martedì 27 dicembre 2016
To George. By Frank.
Pubblicata nel 1990 dal Lo Angeles Times, la lettera è stata ripresa oggi da un Tweet della giornalista Catherine Rampell, a seguito della morte di George Michael, avvenuta il 25 dicembre 2016.
giovedì 22 dicembre 2016
Christmas Advert/3
Continua il viaggio tra le più belle pubblicità di questo Natale 2016.
Oggi approdiamo ad un vero e proprio short musical, by Sainsbury's.
Un papà troppo impegnato trova il modo per trascorrere più tempo con la propria famiglia.
Perché... "Christmas is for sharing"!
giovedì 15 dicembre 2016
lunedì 12 dicembre 2016
Christmas Advert 2016/1
Come da tradizione, Chi più ne ha più ne metta ogni Natale segue con particolare attenzione le pubblicità natalizie del mondo anglosassone, curate come dei piccoli film, delle chicche da non perdere.
Cominciamo con John Lewis, la catena di negozi made in London! Enjoy!
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lunedì 28 novembre 2016
#SìoNo
Anche "Chi più ne ha più ne metta" ha deciso di affrontare il tema della Riforma Costituzionale, che siamo chiamati a votare la prossima domenica, 4 dicembre 2016.
E lo fa con l'aiuto di due esperti, il costituzionalista Mauro Volpi (docente all'Università di Perugia) ed Oreste Massari (professore di Scienza politica all'Ateneo "La Sapienza" di Roma). Il primo a favore del "no", il secondo favorevole all'opzione del "sì".
I due hanno risposto ad una breve intervista esclusiva per questo Blog. Le domande poste sono le stesse per entrambi, così come lo spazio per le risposte.
Ecco le loro opinioni!
Vorrei
votare per l’abolizione del CNEL, ma non posso farlo perché la riforma modifica
insieme 47 articoli della Costituzione, violando la libertà di voto dei
cittadini, che possono solo dire No o Si a tutto. La riduzione dei costi della
politica, esaltata con toni qualunquistici, è risibile. La mancata riduzione
del numero dei deputati dà un peso abnorme alla maggioranza artificiale creata
dall’Italicum nel Parlamento in
seduta comune che elegge il Presidente della Repubblica e altri organi di
garanzia.
*****
ORESTE MASSARI: perché voto Sì a questa riforma
E lo fa con l'aiuto di due esperti, il costituzionalista Mauro Volpi (docente all'Università di Perugia) ed Oreste Massari (professore di Scienza politica all'Ateneo "La Sapienza" di Roma). Il primo a favore del "no", il secondo favorevole all'opzione del "sì".
I due hanno risposto ad una breve intervista esclusiva per questo Blog. Le domande poste sono le stesse per entrambi, così come lo spazio per le risposte.
Ecco le loro opinioni!
MAURO VOLPI: perché voto NO a questa riforma
1)
Qual è l'aspetto che meno apprezza della riforma?
Il prof. Mauro Volpi |
Nel
metodo la riforma è stata parte integrante del programma politico del Governo
ed è stata approvata dalla sua maggioranza. In questo modo la Costituzione
viene trasformata da casa comune in atto politico di parte. Nel merito darebbe
vita ad un Senato non più eletto dai cittadini, con consiglieri regionali e
sindaci che cumulano le cariche e che produrrebbe sicuri conflitti con la
Camera. Infine la riforma salva i privilegi (e gli sprechi) delle Regioni a
statuto speciale.
2)
C'è un aspetto che apprezza della riforma?
3)
Qual è il suo giudizio complessivo del testo di riforma?
È
una “deforma” che stravolge la Costituzione anziché fare gli aggiornamenti
necessari. Usa un linguaggio incomprensibile dalla maggioranza dei cittadini. Il
suo senso complessivo è la centralità del Governo a scapito della
rappresentanza e della partecipazione. La forma di governo parlamentare viene
trasformata in “premierato assoluto” con un “capo” del Governo investito dal
popolo che deciderà di tutto senza i necessari contrappesi. Infine la deforma
ricentralizza il potere a scapito delle (sole) Regioni a Statuto ordinario e
attribuisce al Governo il potere di decidere “grandi opere” senza tenere conto
della opinione delle comunità coinvolte.
4)
Ritiene che la riforma sia, o meno, una priorità
nell'attuale panorama politico - istituzionale italiano? Perché?
La
vera priorità: riforme strutturali per migliorare le condizioni di vita dei
cittadini e dare lavoro ai giovani anziché pregiudicare i diritti al lavoro,
alla salute, allo studio, all’ambiente. Non serve una “grande riforma” della
Costituzione, come i fallimenti precedenti dimostrano, ma aggiornamenti per far
funzionare meglio le istituzioni e tutelare i diritti. Ci vuole una grande
riforma della politica che non deve più parlare alla pancia, ma alla mente e al
cuore delle persone.
1) Qual è l'aspetto che più apprezza della riforma?
Il prof. Oreste Massari |
La radicale correzione della riforma del 2001 del titolo V della Costituzione, relativa ai rapporti tra Stato e Regioni, con l’eliminazione della legislazione concorrente – che aveva dato luogo a un interminabile e numeroso contenzioso davanti alla corte Costituzionale – e l’inserimento della clausola di supremazia in capo allo Stato allo scopo di far prevalere l’interesse pubblico nazionale sugli interessi, pur legittimi, locali. E’ una risistemazione più razionale dei rapporti Stato-Regioni, superando le degenerazioni del federalismo leghista.
2) Qual è l'aspetto che meno apprezza della riforma?
