La scorsa settimana
molto si è parlato, anche in Italia, della Corte Costituzionale tedesca che,
con la sua sentenza, ha salvato in un sol colpo Euro ed Europa. Legittimando
gli strumenti di stabilità finanziaria faticosamente ideati da Merkel & Co.
nei tormentati mesi passati, i giudici di Karlsrue, infatti, hanno evitato il
tanto temuto tracollo della moneta unica, dei mercati e del castello europeo
tutto. Ma – ancora una volta – non basta. La stessa sentenza, infatti, prevede che Bundestag e Bundesrat siano
costantemente informati delle decisioni relative al fondo salva stati e che, ai
fini di un aumento del contributo teutonico al meccanismo di stabilità, venga
richiesto il nulla osta del Parlamento. Dalla pronuncia e dai paletti posti (ad
onor del vero, più soft rispetto alle previsioni), dunque, trapelano ancora una
volta ancestrali dubbi e atavici timori: quelli relativi al rischio di una
eccessiva sottrazione di sovranità, a detrimento degli Stati nazione e a favore di un’Unione che, secondo
molti, non ha ancora raggiunto accettabili livelli di democraticità. Il
dibattito, lungi dall’essere moda delle ultime ore, va avanti da mesi. Almeno
negli altri paesi europei. A dare il la è stato Ulrich Beck, che – dalle colonne del Guardian – ha posto,
alcuni mesi fa, un quesito di non poco conto: come può l’Europa dei burocrati
divenire l’Europa dei cittadini? «Ciò che andrebbe potenziato è la democrazia
europea. Il rule of law e il mercato non sono sufficienti, abbiamo bisogno di
una società civile», scrive Beck. E invoca forme di democrazia diretta: «senza la possibilità, su scala transnazionale,
di partecipazione dal basso – avverte il sociologo – senza referendum sui temi
europei, l’intera impresa è destinata a fallire». Lancia anche la proposta
(sostenuta da molti altri) di un Presidente dell’Ue eletto direttamente da
tutti i cittadini di Eurolandia e di una Costituente che ridisegni i confini –
politici, istituzionali e ideali – dell’Ue. E proprio su questo punto gli fa
eco Habermas, che si fa
portatore del concetto di “democrazia transnazionale”. Utopia? Secondo il
filosofo tedesco no, dal momento che le basi di un simile progetto politico si
ritrovano nella attuale Unione, che dovrebbe però abbandonare lo «stile
burocratico-gabinettistico sinora consueto».
Insomma, anche se i giudici
tedeschi hanno evitato il terremoto, occorre comunque “ripensare”, questa
Europa, che, per come oggi è strutturata, rende ancora attualissima la
definizione datale da Jacques Delors – padre nobile dell’Ue – di “oggetto
politico non identificato”. Anche i giornali, in questi giorni, stanno facendo la loro parte e
cominciano a porsi interrogativi. «Cercherei soluzioni più innovative, più
appropriate alla nostra epoca, per esempio forme istituzionalizzate e
paneuropee di deliberazione e di partecipazione per tutti coloro che lo
desiderano», scrive Jacek Żakowski per Gazeta Wyborcza, una delle più
importanti testate polacche. E invoca una lungimiranza che sembra mancare agli
attuali leader europei: «i rimedi efficaci dovranno tener conto della natura
socioculturale delle attuali tensioni, senza prendere di mira esclusivamente la gestione a breve termine di
questa strana creatura che è oggi l’Unione europea». «La battaglia, ora, si
allarga dall’economia alla politica – spiega Andrea Bonanni su Repubblica –
dalle istituzioni finanziarie si estende ai Parlamenti, ai governi, alle urne
in cui nei prossimi anni le democrazie saranno chiamate a decidere il futuro
del continente». Dopo aver salvato la moneta, insomma, ora bisogna salvare l’Europa,
«conferendole quella sovranità che ancora non possiede». E di nuove idee e nuovi ideali ha parlato anche
il Presidente della Commissione europea Barroso, nel discorso sullo Stato dell’Unione, pronunciato
lo scorso 12 settembre. «La globalizzazione vuole un’Europa più unita. Più
unità vuol dire più integrazione. E più integrazione vuol dire più democrazia.
Più democrazia europea». E mentre non lascia dubbi sull’integrità dell’Unione o
sull’irreversibilità dell’euro, Barroso invoca la costruzione di uno spazio
pubblico veramente comune. Serve, detto in altri termini, una (vera) opinione
pubblica, luogo per
eccellenza della rappresentanza e della partecipazione, ambito, a volte, della
decisione, più spesso della discussione e del confronto. «Non possiamo continuare
a risolvere i problemi europei attraverso soluzioni nazionali, il dibattito si
deve svolgere nelle nostre società e tra i nostri cittadini. Oggi, però, mi
rivolgo anche ai pensatori europei, agli uomini e alle donne di cultura, perché
prendano parte a questa discussione sul futuro dell’Europa: l’indifferenza o
il pessimismo degli europeisti sono ancora più pericolosi dello scetticismo
degli antieuropei».
Questo mio contributo è stato originariamente pubblicato
sul portale di Libertà e Giustizia, associazione nazionale di cultura politica.
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