martedì 15 gennaio 2013

Allargare il dibattito per aumentare la democrazia


Il titolo – “Una campagna elettorale europea” – è particolarmente invitante. Così comincio a leggere quello che ha tutta l’aria di essere un articolo promettente, scritto da André Wilkens (tra i fondatori dell’European Council on Foreign Relations e direttore del Mercator Centre di Berlino), pubblicato su Project Syndicate e ripreso da Presseurop, l’utilissimo portale che raggruppa il meglio della stampa europea.
Il discorso è più o meno questo: l’Europa unita, per decenni fautrice di benessere, pace e successo, è oggi bersaglio del fuoco incrociato di più o meno giustificato biasimo. Colpevole di alcune incertezze e di qualche (grave) ritardo nella gestione della crisi dell’Euro, oggi l’Ue ha conquistato i titoli dei giornali, ma i termini non sono così lusinghieri. «Dopo tutto – scrive Wilkens – i dissidi fanno notizia. Ma il dibattito pubblico innescato da tali dissidi non è stato del tutto costruttivo». Perché? «I dibattiti che si svolgono in tutta l’Unione – spiega – continuano a essere in buona parte condotti da attori nazionali in forum nazionali e con lo sguardo rivolto ai soli interessi nazionali». «Per compiere un autentico passo avanti e decidere lo sviluppo dell’Ue – continua – occorre definire chiaramente gli interessi europei».
Ma individuare obiettivi e programmi che siano veramente condivisi – che forniscano, cioè, quel comune denominatore che spesso sembra sfuggire – significa attivare meccanismi di dibattito declinati in chiave europea. Wilkens non usa mezzi termini: «si renderà necessario un dibattito paneuropeo serio e schietto, superiore alla somma dei singoli dibattiti nazionali. La discussione dovrà essere pubblica e coinvolgere l’intera cittadinanza europea». E le elezioni del Parlamento europeo nel 2014 sono un’ottima occasione per mettersi in cammino lungo questa strada.
In altre parole, il dibattito prodotto dal Financial Times e dall’Economist, dalle conferenze paneuropee, dai network e dalle Ong, è condizione probabilmente necessaria, ma certamente non sufficiente, dal momento che è in grado di coinvolgere le sole élite intellettuali, che già possiedono un elevato livello di informazione ed alfabetizzazione circa gli affari europei. Occorrono, piuttosto, cambiamenti istituzionali in grado di propiziare la nascita di una sfera pubblica comune. In molti, da tempo, suggeriscono nuovi meccanismi, quali la creazione di collegi elettorali transnazionali per una competizione su scala europea o l’elezione diretta del Presidente della Commissione.
Perché, oggi, è proprio questo il punto: costruire una vera opinione pubblica europea. Luogo per eccellenza della rappresentanza e della partecipazione, ambito (a volte) della decisione, più spesso della discussione e del confronto, l’opinione pubblica – insieme allo spazio operativo immateriale entro cui opera, la sfera pubblica – costituisce linfa vitale della democrazia. Anche per l’Unione europea, organismo spurio, né Stato (tanto meno super-Stato), né semplice organizzazione internazionale, ma che, quotidianamente, decide di numerosi aspetti della nostra vita.
«La crisi dell’euro – conclude Wilkens – mette a repentaglio l’esistenza stessa dell’Ue, ma costituisce al contempo un’occasione per allargare l’importante dibattito sul futuro dell’Europa, un dibattito che funzionerà soltanto nell’ambito di una democrazia parlamentare genuinamente europea».


Questo mio contributo è stato originariamente pubblicato 
sul portale di Libertà e Giustizia, associazione nazionale di cultura politica. 

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