La composizione e le funzioni del Senato. Fare i consiglieri o i sindaci e poi svolgere contemporaneamente le funzioni di senatore è un compito difficilmente svolgibile, se non a detrimento o dell’assemblea regionale o del Senato. Il Senato, inoltre, non è fondato sulla rappresentanza delle Regioni, come avviene nel Bundesrat, ma sulla rappresentanza partitica.
I senatori si devono poi occupare d’importanti leggi, come quelle costituzionali, quelle relative ai Trattati UE – quindi ben al di là della funzione di raccordo tra Stato e autonomie locali – ma in questo no rappresentano più la nazione!
3) Qual è il suo giudizio complessivo del testo di riforma?
La riforma contiene molte luci e molte ombre, ci sono molte contraddizioni, molti pressappochismi, ma complessivamente mi pare che i pro superino i contro. Tra gli elementi positivi occorre citare la previsione del giudizio preventivo delle leggi elettorali, l’introduzione dei referendum propositivi e d’indirizzo, la possibilità di avere un quorum più basso per i referendum abrogativi, il vincolo dato alle Camere di esaminare le leggi d’iniziativa popolare, ecc. Sono queste ultime tutte innovazioni che potenziano la partecipazione popolare, legandola più strettamente alla possibilità che quest’ultima pesi nella sfera decisionale.
4) Ritiene che la riforma sia, o meno, una priorità nell'attuale panorama politico -
istituzionale italiano? Perché?
Certamente è una priorità, in quanto permette una maggiore semplificazione e razionalizzazione nel circuito rappresentanza-governo, dando a quest’ultimo gli strumenti – come la corsia preferenziale, ma limitando l’abuso dei decreti legge – per svolgere al meglio le sue funzioni di esecutivo. L’approvazione della riforma è, inoltre, un passaggio importantissimo per l’immagine che l’Italia offre di sé al mondo intero, dimostrando di essere in grado di affrontare le varie sfide, sia sul piano delle riforme istituzionali, sia conseguentemente di quelle economico-sociali. La vittoria del No sarebbe interpretata dall’opinione pubblica mondiale come il terzo atto della rivolta antiestablishment, dopo la Brexit e dopo la vittoria di Trump.
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venerdì 11 novembre 2016
lunedì 27 giugno 2016
Brexit: a scottish point of view
Nate Kitch's illustration (The Guardian) |
Kirstie, what's your opinion on what is happening in the Uk?
It's very tricky. Some wanted out and some voted in spite without thinking of the consequences. It's a bit of a shock that it's gone through for everyone. I hope it gets rejected in parliament, Nicola Sturgeon and her MPs are potentially going to reject the leave of the EU on behalf of Scotland which would veto it. She is frantically trying to keep Scotland in as the majority here want in.
What do you think about the geographic distribution of the vote?
The main point is that most of the big cities voted to stay as they no the benefits of membership due to being diverse where as rural people voted out. Older people tended to vote out more than the young as they want to go back to the 'good old days' and lots of young people didn't vote at all. But the old days are gone and that has nothing to do with EU. It's sad that the poor areas that benefit from extra funding are the ones that voted out! I believe most people who voted out don't know much about the issues and the leave campaign was targeted at people who think our problem are due to lots of foreign people clogging up our systems which isn't true. It was a shock to a lot of people who voted no as they didn't think it was going to actually happen. But nobody knows what's going to happen, everything is all over the place and people are petitioning government to have another vote.
EuRef has represented a severe political conflict...
Aparently Boris Johnson, who lead the leave side, decided to go for leave campaign so that he would be against Cameron and show himself to be a good candidate but never actually wanted to win. It looks like it was a vanity contest. A friend of Boris said he wrote 2 articles, one for leave and one to stay. His friend read them and said stay was more passionate but he said he had to go for leave as he wanted to go against Cameron to show himself in the lime light. Nobody wants Boris to be prime minister, in fact I think anyone who goes against him would get it. Everyone is blaming Corbyn as the reason so many people voted to leave as he couldn't unite them. Everyone on the leave side looks miserable and stressed I don't think they know what they are doing or actually wanted to win. Cameron looks stressed, looks like it's tough times!
What do you think Scotland should do?
I didn't want independence as I liked being part of the UK, but this has swung me more to the side of independence as I'd rather be part of the EU but I'd want to take London and Northern Ireland to as they want to be in the EU. I trust Nicola to act for Scotland though. I hope it all gets fixed but I don't know, it all looks bleak at the moment. The only positive think is the Scottish government fighting for it, if that wasn't going on it would be incredibly depressing here!
Tell me something about the perception on "migration" issue.
First of all, I just hope everyone outside of the UK doesn't think we all hate Europeans! I have lot of friends here from all over Europe who have lived here for years and are scared about the future. I think people are getting greedy and wanting to fend for themselves. The whole point of the EU is to help each other, scary how people are getting so anti immigration. My colleague is Muslim and gets shouted at every so often to get out the country. I still have hope that it'll be fixed somehow...
This morning Boris Johnson said UK will continue to "intensify" cooperation with EU following referendum result, what do you think about it?
He is right, now is the time to build bridges, our country needs it. I am interested to see how the leave result will work in practice and how they plan to unite people again. The fractions are deep and it won't be easy, Especially as it will effect all our lives especially our non British citizen colleuges, neighbours and friends living here who contribute so much. I hope what we end up with is not too different to what we have at the moment but I suppose all we can do at the moment is wait and see what the next move is in what feels at times like a political chess game.
Kirstie McDonald, 26, accountant, lives in Edinburgh. She works in small business and charity sector.
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mercoledì 22 giugno 2016
"Ma tu per chi voti?": elettori in crisi a Roma ai tempi di Renzi e Grillo
Virginia Raggi, neo sindaco M5S a Roma |
“Tu voti a Roma? Non ti invidio per niente”.
