domenica 28 giugno 2015
venerdì 26 giugno 2015
Un brindisi all'Europa (o forse no): la Regina Elisabetta ci ripensa?
Ieri scrivevo dei "toni europeisti" della Regina Elisabetta, in occasione della sua visita in Germania. Parlava, ispirata, di unità europea e dei rischi della disunione.
Bene, a Palazzo debbono essersi spaventati ed è arrivata la retromarcia.
Una nota ufficiale di Buckingham Palace, infatti, ha prontamente negato che il discorso della Regina sottointendesse una sua convinzione circa la necessità che la Gran Bretagna continui a far parte dell'Unione europea.
Elisabetta aveva fatto riferimento alla pericolosità delle divisioni e all'opportunità di non dare per scontati i benefici di un continente pacificato.
Merkel annuiva vistosamente durante questo passaggio.
"Come sempre - ha spiegato un portavoce di palazzo - la Regina è al di sopra della politica ed è politicamente neutrale rispetto al tema dell'appartenenza all'Unione".
Il discorso di Berlino, preparato dagli ufficiali di Elisabetta, sarebbe stato, come al solito, approvato dal Governo inglese. Le sue parole precedono l'incontro tra i capi di stato e di governo dell'Unione durante il quale David Cameron presenterà le proprie proposte per la rinegoziazione dello status dell'Uk nella casa comune europea.
Insomma, dicono da Londra, il discorso era molto personale, basato sull'esperienza di vita della Regina e non ha niente a che vedere con questi negoziati.
Sarà, ma di certo pare che qualcosa sia cambiato ultimamente: l'euroscetticismo pre elettorale, si è trasformato in un cauto europeismo su misura, che Cameron intende portare avanti con decisione.
We'll see.
Leggi l'articolo sul The Guardian
giovedì 25 giugno 2015
Queen Elizabeth II: un brindisi all'Europa
Queen Elizabeth II a Berlino parla niente meno che di unità di Europa.
E non è poco, se pensiamo che queste parole vengono da un simbolo (culturale più che politico, of course) dell'euroscettico Regno Unito.
"Nelle nostre vite abbiamo visto il meglio ma anche il peggio del nostro Continente", dice.
"Dobbiamo lavorare sodo per mantenere i benefici dell'Europa post-bellica. Dobbiamo essere consapevoli di quanto sia pericolosa la divisione in Europa: dobbiamo stare in guardia contro questo rischio, ad est come ad ovest.
Questo rimane uno sforzo comune".
Insomma, che aria tira a Londra?
Ancora non è facile dirlo: David Cameron il mese scorso ha vinto le elezioni anche grazie alla promessa del referendum sulla membership dell'Unione.
Ma sono di poco fa queste sue parole (leggi qui), da molti osservatori definite addirittura il segno del cosiddetto U-turn del Primo Ministro:
"I’ve been very clear. If you want to be part of the government,
you have to take the view that we are engaged in an exercise of renegotiation, to have a referendum
and that will lead to a successful outcome.”
Detto in altri termini, i membri del governo - spiega Cameron - dovranno sostenere al campagna per il sì all'appartenenza all'Unione, impegnandosi nel processo di rinegoziazione che Londra chiede a Bruxelles circa le regole del gioco.
Appartenenza alla casa comune europea: sì o no?
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mercoledì 24 giugno 2015
La bandiera della discordia\2
Ieri vi parlavo della questione della Confederation Flag (qui): nello Stato nordamericano del Mississippi, dopo il massacro nella chiesa afro di Charleston, ultimo di una serie di episodi che hanno riportato in primo piano la questione razziale (e - precisamente - la questione nera) negli USA, i legislatori stanno preparando una legge per rimuovere l'emblema della Confederazione dalla bandiera dello Stato.L'iniziativa rientra in una più generale richiesta di rimuovere simboli che possano evocare la schiavitù (il vessillo si richiama alla ribellione secessionista degli Stati del Sud che nel 1861 combatterono per quattro anni contro gli Stati del Nord. Le origini della guerra civile, sicuramente economiche, erano anche legate a doppio filo alla questione della schiavitù).
