C’è un rapporto di proporzionalità diretta tra le voci insistenti di una ridiscesa in campo di Silvio Berlusconi e la mia incredulità: il 9 novembre del 2011 scrivevo questo post, nella convinzione di stare a parlare di un capitolo oramai chiuso. Definitivamente chiuso.
Descrivevo un uomo quasi
sfigurato da scandali ed errori ripetuti e degradanti.
Pare impossibile che,
ancora oggi, quello che quest’uomo dice e decide sia tuttora in grado di
incidere in qualche modo nella vita politica del paese.
Se
c’è stata una costante nell’atteggiamento di Silvio Berlusconi al potere,
ebbene, questa è stata la cura dell’immagine. Un’ossessione che ha attraversato
questi (quasi) 20 anni con il preciso scopo di rimandare – chiara e
diretta – un’immagine, appunto, spesso rassicurante, il più delle volte
imbonitrice, comunque sorridente. A volte beffarda, ad ostentare una sicurezza
che non sempre c’era. Ma – si sa – a contare è quello “che si vede”: la merce
si compra per ciò che appare e l’elettore acquirente – questo il
Berlusconi-pensiero – deve essere conquistato proprio dall’apparenza.
Allora
ecco gli spot patinati (celebre rimane la “calza” che si è detto aver avvolto
le telecamere che riprendevano l’allora fondatore di Forza Italia), i (dispendiosi)
libri inviati “nelle case degli Italiani”, gli artefatti servizi sui giornali
di famiglia. Magia della pubblicità e tattica da marketing che si fondono, in
una strategia che lascia molto poco al caso. Una strategia inseguita a tutti i
costi, fino a produrre l’immagine grottesca degli ultimi tempi, sempre più
artificiale e sempre meno credibile in una patetica quanto illusoria fuga dalla
vecchiaia.
Ma
tra telecamere velate, trucchi di scena e cambi d’abito – un po’ come se tutto
fosse, in fondo, una grande giostra o una commedia dell’arte – gli anni sono
passati e, come sempre avviene, il trucco si rovina con il tempo, rivelando
impietosamente tutte le debolezze che fino ad un minuto prima nascondeva. Ecco
che allora oggi, a parlare più di ogni altra dichiarazione, è quel volto, cupo,
quasi trasfigurato, che per la prima volta disubbidisce alla ferrea disciplina
del sorridere. Non c’è più spazio per il sorriso, anche se forzato. Non è più
il momento di studiare l’immagine migliore da offrire.
Non è più tempo di mescolare estetica e potere.
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