Per mesi questo ritornello ha accompagnato molte delle conversazioni che ho avuto con amici, parenti, colleghi, conoscenti. Perché è indubbio che, per una parte di elettorato romano, queste elezioni appena vinte al ballottaggio da Virginia Raggi non sono state facili. C’era anche chi, con sincera preoccupazione, non faceva altro che chiedere: “Ma tu per chi voti?”. Perché il problema era tutto qui. Mai come questa volta ho percepito nelle persone che avevo intorno un senso di frustrazione all’idea di dover andare al seggio elettorale ed esprimere la propria preferenza.
Non sono mai stata di destra e non sono un’elettrice del Pd, mi considero di sinistra anche se ho sempre faticato a trovare forze politiche e coalizioni che rappresentassero appieno quello che erano le mie idee. L’esempio migliore che mi viene in mente per descrivere questa situazione è quello che è successo nel mio municipio, il XII, un quartiere dove per vent’anni ha regnato incontrastato il centrosinistra e che ora è passato ai Cinque Stelle. Il XII è molto più vasto e contraddittorio di Monteverde, il suo cuore più radical chic, dove è di casa Bobo Giachetti, ma pure Nanni Moretti, tanto per dirne uno: è un quartiere periferico ma non troppo ai margini dell’impero, diciamo anche stimolante sotto certi aspetti per quanto riguarda la varietà di persone che lo hanno sempre abitato, dai villini a ridosso di villa Pamphili alle palazzine nate una sull’altra tra gli altri anni Quaranta e Cinquanta attorno al Forte Bravetta, quando davvero “qui una volta era tutta campagna”, fino ai suoi confini più estremi quasi vicino al Raccordo, strozzato da notevoli problemi di sicurezza, traffico e degrado cresciuti negli ultimi anni. Stavolta si respirava un’aria diversa e, parlando con la gente, c’era l’idea che il Pd nel quartiere fosse in affanno, soprattutto lontano da Monteverde, e che probabilmente avrebbe dovuto lottare parecchio. Io come altri credevo che la battaglia si sarebbe consumata con il centrodestra, finendo al ballottaggio. Ma domenica scorsa si sono affrontate invece l’ex minisindaco uscente del Pd e la candidata del M5S. Probabilmente, chiamati a votare tra “destra” e “sinistra”, come bene o male si era quasi sempre fatto seppur masticando amaro, anche stavolta si sarebbe votato “turandosi il naso” per il Pd. Anche se Renzi non piace, anche se Marino e tutta la tragicommedia di quei mesi tormentosi ha lasciato scottati, anche se gli scandali, le mazzette e le inchieste ha fatto schifo a tutti. E invece si è votati a maggioranza per i Cinque Stelle.
Via Fabiola, sede del municipio XII, dista dal Campidoglio poco più di quattro km in linea d’aria. Rispetto chi ha votato per i Cinque Stelle e li capisco, sia per i singoli municipi sia per il sindaco. Come si fa a non voler votare chi promette intransigenza, pugno duro contro la corruzione e zero favoritismi? Come si fa a non ammettere nemmeno con se stessi che la politica dovrebbe essere proprio così, in fondo, senza compromessi?
Ma al tempo stesso come si fa però a votare un’emanazione del Sacro Blog? Come si fa a votare per chi, al netto dell’onestà, rischia sempre di apparire come dilettanti allo sbaraglio in gioco che via via diventa sempre più grande e rischioso?
Le domande che da anni accompagnano il fenomeno dei Cinque Stelle, i discorsi che si facevano davanti al tg dove scorrevano le immagini di Parma, Livorno e altri comuni governati dai grillini, all’improvviso erano quelle che sentivi davanti all’ingresso del seggio nella tua scuola elementare, quella dove sono andati i tuoi genitori, i tuoi amici, dove vanno i tuoi figli.
Al posto di amministratori locali di “professione”, gente che conosce ogni segreto di quel territorio, come si fa a metterci ragazzi di trent’anni appena, senza alcuna esperienza? Per non parlare poi della retorica del “!!1!1!” e del trionfo del qualunquismo che il più delle volte sembra accompagnare le uscite grilline su temi importanti e fondamentali della vita dei cittadini, dal debito alle grandi opere pubbliche. Certo, gli altri non sono meglio, si dice. Giachetti è la classica brava persona, ma, come ha raccontato lui stesso sconfortato: “Mi ascoltavano. Poi dicevano: senti, nun è ‘na cosa personale. È che tu rappresenti il Pd. Ce dispiace, ma nun te votamo”. Da un lato un partito nuovo e relativamente vergine, un partito che di certo non può essere responsabile di tanti dei guai che affliggono Roma, alcuni addirittura endemici, dall’altro un partito che non può nascondersi dietro un dito e non può certo dire: “Io non c’ero e se c’ero dormivo”. I Cinque Stelle hanno convinto la maggioranza e ora tocca a loro. Alla fine ha vinto anche la novità, aiutata forse anche da un certo cinismo romanesco, quello che davanti a qualsiasi lanzichenecco che viene porta il romano a fare un’alzata di spalle e tornare beffardo ai propri affari, perché tanto Roma è così e nun ce poi fa gnente (sull’atteggiamento dei romani, i peggiori cittadini d’Italia, bisognerebbe però qui aprire un capitolo a parte, senza tirare in ballo la storia che Roma è comunque la città più bella del mondo e che se non ti piace e vuoi criticarla puoi benissimo tornartene da dove sei venuto, tanto “c’avete solo la nebbia”).
