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«Non
è certo una novità, è molto tempo che in Grecia viviamo nella luce di una
stella morta», spiega Dimitris
Dimitriadis, 68 anni, drammaturgo saggista, poeta e traduttore, intervistato da Le Monde a proposito del suo paese, mai come oggi in
(profonda) difficoltà. Ma che forse, con il voto di domenica, ha deciso di
voltare pagina, di andare avanti e provare a risalire la china. «Quello che
caratterizza la Grecia è una sorta di stagnazione, di immobilismo mentale. Si
rimane intrappolati in abitudini psicologiche e sociali, ci si adagia su una
tradizione morta e non si pensa più a rinnovare – continua – si tratta di un problema gravissimo. Un
paese con una storia come la Grecia è bloccato nel meccanismo stesso della
storia. Per questo motivo siamo arrivati
a questa situazione. Tutto quello di cui si parla, questa grande eredità greca
di cui ci si vanta, è chiusa in modelli preconcetti, in stereotipi».
E, ironia
della sorte, proprio lui – in Muoio come paese, opera risalente all’ormai lontano 1978
– aveva profetizzato un simile destino: «ho scritto questo testo 35 anni fa. Il
paese era uscito dalla dittatura dei colonnelli, era un periodo pieno di
speranze, di promesse e di ricchezza. Mi trovavo in una situazione personale di
solitudine assoluta, che mi ha spinto a scrivere questo testo che ha preso la
forma di una parabola: parlo di un paese che muore perché non accetta la
propria fine e non accetta l'altro. Un paese che si sente assediato da mille anni, che non accetta
quello che chiama il nemico, che non vede che il "nemico" è la sua
stessa prospettiva di futuro».
Dimitris Dimitriadis |
Nelle parole di Dimitriadis,
dunque, la crisi appare, prima che economico-finanziaria, storica e culturale. «il sistema politico nel quale
viviamo in Grecia, e che risale all'occupazione ottomana (quindi a diversi
secoli fa), è completamente clientelare. I grandi proprietari terrieri di un
tempo sono stati sostituiti dai partiti politici, ma i rapporti con la
popolazione sono rimasti gli stessi. Lo stato appartiene al partito, e il partito sfrutta le
risorse dello stato per mantenere il suo sistema clientelare».
E non nasconde le responsabilità dei cittadini greci, rei di aver
«vissuto con facilità e superficialità». «I nostri politici sono l'immagine del
nostro popolo. Questa deplorevole mentalità interessa tutta la popolazione
greca. Spesso ho l'impressione che una forma di volgarità, di maleducazione,
abbia conquistato il nostro paese».
Da sempre si parla della
Grecia come della"culla" della nostra civiltà «In realtà dobbiamo
renderci conto che questa culla è diventata la nostra tomba. Ma una tomba può a
sua volta diventare una culla. Finora l'umanità ha sempre saputo rinnovare
le sue forze e i suoi modelli di civiltà attraverso le sventure e le
catastrofi. E non vi è alcuna ragione per pensare che non possa continuare a
farlo».
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