martedì 26 maggio 2015

Unione (dis)integrata?


Lucio Caracciolo, saggista e direttore della rivista di geopolitica Limes, è da tempo critico circa le modalità che hanno accompagnato il processo di integrazione. Ne ho già parlato su questo Blog, intervistando Enrico Letta proprio sul testo scritto a quattro mani con Caracciolo, "L'Europa è finita". 
E il direttore di Limes, lo conferma anche oggi, con un editoriale su Repubblica. 

"L'Europa - scrive - è tornata alla normalità: ognuno per sé, nessuno per tutti. Un quarto di secolo fa il Muro di Berlino crollava, la Porta di Brandeburgo veniva riaperta. Di qui conseguiva, stando alle oleografie del tempo, niente meno che la "riunificazione dell'Europa" (il fatto che non lo fosse mai stata pareva trascurabile). Oggi questo continente, in specie l'Unione Europea che per noi italiani ne è sinonimo, appare diviso in un arcipelago di isole che alzano ponti e fortificano barriere per sventare presunte invasioni barbariche, dove i barbari sarebbero (anche) altri europei".

La sua analisi odierna prende le mosse dalla cronaca politica di questi giorni, con la vittoria del candidato della destra nazionalista, Duda, alle elezioni presidenziali polacche e l'affermazione di Podemos nel voto amministrativo di Barcellona e di Madrid. Tutti elementi che si aggiungono allo scenario di fondo che prevede la possibilità di una doppia uscita dall'Unione (diversissima per motivazioni): quella di Regno Unito e Grecia. Secondo Caracciolo, ciò è la dimostrazione plastica del "grado di disintegrazione raggiunto dal processo di integrazione europea".

Troppo facile, secondo il direttore di Limes, sarebbe poi dare la colpa ai "populisti" di destra e di sinistra, "da Salvini a Tsipras passando per Le Pen e Iglesias, irresponsabili agitatori che parlano alla pancia della gente esasperata dalla selvaggia crisi economica degli ultimi otto anni, da cui stentiamo a uscire, e dal senso di deprivazione che ne deriva. "Tutti in un calderone - nazistelli, opportunisti e democratici sinceri. Bollati quali nemici del buon tono, che ci rovinano il gusto dei frutti dell'albero piantato sessant'anni fa dai padri fondatori. Spiegazione di comodo".

"È ovvio che in questo clima avvelenato alcuni imprenditori politici speculino su paure diffuse  -  peraltro fondate  -  per raccattare voti e profilarsi come vendicatori del popolo contro i poteri stabiliti. È altrettanto scontato che costoro non abbiano interesse a risolvere i problemi che denunciano, e anzi godano ogni volta che il demone dell'eurocrisi avanza di un passo verso il baratro. Ed era prevedibile, come scrisse vent'anni fa Tony Judt, che l'europeismo di maniera intento a rimuovere la realtà delle nazioni sarebbe diventato "una risorsa elettorale dei nazionalisti virulenti".

Insomma, se la diagnosi di Caracciolo sembra essere, per molti versi, corretta, la sua terapia qual è? 
Non ne parla esplicitamente, ma la lascia intendere: abbandonare il processo di integrazione.

Eppure, bisognerebbe tenere conto di una serie di elementi.

Anzitutto l'Unione è sospinta di volta in volta dalla volontà politica prevalente: chi ha detto - e già la cosa si sta profilando - che l'ortodossia dell'austerità non possa lasciare il posto ad una politica della crescita?

Inoltre, c'è da tenere conto del contesto congiunturale di crisi (prima finanziaria, poi economica), il cui virus è rapidamente passato attraverso le due sponde dell'Atlantico. Di questo contesto qualsiasi progetto avrebbe risentito pesantemente, impossibile negarlo.

Insomma, se la casa comune ha bisogno di essere ristrutturata, lo si faccia, invece che pensare di demolirla.

Ecco che allora servirebbe una governance comune della politica economica dei paesi dell'Eurozona, così come di una politica estera (davvero) comune, che comunque sarebbe molto più efficace di 28 politiche estere differenti. 
Non auspico per nulla - ma proprio per nulla - il ritorno all'Europa delle patrie, gelose ed egoiste. 






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