“Ne abbiamo avuti tanti, proviamo pure questi”, è stata la frase che ho sentito ripetere più spesso dopo il voto. Vero. “Peggio di altri è difficile che possano fare”. Verissimo. Speriamo. Perché sì, io non solo voto a Roma ma a Roma ci vivo e vorrei finalmente vederla diventare una città come tutte le altre e non il regno dell’assurdo, dove tutto ciò che non è augurabile di solito accade. E non vorrei vederla passare dalla padella alla brace, dal notaio delle dimissioni di Marino alla Casaleggio Associati, dal centralismo renziano al verbo grillino.
Giornalista, vive e lavora a Roma. Scrive di politica, media e cultura per Today.it.
mercoledì 15 giugno 2016
Brexit and the City
Uno degli aspetti più interessanti (e più complessi) del dibattito inglese sull'appartenenza all'Unione è la posizione della City - importantissimo comparto finanziario della capitale inglese - con riferimento al voto del 23 giugno.
Fino a qualche mese fa, la vulgata più diffusa voleva che broker e banchieri all'ombra di St. Paul fossero compatti a favore della separazione da Bruxelles: troppe regolamentazioni da parte dell'Unione, la finanza inglese ha bisogno di mano libera. E invece, nelle ultime settimane, si sta profilando qualcosa di molto differente. Anzitutto la City non è affatto compatta.
"Quasi il 49% dei professionisti della City sono certi di votare no alla Brexit, mentre un altro 24% è probabile che lo faccia", stando ai dati del Center for The Study of Financial Innovation riportati da Politico. Quasi 3 banchieri e operatori di borsa su 4 intendono rimanere con Bruxelles.
E non basta, si è anche prodotta una profonda spaccatura intergenerazionale: la nuova classe di operatori della finanza si schiera a favore della permanenza nell'Unione, mentre i senior preferirebbero uscirne. "Nella City più giovani sono molto più eurofili degli anziani: l'80% di coloro tra i 18 e i 30 anni voteranno a favore della appartenenza all'Unione".
Daniel Hodson - leggiamo sul WSJ - si è fatto un nome nella City di Londra negli anni '90. Oggi vorrebbe portarla fuori dall'Europa. "La nostre reali possibilità sono fuori dal Vecchio Continente: sono a New York, a Singapore, ad Hong Kong", dice l'ex banchiere, mentre sorseggia un bicchiere di vino rosso in una sala gotica tappezzata di arazzi raffiguranti cavalieri giostranti e oli su tela che descrivono l'incoronazione di Elisabetta II. A solo mezzo chilometro di distanza, Xavier Rolet, francese del London Stock Exchange PLC, è in pensiero per il futuro del distretto finanziario inglese. L'uscita dall'Unione "sarebbe un brutto colpo per la City", dice, nel suo ufficio moderno, affacciato sulla Cattedrale di St. Paul. Invece, i "grandees" come Mr Hodson - che hanno fatto carriera prima della crisi finanziaria - la vedono pressappoco così: l'Ue soffoca il distretto finanziario con il cosiddetto "red tape", che sta per eccessiva regolamentazione, divenendo al contempo un partner commerciale sempre meno vantaggioso.
A prescindere dalle generazioni, la spaccatura è netta. Dal Financial Time leggo: "Una significativa mole del commercio finanziario attualmente gestite da Londra scompariranno se il Regno Unito lascia l'Unione", dice Alex Wilmot Sitwell, capo del settore europeo della Banca americana Merril Lynch. "non avverrà da un giorno all'altro, ma progressivamente verrà redistribuito in tutta l'Unione". I sostenitori della Brexit invece controbattono che la City continuerà a crescere se liberata dalle catene della burocrazia brussellese. "Fuori dall'Europa, non soffriremo di regolamentazione" dice Howard Shore, chairman dello Shore Capital Group, broker specializzato nelle piccole aziende. "Saremo in grado di liberalizzare la nostra economia, predisponendo regole e contesti adeguati a noi". Il Regno Unito, insomma, dovrebbe restaurare un light-touch regulation model per meglio adattarsi alle economie emergenti dell'Asia e del Medio Oriente.
Le considerazioni che circolano in questi ambienti, poi, richiamano nel dibattito anche altri elementi.
Ad esempio il fatto che la City abbia, di fatto, beneficiato anche di qualcosa di cui non è parte: la creazione dell'Euro. L'unione monetaria, infatti, ha creato un mercato finanziario a valuta unica la cui capitale è Londra, anche se l'Inghilterra ha scelto di non far parte dell'area-Euro. In altri termini, la City ha prosperato fuori dall'Eurozona ma largamente grazie all'Eurozona.
Ad esempio il fatto che la City abbia, di fatto, beneficiato anche di qualcosa di cui non è parte: la creazione dell'Euro. L'unione monetaria, infatti, ha creato un mercato finanziario a valuta unica la cui capitale è Londra, anche se l'Inghilterra ha scelto di non far parte dell'area-Euro. In altri termini, la City ha prosperato fuori dall'Eurozona ma largamente grazie all'Eurozona.
Inoltre, il Regno Unito potrebbe uscirsene proprio quando l'Ue sta imbastendo una riforma che potrebbe dare maggiori opportunità agli operatori della City: il cosiddetto "Capital Market Union" (qui), il mercato unico dei capitali, disegnato al fine di eliminare le rimanenti barriere nazionali alla libera circolazione dei capitali.
Insomma, è proprio il caso di dire... we will see.
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martedì 14 giugno 2016
giovedì 9 giugno 2016
To Brexit or not to brexit?
To Brexit or not to brexit? That is the question.
Intanto, godiamoci questa breve animazione del Guardian per fare il punto sulle principali ragioni del leave e del remain.
I prossimi giorni, su Chi più ne ha più ne metta, approfondiremo il tema, con video, interviste e quant'altro.