Se sarà o meno presente, nel futuro, sulla bandiera ufficiale dello stato del Mississippi non lo sappiamo. Di certo, però, non sarà più sul tetto delle copie giocattolo della General Lee, macchina dalla serie televisiva USA Dukes of hazzard.
La scelta di Warner Bros segue quelle di Amazon, E-bay e di altri rivenditori on-line, che hanno deciso di bandire dalle proprie piattaforme la bandiera simbolo della confederazione sudista.
Non è ancora Chiaro se la Warner Bros continuerà a vendere la copia giocattolo della macchina senza bandiera, o se deciderà di cambiare il nome stesso della famosa car: il generale Lee, infatti, era il leader degli Stati confederati del Sud durante la guerra civile che divise l'America tra il 1860 ed il 1865.
martedì 23 giugno 2015
La bandiera della discordia
I simboli contano. Eccome, se contano. Lo dimostra quello che sta avvenendo nello Stato nordamericano del Mississippi, dopo il massacro nella chiesa afro di Charleston, ultimo di una serie di episodi che hanno riportato in primo piano la questione razziale (e - precisamente - la questione nera) negli USA. I legislatori del Mississippi, infatti, stanno preparando una legge per rimuovere l'emblema della Confederazione dalla bandiera dello Stato, iniziativa che rientra in una più generale richiesta di rimuovere simboli che possano evocare la schiavitù.
Dylann Roof, sospetto autore del massacro, compare in una serie di scatti proprio reggendo in mano proprio una "Confederate Flag" (vedi foto).
Molti afroamericani percepiscono, a ragione, la bandiera come simbolo dell'odio razziale.
In effetti il vessillo si richiama alla ribellione secessionista degli Stati del Sud che nel 1861 combatterono per quattro anni contro gli Stati del Nord. Le origini della guerra civile, sicuramente economiche, erano anche legate a doppio filo alla questione della schiavitù (gli Stati del Sud combattevano contro il nord del presidente Lincoln, nel quale non si riconoscevano, proprio perché abolizionista).
E nel 1865 - a guerra finita - Lincoln abolì la schiavitù (ma ci volle ancora un secolo - e una lunga marcia - perché i neri potessero conquistare i diritti civili e politici).
Kenny Jones, senatore dello Stato del Mississippi, sta considerando insieme ad altri rappresentanti eletti, di presentare una proposta di legge per modificare la bandiera, disegno di legge da presentare nella prossima sessione di gennaio.
Dylann Roof, sospetto autore del massacro, compare in una serie di scatti proprio reggendo in mano proprio una "Confederate Flag" (vedi foto).
Molti afroamericani percepiscono, a ragione, la bandiera come simbolo dell'odio razziale.
In effetti il vessillo si richiama alla ribellione secessionista degli Stati del Sud che nel 1861 combatterono per quattro anni contro gli Stati del Nord. Le origini della guerra civile, sicuramente economiche, erano anche legate a doppio filo alla questione della schiavitù (gli Stati del Sud combattevano contro il nord del presidente Lincoln, nel quale non si riconoscevano, proprio perché abolizionista).
E nel 1865 - a guerra finita - Lincoln abolì la schiavitù (ma ci volle ancora un secolo - e una lunga marcia - perché i neri potessero conquistare i diritti civili e politici).
Kenny Jones, senatore dello Stato del Mississippi, sta considerando insieme ad altri rappresentanti eletti, di presentare una proposta di legge per modificare la bandiera, disegno di legge da presentare nella prossima sessione di gennaio.
venerdì 19 giugno 2015
Charleston, Usa: il passato che non passa
Poche, pacate e profonde parole da parte di un uomo per il quale la storia del razzismo contro i neri d'America coincide con la storia della propria famiglia. Martin Luther King III.
