È più che
ragionevole, quando si parla fatti sociali ed umani, non contare su
determinismo e rapporti causa-effetto: le variabili in gioco sono troppe ed imprevedibili; numerosi sono i fattori che concorrono a distorcere, aggirare,
annullare tecnicismi e costruzioni di ingegneria costituzionale.
Eppure le regole contano
e, nel caso di specie, la legge elettorale è importante.
C'è una cosa che più
delle altre lascia perplessi di questa faccenda, ed è la valutazione espressa
dalla Corte Costituzionale sulle liste bloccate,
secondo la quale il problema sarebbe meramente quantitativo: troppi nomi in
lista non garantirebbero un adeguato rapporto candidato-elettore, in termini di
'conoscibilità' dei primi da parte dei secondi.
In altre parole,
l'incostituzionalità sarebbe la conseguenza non dell’assenza di preferenze ma
dell'eccessiva numerosità delle liste, tale da rendere impossibile all’elettore
identificare il candidato.
Via libera, invece, a
liste bloccate, purché con meno nominativi.
Ma il nodo centrale, la
sostanza, risiede, invece, proprio nella selezione. Avere, come nella proposta di Renzi, di nuovo
liste bloccate, anche di soli 4, 5 o 6 nomi, senza preferenze, non risolve il
vizio che - sia pure in maniera più massiccia - affliggeva il
Porcellum. Una selezione – quella ottenibile con la legge elettorale –
tardiva (i giochi si fanno soprattutto nelle segreterie di partito), ma non di
meno importante, per garantire un sia pur residuo spazio di manovra
all'elettore.
Sarebbe auspicabile, cioè,
non solo conoscere, ma conoscere e (di conseguenza) selezionare.
Insomma, di nuovo si vota
il partito, non l’aspirante deputato.
Di nuovo il cittadino non è messo nelle condizioni di scegliere tra i candidati, essendo questi
ultimi eletti automaticamente in
base all’ordine di presentazione nella lista.
Ancora una volta,
ahinoi, veniamo privati del diritto di decidere a chi attribuire il compito, delicato e impegnativo, della rappresentanza politica.
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