Enjoy!
lunedì 16 maggio 2016
Campagna contro l'uso dell'etichetta "gufi" in politica
Capita di questi tempi, in politica, di vedere affibbiata sempre più spesso l'etichetta di "gufi" a coloro che esprimono valutazioni critiche con riferimento alle scelte degli amministratori pubblici.
Ora, posto che disfattismo e scetticismo esercitati in maniera fine a se stessa non sono mai auspicabili, di questa renzianissima retorica del gufo non se ne può francamente più.
E per varie ragioni.
Anzitutto perché non è accettabile che il dibattito pubblico e la (sacrosanta) messa in discussione delle scelte della politica vengano delegittimati con simile superficialità: in democrazia è bello, oltre che opportuno, rispettare la dialettica e l'espressione delle opinioni. Anzi, il (vero) politico, colui che ha veramente a cuore la polis, dovrebbe rallegrarsene: si tratta di sintomi di un tessuto sociale vivo, capace di elaborare idee ed esercitare spirito critico.
Oppure la politica - e rischia di essere una domanda retorica - si nutre solo del consenso informe, dell'apatia dei cittadini, in letargo perenne una volta esercitata la delega attraverso l'urna (evenienza, questa, sempre più rara)?
Ma non se ne può più anche perché la "retorica del gufo" viene utilizzata in politica ma esula dalla politica: non è, infatti, politicamente maturo annientare opinioni difformi o addirittura (lesa maesta!) opposte attraverso argomentazioni che non riguardano il merito delle scelte e dell'agire pubblico, ma che richiamano ad altre categorie, di natura morale e comportamentale.
In altri termini: "a te, gufo, neanche rispondo nel merito, perché sei ontologicamente pessimista, disgraziato e iellato e, in quanto tale, non meriti nulla".
Insomma, la sparata renziana dei "gufi e rosiconi", che risale oramai a svariato tempo fa, sembra essere stata assimilata nel linguaggio politico, degli amministratori pubblici e - ahinoi - anche dei media. Retorica spicciola, in grado di imperversare a destra come a sinistra, sia a livello nazionale che locale, impoverendo terribilmente il dialogo sulla cosa pubblica.
lunedì 9 maggio 2016
9 maggio: #EuropeDay
Ho partecipato alla rubrica Buongiorno Europa della Tgr dell'Umbria il giorno 9 maggio per parlare dell'anniversario della Dichiarazione Schuman e dei principali appuntamenti in Umbria legati a questa ricorrenza.
9 MAGGIO 1950 - Dichiarazione Schuman
La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.
Il contributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. La Francia, facendosi da oltre vent'anni antesignana di un'Europa unita, ha sempre avuto per obiettivo essenziale di servire la pace. L'Europa non è stata fatta : abbiamo avuto la guerra.
L'Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L'unione delle nazioni esige l'eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l'azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania.
A tal fine, il governo francese propone di concentrare immediatamente l'azione su un punto limitato ma decisivo.
Il governo francese propone di mettere l'insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un'organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei.
La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime.
La solidarietà di produzione in tal modo realizzata farà si che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile. La creazione di questa potente unità di produzione, aperta a tutti i paesi che vorranno aderirvi e intesa a fornire a tutti i paesi in essa riuniti gli elementi di base della produzione industriale a condizioni uguali, getterà le fondamenta reali della loro unificazione economica.
Questa produzione sarà offerta al mondo intero senza distinzione né esclusione per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace. Se potrà contare su un rafforzamento dei mezzi, l'Europa sarà in grado di proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano. Sarà così effettuata, rapidamente e con mezzi semplici, la fusione di interessi necessari all'instaurazione di una comunità economica e si introdurrà il fermento di una comunità più profonda tra paesi lungamente contrapposti da sanguinose scissioni.
Questa proposta, mettendo in comune le produzioni di base e istituendo una nuova Alta Autorità, le cui decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, costituirà il primo nucleo concreto di una Federazione europea indispensabile al mantenimento della pace.Per giungere alla realizzazione degli obiettivi cosi' definiti, il governo francese è pronto ad iniziare dei negoziati sulle basi seguenti.
Il compito affidato alla comune Alta Autorità sarà di assicurare entro i termini più brevi: l'ammodernamento della produzione e il miglioramento della sua qualità: la fornitura, a condizioni uguali, del carbone e dell'acciaio sul mercato francese e sul mercato tedesco nonché su quelli dei paese aderenti: lo sviluppo dell'esportazione comune verso gli altri paesi; l'uguagliamento verso l'alto delle condizioni di vita della manodopera di queste industrie.
Per conseguire tali obiettivi, partendo dalle condizioni molto dissimili in cui attualmente si trovano le produzioni dei paesi aderenti, occorrerà mettere in vigore, a titolo transitorio, alcune disposizioni che comportano l'applicazione di un piano di produzione e di investimento, l'istituzione di meccanismi di perequazione dei prezzi e la creazione di un fondo di riconversione che faciliti la razionalizzazione della produzione. La circolazione del carbone e dell'acciaio tra i paesi aderenti sarà immediatamente esentata da qualsiasi dazio doganale e non potrà essere colpita da tariffe di trasporto differenziali. Ne risulteranno gradualmente le condizioni che assicureranno automaticamente la ripartizione più razionale della produzione al più alto livello di produttività.
Contrariamente ad un cartello internazionale, che tende alla ripartizione e allo sfruttamento dei mercati nazionali mediante pratiche restrittive e il mantenimento di profitti elevati, l'organizzazione progettata assicurerà la fusione dei mercati e l'espansione della produzione.