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Un neo soul di protesta
Washington abbiamo un problema: Ferguson
The superficialities of race
lunedì 15 giugno 2015
15 de Junio 1977: elecciones libres
15 giugno 1977: le prime elezioni democratiche in Spagna dal 1936. Inizia la transizione spagnola alla democrazia, dopo il Franchismo.
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mercoledì 10 giugno 2015
10 giugno 1940
"Combattenti di terra, di mare e dell'aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni Uomini e donne d'Italia, dell'Impero e del regno di Albania. Ascoltate! Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano. (...) La nostra coscienza è assolutamente tranquilla Con voi il mondo intero è testimone che l'Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l'Europa ma tutto fu vano.
Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l'eternità; bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie, che si è palesata soprattutto micidiale per coloro che le hanno accettate; bastava non respingere la proposta che il Fuhrer fece finita la campagna di Polonia. Oramai tutto ciò appartiene al passato. Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una guerra, gli è che l'onore, gli interessi, l'avvenire ferreamente lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia.
Noi prendiamo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime: noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l'accesso all'Oceano.
Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione, è lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l'oro della terra, è la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli israeliti e volgenti al tramonto; è la lotta tra due secoli e due idee. (...)
Italiani!
In una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi che secondo le leggi della morale fascista quando si ha un amico si marcia con lui sino in fondo. Questo abbiamo fatto e faremo con la Germania, col suo popolo, con le sue meravigliose forze armate.
In questa vigilia di un evento di una portata secolare, rivolgiamo il nostro pensiero alla Maestà del Re imperatore, che, come sempre, ha interpretato l'anima della patria. E salutiamo alla voce il Fureher, il Capo della Grande alleata Germania.
L'Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta, come non mai.
La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti
Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all'Italia, all'Europa, al mondo!
Popolo italiano corri alle armi e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!"
10 giugno 1940 con queste scellerate parole Benito Mussolini dichiara l'ingresso dell'Italia nel secondo conflitto mondiale. Quello che avete letto è il testo del discorso di Mussolini da palazzo Venezia, Roma.
(tratto da E. Collotti, La seconda guerra mondiale Loescher, Torino 1973).
martedì 9 giugno 2015
Turkey: one parliament for four parties
Recep Tayyip Erdoğan |
Turkey had a really
interesting general election which ended
13 year Ak Party majority government. After this election there will be 4
party represented in the parliament.
AKP (Justice and Development Party) was founded 13 years ago by giving hope to the oppressed people and promising advance democracy, political stability and fair economy, they promised to fight against corruption, poverty and prohibitions. They have delivered some of their promises and won 3 consecutive elections and increased their vote
every time. However, as they increased their power in politics, they have become less tolerant to people who do not agree with their policies. As a result, 2 years ago many street protests erupted in the streets of Istanbul and the country. The police state they have created pressured secular people of Turkey. During their rule many journalists were jailed too. In December 2013, a corruption operation carried out by the police uncovered a lot of wrongdoings by 4 ministers as well as the prime minister of the time, Mr Erdogan. $ Ministers had to resign but AKP blocked any trial on the Constitutional Court. AKP accused a Muslim cleric for creating "parallel state" in the police force and justice departments and carrying out this false accusations. After short time, all arrested in the operations (including cabinet ministers' sons) were released and the policemen and public prosecutors who uncovered the corruption were put in jail instead. In August 2014, AKP leader Mr Erdogan was elected as the president by securing 52% of the votes, and former foreign minister replaced him as the new leader.
However, even though according to the Constitution president should be impartial, Mr Erdogan has constantly interfered with the party politics and acted as president, prime minister and the AKP leader. In the last election campaign he organised election rallies on the state budget and actively asked people to vote for AKP. During his campaign he targeted HDP (People's Democratic Party) in particular and he wanted that party to fail getting enough votes to pass election threshold (10%). (This threshold was put in place by the military rule in 1980s and it is the highest threshold in the world.) Mr Erdogan thinks that president does not have enough powers and the parliamentary system should be changed to presidential system and most decisions should be made by the president. On a separate note, president Erdogan had himself a 1150 room very luxury presidential palace built and many people thought it was a big waste of public money while many people suffer with their low incomes. As a result of corruption cover up, luxury life style, unlawful arrests and the discriminatory language used by AKP and the president, people of Turkey withdrew their support to AKP but they remain as the largest political.
