Il
titolo – “Una campagna elettorale europea” – è particolarmente invitante. Così
comincio a leggere quello che ha tutta l’aria di essere un articolo
promettente, scritto da André Wilkens (tra i fondatori dell’European Council on
Foreign Relations e direttore del Mercator Centre di Berlino), pubblicato su
Project Syndicate e ripreso da Presseurop, l’utilissimo portale che raggruppa
il meglio della stampa europea.
Il
discorso è più o meno questo: l’Europa unita, per decenni fautrice di
benessere, pace e successo, è oggi bersaglio del fuoco incrociato di più o meno
giustificato biasimo. Colpevole di alcune incertezze e di qualche (grave)
ritardo nella gestione della crisi dell’Euro, oggi l’Ue ha conquistato i titoli
dei giornali, ma i termini non sono così lusinghieri. «Dopo tutto – scrive
Wilkens – i dissidi fanno notizia. Ma il dibattito pubblico innescato da tali
dissidi non è stato del tutto costruttivo». Perché? «I dibattiti che si
svolgono in tutta l’Unione – spiega – continuano a essere in buona parte
condotti da attori nazionali in forum nazionali e con lo sguardo rivolto ai
soli interessi nazionali». «Per compiere un autentico passo avanti e decidere
lo sviluppo dell’Ue – continua – occorre definire chiaramente gli interessi
europei».
Ma
individuare obiettivi e programmi che siano veramente condivisi – che
forniscano, cioè, quel comune denominatore che spesso sembra sfuggire –
significa attivare meccanismi di dibattito declinati in chiave europea. Wilkens
non usa mezzi termini: «si renderà necessario un dibattito paneuropeo serio e
schietto, superiore alla somma dei singoli dibattiti nazionali. La discussione
dovrà essere pubblica e coinvolgere l’intera cittadinanza europea». E le
elezioni del Parlamento europeo nel 2014 sono un’ottima occasione per mettersi
in cammino lungo questa strada.
In
altre parole, il dibattito prodotto dal Financial Times e dall’Economist, dalle
conferenze paneuropee, dai network e dalle Ong, è condizione probabilmente
necessaria, ma certamente non sufficiente, dal momento che è in grado di
coinvolgere le sole élite intellettuali, che già possiedono un elevato livello
di informazione ed alfabetizzazione circa gli affari europei. Occorrono,
piuttosto, cambiamenti istituzionali in grado di propiziare la nascita di una
sfera pubblica comune. In molti, da tempo, suggeriscono nuovi meccanismi, quali
la creazione di collegi elettorali transnazionali per una competizione su scala
europea o l’elezione diretta del Presidente della Commissione.
Perché,
oggi, è proprio questo il punto: costruire una vera opinione pubblica europea.
Luogo per eccellenza della rappresentanza e della partecipazione, ambito (a
volte) della decisione, più spesso della discussione e del confronto, l’opinione
pubblica – insieme allo spazio operativo immateriale entro cui opera, la sfera
pubblica – costituisce linfa vitale della democrazia. Anche per l’Unione
europea, organismo spurio, né Stato (tanto meno super-Stato), né semplice
organizzazione internazionale, ma che, quotidianamente, decide di numerosi
aspetti della nostra vita.
«La crisi
dell’euro – conclude Wilkens – mette a repentaglio l’esistenza stessa dell’Ue,
ma costituisce al contempo un’occasione per allargare l’importante dibattito sul
futuro dell’Europa, un dibattito che funzionerà soltanto nell’ambito di una
democrazia parlamentare genuinamente europea».
Questo mio contributo è stato originariamente pubblicato
sul portale di Libertà e Giustizia, associazione nazionale di cultura politica.
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