I principi e gli impegni essenziali sopra definiti saranno oggetto di un trattato firmato tra gli stati e sottoposto alla ratifica dei parlamenti. I negoziati indispensabili per precisare le misure d'applicazione si svolgeranno con l'assistenza di un arbitro designato di comune accordo : costui sarà incaricato di verificare che gli accordi siano conformi ai principi e, in caso di contrasto irriducibile, fisserà la soluzione che sarà adottata.
L'Alta Autorità comune, incaricata del funzionamento dell'intero regime, sarà composta di personalità indipendenti designate su base paritaria dai governi; un presidente sarà scelto di comune accordo dai governi; le sue decisioni saranno esecutive in Francia, Germania e negli altri paesi aderenti. Disposizioni appropriate assicureranno i necessari mezzi di ricorso contro le decisioni dell'Alta Autorità.
Un rappresentante delle Nazioni Unite presso detta autorità sarà incaricato di preparare due volte l'anno una relazione pubblica per l'ONU, nelle quale renderà conto del funzionamento del nuovo organismo, in particolare per quanto riguarda la salvaguardia dei suoi fini pacifici.
L'istituzione dell'Alta Autorità non pregiudica in nulla il regime di proprietà delle imprese. Nell'esercizio del suo compito, l'Alta Autorità comune terrà conto dei poteri conferiti all'autorità internazionale della Ruhr e degli obblighi di qualsiasi natura imposti alla Germania, finché tali obblighi sussisteranno.
sabato 7 maggio 2016
Sadiq Khan: "Grazie Londra"
Grazie Londra.
Londra è la più grande città al mondo, sono così orgoglioso della nostra città.
Sono profondamente riconoscente della speranza e dalla fiducia che avete riposto su di me.
Sono cresciuto a poche miglia da qui, dopo di che non immaginavo che uno come me potesse esere letto "uomo di Londra". Voglio ringraziare ciascuno di voi per aver reso possibile l'impossibile.
Ho grandi ambizioni per Londra, ambizione che mi guiderà ogni giorno da sindaco.
Voglio che ogni londinese possa cogliere le opportunità che questa città ha dato a me ed alla mia famiglia. L'opportunità non solo di sopravvivere ma di prosperare. La possibilità di costruire un futuro migliore per voi e per le vostre famiglie. Case decenti e accessibili. Più lavoro meglio pagato; non solo essere sicuri ma sentirsi sicuri, un'aria più pulita ed una città più sana. La possibilità per tutti di sfruttare al meglio le proprie potenzialità.
Sapete, ho pensato molto a mio padre, uomo meraviglioso. Sarebbe molto orgoglioso, oggi, di vedere che la città che decise di chiamare casa ha scelto suo figlio come sindaco.
Voglio ringraziare la mia stupenda madre e la mia meravigliosa moglie, le mie figlie e tutta la mia famiglia. Senza di voi non sarei qui oggi.
E voglio ringraziare tutti coloro che hanno lavorato così strenuamente durante questa campagna elettorale: al mio team che ha portato avanti una campagna strepitosa.
Ma voglio ringraziare anche tutti gli altri "campaign team"; la polizia e tutto lo staff che ha reso possibili le elezioni. Questa vittoria non è stata priva di difficoltà e sono particolarmente orgoglioso che la città abbia oggi scelto la speranza sulla paura e l'unità contro la divisione. Spero che non ci venga più offerta questa cruda alternativa.
La paura non ci rende più sicuri, ma solo più deboli. La politica della paura non è benvenuta nella nostra città. Faccio una promessa a Londra. La prima promessa della mia campagna elettorale:
prometto che sarò il sindaco di tutti i londinesi Lavorerò duro per rendere migliore la vita di ogni londinese, a prescindere dal background.
E di fare tutto quello che mi sarà possibile per assicurare le stesse opportunità che la nostra incredibile città ha dato a me. Grazie.
giovedì 28 aprile 2016
L'A B C di Schengen
Se ne parla tanto in questi mesi caratterizzati da una forte pressione migratoria in atto nei confronti del Vecchio Continente, mentre lo spettro di muri e reti divisorie ricompare più sinistro che mai.
Ma cosa è esattamente la cosiddetta "Area Schengen"? Come funziona e da quali regole è caratterizzata?
La storia ha inizio nel Lussemburgo, a Schengen appunto, nel 1985 in occasione della firma di un accordo intergovernativo il cui obiettivo è quello di garantire la libertà di circolazione delle persone, libera circolazione che - insieme a quella delle merci, dei servizi e dei capitali - ha costituito uno degli aspetti più evidenti dell'integrazione europea. Ogni cittadino dell'Unione può viaggiare, spostarsi e lavorare all'interno dei paesi europei senza intoppi alle frontiere.
Nel 1990 viene firmata la Convenzione che implementa l'accordo di 5 anni prima. Ma ci vuole un ulteriore lustro perché il sistema Schengen diventi realtà (1995), coinvolgendo - siamo all'inizio - solo 7 Stati. In altre parole, la cooperazione di Schengen permette di attraversare i confini interni senza essere sottoposti ai controlli alle frontiere.
Ad oggi qual è la situazione? Del sistema Schengen fanno parte 26 Stati, di cui:
• 22 Paesi appartenenti all'Ue, con eccezione di Bulgaria, Cipro, Croazia, Romania, Irlanda e Regno Unito
• 4 Stati NON UE, ossia: Islanda, Norvegia, Svizzera, Liechtenstein.
L'assenza de facto di frontiere interne, dunque, garantisce la libertà di movimento a 400 milioni di cittadini europei, così come a molti non cittadini europei. Ogni persona può attraversare le frontiere interne senza essere oggetto di controlli alla frontiera. Ciò non toglie che possano essere effettuati controlli di polizia disposti dalle autorità nazionali, purché la finalità del controllo non sia l'attraversamento della frontiera in quanto tale, ma altre esigenze di polizia e di informazione finalizzata alla tutela della sicurezza e della legalità.
