Ha
l’aria di chi la sa lunga Gianfranco Pasquino, uno dei più autorevoli politologi italiani,
docente di Scienza politica all’Università di Bologna e alla Johns Hopkins
University. Uno che, oltre ad averla studiata, la politica l’ha anche fatta (è
stato senatore per ben undici anni). E con lo stesso sguardo lucido ci spiega questa Europa, giunta oramai
al sessantaduesimo anniversario (ieri, 9 maggio, è stata celebrata la Festa
dell’Europa, ricorrenza della Dichiarazione franco-tedesca del 1950, primo
mattone dell’Europa di oggi). Un progetto, di questi tempi, in balia di un mare
in tempesta chiamato crisi.
“Rifare gli italiani
per stare in Europa” è il titolo di un suo recente colloquio pubblico con il
Presidente Napolitano. Oggi siamo in Europa?
Geograficamente
e giuridicamente sì. E poi il nostro è un paese fondatore, che ha espresso
commissari europei di grande spessore. Ma bisogna “saper stare” in Europa. E
questo non sempre avviene.
Di chi è la colpa?
Della
classe dirigente italiana, che continua a vivere e a pensare l’Unione come
alibi per quello che non riesce a fare e come vincolo per quello che non vuole
fare. Gli unici che sembrano coglierne le opportunità sono i giovani che –
grazie al progetto Erasmus – stanno diventando sempre più europei.
Lei, in qualità di
docente di scienza politica, è un esperto di sistemi elettorali e di meccanismi
di voto. Come avvicinare l’Ue ai cittadini?
Sono
state proposte molte soluzioni, tra cui l’elezione diretta del Presidente dell’Unione.
Tutte certamente utili – produrrebbero grande mobilitazione – ma, in questo
momento, futuribili.
Esiste anche un
problema di leadership.
Non c’è proprio nessuno in grado di riportarci al centro d’Europa?
Oggi
l’Italia è fortunata ad essere rappresentata da due grandi europeisti: Mario
Monti, ma anche Giorgio Napolitano che, se solo avesse trenta anni in meno,
potrebbe essere un perfetto leader europeo. O, ancora, Mario Draghi, uomo di
grandi competenze, convinto della soluzione europea, ma impegnato in incarichi
di natura tecnica. Altri, invece, non sono presenti sulla scena europea.
“Economicamente,
geograficamente e politicamente, è inevitabile che la Germania rivesta ed
eserciti un ruolo di eccezionale importanza nell’Europa unità”. Lo scrisse lei nel lontano ‘93 e i
fatti sembrano averle dato ragione...
Effettivamente
è così, anche se c’è una certa preoccupazione che i tedeschi dettino le linee
politiche e, soprattutto, di politica economica.
Cosa dice a chi teme
questo ruolo da primus inter pares della Germania?
Che
non c’è nulla da temere. Se un paese ha individuato delle soluzioni efficaci è
nell’interesse di tutti prenderlo come riferimento. Imitino – invece che
subirlo – questo modello.
Le dinamiche globali
hanno sempre condizionato il processo di integrazione europea. Una volta, ad
esempio, era l’espansionismo sovietico ad unificare l’Europa. Oggi cosa può
svolgere questa funzione?
Non
vedo fattori esterni in grado, oggi, di rafforzare l’Ue. Anzi, l’atteggiamento
ambivalente degli Usa nei confronti del vecchio continente, incide –
rafforzandoli – sui tentennamenti europei della Gran Bretagna.
Nemmeno l’espansionismo
economico e finanziario della Cina?
La
Cina rappresenta, piuttosto, un aspetto da affrontare. Ma oggi l’opportunità
più grande viene dalla crisi, vera finestra sul cambiamento.
Le difficoltà odierne
finiscono, quindi, per rafforzare quella ‘comunità di destino’ di cui parlava
Edgar Morin?
La
comunità di destino esiste, ma ci vogliono politici che se ne facciano
“predicatori”. Ci vorrebbero persone come Altiero Spinelli, ma anche come
Helmuth Kohl e François Mitterand. Lo stesso Tony Blair avrebbe potuto essere
un ottimo leader europeo.
Ma...
Ma
si è bruciato con la guerra in Iraq. Aveva buone qualità oratorie.
Quindi serve anche un
po’ di ‘narrativa’, non bastano bravi tecnici...
Esattamente.
Purtroppo il prestigio che raggiungono i predicatori dell’Europa non è elevato.
Questo è un problema di cultura politica: in Italia dovremmo capire che essere
europarlamentari può essere molto meglio che occupare un posto da
sottosegretario a Roma.
Diletta Paoletti
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