Già perché dopo un secolo dalla abolizione della schiavitù (voluta dal Presidente Lincoln e costata una guerra) i neri americani sperimentano ancora le violenze e le frustrazioni della segregazione. Nel 1964 il Civil rights Act riconosce i diritti civili ai neri, rendendo illegali le sinora consuete "separazioni" tra neri e bianchi nelle scuole, nei trasporti e nei luoghi pubblici in genere. Un anno dopo è la volta del Voting Right Act che afferma la piena partecipazione dei neri alla politica, sia come elettori che come eletti.
Con due importanti leggi federali, dunque, il movimento per i diritti civili, con tutte le sue anime e tutte le sue modalità di espressione, ottiene un primo grande successo.
Ma la marcia di emancipazione è ancora lunga.
E purtroppo - e non solo in america - non è ancora finita.

Leggi il testo del discorso di Martin Luther King.


Non solo in America...:
Scene di ordinario razzismo in ospedale

lunedì 12 agosto 2013

Taxi driver



Il Primo Ministro norvegese, per un giorno, veste i panni del tassista.
Perché, si sa, le chiacchiere in taxi sono sempre state rivelatrici di umori e sensazioni di un popolo.

domenica 11 agosto 2013

In volo


Gli aeroporti.
Ogni volta – e non importa quanta sia l’abitudine ad attraversarli – ti stupiscono.
Per il loro essere sempre uguali a se stessi.
Crocevia di visi, razze e colori.
Business or pleasure, 24ore o zaini da campeggio, non importa: in aeroporto siamo tutti individualità in movimento, singoli parte di un inafferrabile reticolo di direzioni e mete.
Zone tutte speciali dove si incontrano uomini e donne, dove si fondono fusi orari e dove il tempo è sospeso.
Non esistono climi, la temperatura è sempre quella, e non c’è altitudine o latitudine che faccia la differenza. Puoi solo intuire, guardando oltre il vetro, cosa c’è fuori.
O accontentarti dei negozi di souvenir, con la loro pretesa di riassumere intere nazioni.

Dove c’è – anche con Schengen – l’incontro con l’autorità pubblica, fosse anche per un solo rapido sguardo alla ID.
Luoghi dove impari, volente o nolente, a perdere tempo. Dove l’attesa – non c’è tablet o smartphone che regga – è sempre attesa, con la sua noia e con le sue speranze.

Tempo sospeso, in attesa di riagganciare il tempo reale,
Il tempo della vita vera, quella vissuta.

Perché – quando ci spostiamo – è come se fossimo in stand by.
Pronti per una nuova avventura