Ma veniamo alle possibili sospensioni di Schengen: il sistema permette agli Stati membri di reintrodurre controlli alle frontiere in caso di eventi che minaccino seriamente la sicurezza pubblica e la sicurezza interna. Viene chiarito che: "la reintroduzione dei controlli alle frontiere deve rimanere un'eccezione, in linea con il principio di proporzionalità. Inoltre, l'estensione della sospensione della libertà di movimento deve essere strettamente legata alla sussistenza della minaccia.
Nonostante queste che potremmo definire "avvertenze", rimane il fatto che sospendere o meno la libertà di circolazione è prerogativa degli Stati Membri: la commissione europea può solo pronunciarsi sulla necessità e sulla proporzionalità della scelta del singolo Stato membro. Nessun veto UE è possibile in questo senso.
Esistono 3 fattispecie che permettono la reintroduzione di controlli alle frontiere:
1) In caso di "Eventi prevedibili" (es. eventi sportivi) : la durata della misura è limitata a 30 giorni rinnovabili (ma non per un totale che ecceda i 6 mesi). Lo Stato membro deve notificare questa decisione alla Commissione ed agli altri stati almeno quattro settimane prima della reintroduzione dei controlli alle frontiere.
2) Casi che richiedono azioni immediate: è possibile, per uno o più Stati membri reintrodurre i controlli alla frontiera senza preavviso e per la durata di 10 giorni. Commissione e altri Stati membri devono essere tempestivamente avvisati. i diedi giorni possono essere prolungati di venti giorni, entro un massimo di due mesi.
3) Casi in cui circostanze eccezionali mettono in crisi il sistema Schengen nel suo insieme.
In presenza di serie e persistenti minacce alla sicurezza interna e alla sicurezza pubblica, il Consiglio può, su proposta della Commissione, raccomandare che uno o più Stati membri reintroducano i controlli alla frontiera. Si tratta di una cosiddetta ultima spiaggia, misura tesa a salvaguardare un comune interesse dell'Area Schengen nel suo complesso.
Delineate le casistiche previste, vediamo alcuni casi recenti di sospensione del sistema Schengen:
Ma area Schengen non significa solo libertà di transito attraverso i confini interni, ma anche cooperazione in materia giudiziaria e di polizia con riferimento ai confini esterni. Le autorità degli Stati europei lavorano assieme a tutela della sicurezza dei cittadini e di coloro che viaggiano nel territorio europeo. L'abolizione dei controlli ai confini interni, non può - questo è il senso - andare a scapito della sicurezza. Dal momento che non esistono controlli ai confini tra gli Stati dell'area Schengen, i paesi UE hanno decido di unire le forze al fine di conseguire un duplice obiettivo: aumentare la sicurezza attraverso un efficace controllo delle frontiere esterne e facilitare l'accesso a coloro che hanno un legittimato interesse ad entrare nell'Unione.
Esistono anzitutto meccanismi di condivisione delle informazioni come il VIS, Visa Information System, che permette agli Stati Schengen di scambiare i dati dei visti, in particolare quelli relativi ai soggiorni brevi; Il SIS, Schengen Information System, invece, permette di scambiare dati sui sospetti criminali o persone che possono non avere il diritto di entrare e risiedere nel territorio dell'Unione.
Con riferimento specifico ai confini esterni, e dunque all'ingresso e transito dei non-europei, è di pochi giorni fa la notizia che la Commissione intende rafforzare il Sistema di informazione sulla sicurezza dei confini, attraverso il potenziamento di database e tecnologie per assicurare una migliore condivisione dei dati, nel rispetto della privacy (per maggiori informazioni qui).
Insomma, stando a quanto detto prima, la scelta dell'Austria con riferimento ai controlli al Brennero ed alla creazione di una frontiera anche fisica attraverso rete metallica, non sembrerebbe affatto rientrare nelle fattispecie previste dal diritto europeo.
martedì 26 aprile 2016
L'olio dei vicini
L'olio tunisino nel mercato Ue: pro e contro
Aumento dell’import di olio tunisino a dazio zero nell’Ue: contenuti del provvedimento e prospettive
Nelle ultime settimane si è molto discusso dell’approvazione da parte del Parlamento europeo di un piano di emergenza a favore della Repubblica Tunisina, secondo una proposta avanzata a settembre dalla Commissione europea. Il testo prevede l’immissione nel mercato europeo di 35 mila tonnellate l’anno di olio tunisino a dazio zero per il periodo 2016-2017, quantità che andrà ad aggiungersi alle 56 mila tonnellate non tassate annue già contemplate da precedenti accordi commerciali bilaterali.
Queste misure sono state approvate in virtù delle politiche di vicinato, attuate già dalla metà degli anni '90 dall’Unione verso i paesi limitrofi, che condividono i valori comuni della democrazia e del rispetto dei diritti umani, e con l’obbiettivo di accrescere la reciproca collaborazione politico-istituzionale e l'integrazione economica. Con questi accordi di cooperazione l’Europa si impegna a sostenere lo sviluppo tecnico, politico, sociale e finanziario dei paesi vicini. In particolare, la situazione della Tunisia, che ha intrapreso un lungo cammino verso la democrazia dopo la primavera araba del 2010, si presenta ora molto delicata: agli attentati del giugno 2015 nei pressi di Sousse è seguito il crollo del mercato del turismo, che ha portato con sé l’impoverimento della società e la perdita di posti di lavoro, innescando recenti rivolte civili. In questo quadro generale si è ritenuto di non poter ignorare le richieste di aiuto delle istituzioni di Tunisi, agendo da supporto commerciale nel campo dell’esportazione olivicola, che rappresenta il 50% del volume dell’export tunisino.