The big winner of this election was HDP! (People's Democratic Party) They had a huge hurdle (the threshold) to come over. They have run very active, positive and peaceful campaign. Their manifesto was one of the most democratic manifestos I have ever seen. They tried to reach out to non-Kurdish people and show them their party is not a Kurdish party but Turkey's party. They selected half of their candidates from women. Their party structure is also different from the rest as they have 2 equal leaders a woman and a man. They also had many candidates from different ethnic groups. They claim that
they would like to remain part of the country as equal citizens. They say peace
is possible within the politics. They kicked off their campaign by addressing
Mr Erdogan and telling him "We will not make you the president!", and
this statement got them a lot of "lent" votes from CHP (Republican People's
Party). Even though many people in Turkey were (and still are) sceptical about
HDP because of their ties with Kurdish terrorist organisation PKK, they managed
to increase their vote from 6.5% to 13%. They will have 80 MPs in the parliament, including 31 women. I believe they now have a great task of delivering their promises of being everyone's party, helping establish peace and stopping Erdogan becoming president, of course!
Here are some interesting and good facts about this election result and campaign:
1- Opinion Representation in
the parliament: 95%
2- Women representation in the
parliament: 96 MPs (18%) highest ever!
3- Participation in Election:
85%
4- Collapsed anti democratic
threshold.
5- HDP as the party of
Turkey's nations and Kurdish representation the parliament.
6- HDP's peaceful messages to
everyone.
And the worst thing to see during this campaign was that the division and hatred between different groups of people. I believe this is the result of 13 yearlong AKP ruling and the
irresponsible language they have been using.
irresponsible language they have been using.
Finally here are some information links for the 4 main political parties in Turkey:
1- AKP (Justice and Development Party) - http://en.wikipedia.org/wiki/Justice_and_Development_Party_%28Turkey%29
2- CHP (Republican People's Party) - http://en.wikipedia.org/wiki/Republican_People%27s_Party_%28Turkey%29
3- MHP (Nationalist Movement Party) - http://en.wikipedia.org/wiki/Nationalist_Movement_Party
4- HDP (Peoples' Democratic Party) - http://en.wikipedia.org/wiki/Peoples%27_Democratic_Party_%28Turkey%29
lunedì 8 giugno 2015
Cameron: sì al referendum e sì all'Europa
Photograph: Carl Court/Getty Images |
“I’ve been very clear. If you want to be part of the
government, you have to take the view that we are engaged in an exercise of
renegotiation, to have a referendum and that will lead to a successful
outcome.”
A parlare è il Primo Ministro inglese David Cameron, di
fronte ai giornalisti, in occasione del G7 in Germania.
Si riferisce al referendum sulla membership inglese all'Ue, promesso dal suo stesso governo e da realizzarsi entro il 2017.
Si riferisce al referendum sulla membership inglese all'Ue, promesso dal suo stesso governo e da realizzarsi entro il 2017.
Appartenenza alla casa comune europea: sì o no?
"I
membri del governo - spiega Cameron - dovranno sostenere al campagna per il sì,
impegnandosi nel processo di rinegoziazione che Londra chiede a Bruxelles circa
le regole del gioco".
"David Cameron - si legge sul The Guardian - has given his
clearest warning that he will sack any government minister who wants to
campaign to quit the European Union, insisting the government will not be neutral once he has
struck a deal on a new relationship with the EU.
Le sue affermazioni
hanno sollevato qualche polemica: le voci critiche chiedono il riconoscimento
della libertà di voto per i membri del governo.
David Cameron ha
tentato una marcia indietro, dicendo che le sue parole sono state - cito - "over
interpreted" e che lui
si riferiva solo al fatto che i ministri dovessero condividere la
responsabilità collettiva durante il processo di rinegoziazione delle regole
di appartenenza e di funzionamento dell'Ue.
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