Si ha un partito personale quando «non è l’associazione che ha creato un capo, ma è un capo che ha creato l’associazione».
Questa frase – scritta (anzi, pronunciata, dal momento che è una conversazione) da Norberto Bobbio in un bellissimo libro, vero condensato di etica civile – mi è tornata potentemente alla memoria osservando il caos che in questi giorni si è impossessato del Popolo delle libertà ora che il suo leader, fondatore e padrone (?) si avvia a lasciare la scena.
Il libro in questione è Dialogo intorno alla Repubblica – che ho letto oramai dieci anni or sono – e raccoglie le intense conversazioni avvenute tra due studiosi diversi per età e formazione ma uniti da una profonda (quanto rara, soprattutto oggi) passione civile: Norberto Bobbio, uno tra i più importanti pensatori contemporanei (grande il vuoto che ha lasciato) e Maurizio Viroli, italianissima gloria in un’università americana (insegna storia del pensiero politico a Princeton).
Tra i grandi temi politici di cui discutono – diritti e doveri, libertà, corruzione e amore per la patria (ma «non abbiamo verità definitive da proporre», si legge nella prefazione) – c’è un capitolo, “La Repubblica e suoi mali”, in cui – e del riferimento all’allora Forza Italia non è fatto mistero – Bobbio e Viroli si interrogano sulle storture del cosiddetto partito-persona.
Il partito è personale quando vive per e in virtù del leader fondatore, quando è “cosa sua”, si identifica e si sovrappone con la sua immagine e la sua ideologia. Trattasi, in altri termini, di una formazione politica fondata sulla lealtà incondizionata al capo. E in questi venti anni, Berlusconi ha fatto di tutto per accentuare il carattere personalistico del suo “prodotto” politico. Questo, se ci pensate, trova riscontro nei simboli stessi di Forza Italia, prima, e del Pdl, poi: l’immagine (sorridente) e il nome (a caratteri cubitali) di Silvio Berlusconi hanno fatto tutt’uno con il partito, sono serviti ad identificarlo e a dargli sostanza, come pure i grotteschi slogan sul modello di “meno male che Silvio c’è”. E se qualcuno prova a fare la differenza, be’, l’ostracismo è l’unica soluzione (caso Fini docet).
Insomma, il partito-persona è cosa ben diversa dalla personalizzazione della politica, fisiologica soprattutto nella modernità, quella che si ha – ad esempio – in presenza di un leader carismatico e la minaccia più seria ad una repubblica democratica viene proprio da questi agglomerati di uomini fedeli al capo, dal quale altro non desiderano che vantaggi e privilegi, fino a che questi – sa va sans dire – ha da offrirne.
La mancanza di forza contrattuale di Forza Italia in scena in queste ultime ore somiglia molto al disfacimento dell’esercito di un generale sconfitto: spaccature nel gruppo dirigente, divergenze di vedute e disgregazione. «È sempre azzardato avventurarsi in previsioni – scrive Viroli nel 2001 – ma credo proprio che in questi partiti se scompare il leader fondatore scompare anche il partito». Come neve al sole.
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