Daniel Rosario, portavoce per agricoltura e commercio della Commissione europea, in una dichiarazione all’ANSA ha parlato di una "necessità di importare", per consentire agli stock UE di recuperare, visto che il raccolto pur essendo cresciuto rispetto all’anno precedente è stato uno dei più bassi degli ultimi sette. Secondo lo stesso Rosario, inoltre, la quantità importata dalla Tunisia rappresenta una quota esigua inferiore al 4% del consumo annuo dei paesi europei. Riferendosi in particolar modo al mercato dell’olio in Italia, egli sottolinea che "è un mercato in deficit e ha bisogno di importare per coprire i bisogni del suo mercato interno e del suo export".
Secondo i dati emessi dalla Confagricoltura per il 2013, infatti, nella penisola si producono circa 450 mila tonnellate di olio l’anno, a fronte di un consumo e un export che sommandosi raggiungono 900 mila tonnellate. Per soddisfare la richiesta - dunque - si importano notevoli quantità di olio, il 12% da paesi non comunitari.
Tuttavia, per evitare un eccessiva penalizzazione dei produttori Ue, gli eurodeputati hanno inserito nel testo definitivo alcuni emendamenti che comportano: l’impossibilità di proroga dell'accordo commerciale oltre i due anni, il controllo della provenienza del prodotto per evitare il rischio contraffazioni, e una revisione intermedia in base all’impatto della manovra sul mercato dell’olio nell’Unione. Nel caso dalla revisione a medio termine si evincesse uno squilibrio, la Commissione può esercitare il diritto di imporre misure correttive o sospendere il regime preferenziale con la Tunisia. Si prevede, poi, che l’importazione delle ulteriori 35 mila tonnellate sia consentito solo una volta esaurito il precedente contingente tariffario annuale senza dazio, al fine di evitare un’introduzione massiva.
La Coldiretti, per voce del presidente regionale Umbro Agabiti, mostra però alcune perplessità sugli effetti che la manovra andrà a determinare. Dato l’aumento del volume di olio non tassato nell’economia Italiana, si avrà una diminuzione del prezzo di vendita all’ingrosso. La diminuzione non si rispecchierà però nel prezzo ultimo di vendita al dettaglio, ma si trasformerà in guadagno per le grandi imprese intermediare di commercializzazione dell’olio, ovvero quelle che operano il passaggio dai frantoi ai supermercati.
Inoltre, prosegue, a tutela del consumatore, l’attenzione deve concentrarsi su un’altra grande tematica: quella della tracciabilità e della garanzia di provenienza. L’ultima notizia di frode risale proprio ad un mese fa, quando la Guardia di Finanza ha bloccato oltre 2000 tonnellate di olio straniero con marchio made in Italy, smascherando un sistema di contraffazione che, partendo da Puglia e Calabria, andava ad interessare altre regioni fra cui l’Umbria.
È proprio sulla questione della tracciabilità che si focalizza fortemente la Coldiretti, che da tempo chiede più chiarezza delle etichette e auspica per il futuro un maggiore utilizzo dei test del DNA , tecnica già utilizzata e in grado di attestare le varietà e le zone di provenienza dell’olio.
Giulia Idolatri
(L'articolo è stato pubblicato sabato 23 aprile sul Corriere dell'Umbria - inserto Finestra sull'Europa).
giovedì 21 aprile 2016
La sovrana lettrice
"Fu tutta colpa dei cani. Di norma dopo aver scorrazzato in giardino salivano da veri snob i gradini dell'ingresso principale e generalmente li faceva entrare un valletto in livrea.
E invece quel giorno, per qualche ragione, si precipitarono di nuovo giù dai gradini, girarono l'angolo e la regina li sentì abbaiare a squarciagola in uno dei cortili.
La biblioteca circolante del distretto di Westminster, un grande furgone come quelli dei traslochi, era parcheggiata davanti alle cucine. Era un'ala del palazzo che a Sua Maestà non era molto familiare, e certo non aveva mai visto la biblioteca parcheggiata lì, vicino ai bidoni della spazzatura, e neppure l'avevano mai vista i cani, i che spiegava tutto quel baccano. Così la regina, non essendo riuscita a zittirli, salì gli scalini del furgone per andare a scusarsi".
Ed ecco il mio personalissimo modo di celebrare il 90° compleanno di Queen Elizabeth II, raccontandovi di un libro fantastico, "la sovrana lettrice", di Alan Bennett (2007, edito in Italia da Adelphi). Per puro caso la Regina scopre oggetti (per lei) strani e (sinora) trascurati: i libri. Da quel momento, non può più farne a meno: leggere diventa la sua principale attività e la sua passione interferisce - con modalità profondamente comiche - con i suoi impegni istituzionali.
Tra una visita ad un caseificio nel Galles e una puntata in Norfolk, anche soli cinque minuti sono buoni per estrarre dalla borsetta color pastello il libro del momento, mentre primi ministri e capi di stato vengono interrogati sulle loro - spesso assenti - passioni letterarie.
Ma, tranquilli: niente, spoiler, qui, perché il finale è ... tutto da scoprire.
Bennett, del resto, oltre che scrittore, è drammaturgo, sceneggiatore e attore britannico e ci rimanda, col suo scrivere, una Elisabetta fenomenale, nelle cui azioni realtà e finzione si mescolano. Il risultato? Credibile (anzi, auspicabile: chi non vorrebbe una regina così?) e affascinante. E molto, molto, divertente.
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