Lucio Caracciolo, saggista e direttore della rivista di geopolitica
Limes, è da tempo critico circa le modalità che hanno accompagnato il
processo di integrazione. Ne ho già parlato su questo Blog, intervistando Enrico Letta proprio sul testo scritto a quattro mani con Caracciolo, "L'Europa è finita".
E il direttore di Limes, lo conferma anche oggi, con un editoriale su Repubblica.
"L'Europa - scrive - è tornata
alla normalità: ognuno per sé, nessuno per tutti. Un quarto di secolo fa il
Muro di Berlino crollava, la Porta di Brandeburgo veniva riaperta. Di qui
conseguiva, stando alle oleografie del tempo, niente meno che la
"riunificazione dell'Europa" (il fatto che non lo fosse mai stata
pareva trascurabile). Oggi questo continente, in specie l'Unione Europea che per
noi italiani ne è sinonimo, appare diviso in un arcipelago di isole che alzano
ponti e fortificano barriere per sventare presunte invasioni barbariche, dove i
barbari sarebbero (anche) altri europei".
La sua analisi odierna prende le
mosse dalla cronaca politica di questi giorni, con la vittoria del candidato
della destra nazionalista, Duda, alle elezioni presidenziali polacche e
l'affermazione di Podemos nel voto amministrativo di Barcellona e di Madrid. Tutti
elementi che si aggiungono allo scenario di fondo che prevede la possibilità di
una doppia uscita dall'Unione (diversissima per motivazioni): quella di Regno
Unito e Grecia. Secondo Caracciolo, ciò è la dimostrazione plastica del "grado
di disintegrazione raggiunto dal processo di integrazione europea".
Troppo facile, secondo il direttore
di Limes, sarebbe poi dare la colpa ai "populisti" di destra e di
sinistra, "da Salvini a Tsipras passando per Le Pen e Iglesias,
irresponsabili agitatori che parlano alla pancia della gente esasperata dalla
selvaggia crisi economica degli ultimi otto anni, da cui stentiamo a uscire, e
dal senso di deprivazione che ne deriva. "Tutti in un calderone -
nazistelli, opportunisti e democratici sinceri. Bollati quali nemici del buon
tono, che ci rovinano il gusto dei frutti dell'albero piantato sessant'anni fa
dai padri fondatori. Spiegazione di comodo".
"È ovvio che in questo clima
avvelenato alcuni imprenditori politici speculino su paure diffuse
- peraltro fondate - per raccattare voti e profilarsi come
vendicatori del popolo contro i poteri stabiliti. È altrettanto scontato che
costoro non abbiano interesse a risolvere i problemi che denunciano, e anzi
godano ogni volta che il demone dell'eurocrisi avanza di un passo verso il
baratro. Ed era prevedibile, come scrisse vent'anni fa Tony Judt, che
l'europeismo di maniera intento a rimuovere la realtà delle nazioni sarebbe
diventato "una risorsa elettorale dei nazionalisti virulenti".
Insomma, se la diagnosi di Caracciolo sembra essere, per molti versi, corretta,
la sua terapia qual è?
Non ne parla esplicitamente, ma la lascia
intendere: abbandonare il processo di integrazione.
Eppure, bisognerebbe tenere conto di una serie di elementi.
Anzitutto l'Unione è sospinta di volta in volta dalla volontà politica
prevalente: chi ha detto - e già la cosa si sta profilando - che l'ortodossia dell'austerità
non possa lasciare il posto ad una politica della crescita?
Inoltre, c'è da tenere conto del contesto congiunturale di crisi (prima
finanziaria, poi economica), il cui virus è rapidamente passato attraverso le
due sponde dell'Atlantico. Di questo
contesto qualsiasi progetto avrebbe risentito pesantemente, impossibile
negarlo.
Insomma, se la casa comune ha bisogno di essere ristrutturata, lo si
faccia, invece che pensare di demolirla.
Ecco che allora servirebbe una governance comune della politica economica dei paesi dell'Eurozona, così come di una politica estera (davvero) comune, che comunque sarebbe molto più efficace di 28 politiche estere differenti.
Non auspico per nulla - ma proprio per nulla - il ritorno all'Europa delle patrie, gelose ed egoiste.
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