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martedì 18 febbraio 2014

Il teatro della politica



«Da uomini di teatro sappiamo che una personalità come quella di Renzi gioca tutto sulla velocità, sull'incantamento, sulla prestigiazione. 
Quindi bisogna essere veloci affinché l'incantamento non termini». 

Con queste parole ha catturato la mia attenzione, Ruggero Cappuccio, regista e attore teatrale, ospite ieri sera a Linea Notte, edizione notturna del Tg3. 
Si parla, ça va sans dire, di Matteo Renzi, come non può essere altrimenti, nel giorno del conferimento dell'incarico di governo. 
E immaginifico come solo può esserlo chi produce arte, Cappuccio descrive la politica dei nostri tempi con una metafora, suggestiva e calzante: 
«Gli italiani hanno la netta sensazione che Camera e Senato siano diventati una sorta di Hotel Excelsior: se vincete voi, le suites a voi e le camere a noi, se vinciamo noi le suites a noi le camere a voi. L'importante è che nessuno esca dall'albergo. E se a qualcuno, di notte, occorre una bottiglia di Dom Pérignon, basta bussare e ve la allunghiamo». 
Questa, secondo Cappuccio, è una sensazione diffusa.  
«Quando si arriva sull'orlo del baratro, però, non c'è che essere ottimisti», aggiunge. «Guardiamo con ottimismo alla prestigiazione».
Ma a far riflettere è soprattutto il passaggio in cui Cappuccio propone un parallelismo tra teatro e politica. 
«Le regole del teatro, negli ultimi venti anni, impallidiscono al cospetto delle regole della politica. I teatranti recitano con la complicità del pubblico. 
Il pubblico sa che in quel momento sta guardando una rappresentazione. 
La politica pretende di fare del teatro con delle regole di finzione che tendono fondamentalmente a raggirare l'ascoltatore.  
Mentre la finzione della politica è marketing, la finzione del teatro è arte». 

Renzi, dunque, sarebbe artificio? 
Non proprio. O meglio, non lui solo. 
«È evidente che oggi ogni politico - in particolare un politico giovane, rapido, rampante, che ha capito che bisogna battere tutto e tutti sulla velocità - deve necessariamente rapportarsi con quelle che sono le percezioni del pubblico
Rapportarsi alle percezioni significa arrivare con una Smart in una certa strada, presentarsi ad un appuntamento con una giacca, presentarsi senza giacca ad un altro appuntamento, scegliere tra il colletto di camicia e la cravatta».  
«Non dico che non esistano degli spontanei in questo tipo di mondo, in questo tipo di fauna, ma è evidente che molti sono costretti a studiare questo tipo di atteggiamento.  
D'altra parte lo studio cominciò già trenta o quaranta anni fa: c'era Almirante che abbottonava la giacca prima di ogni comizio, mentre Berlinguer sapeva scegliere molto bene le pause. Un altro grande pausista amletico fu Craxi».  
Ma è centrale la differenza tra quell'epoca e quella odierna: 
«Quel tipo di uomini, però, tendeva fondamentalmente a fare un lavoro sulla retorica del discorso, nel porgere, la generazione politica di oggi tende a fare un lavoro sulla retorica dell'apparire, nel porsi».
«E in tutta questa rapidità - conclude Cappuccio - i messaggi che vengono inviati spesso vengono da noi ricordati nel come sono stati inviati, ma i contenuti sono il più delle volte obliati, dimenticati. 
E questo è abbastanza preoccupante»

Nel mare magnum di commenti di più o meno sedicenti esperti, opinionisti, osservatori e provincialissimi maître à penser, la voce di un outsider della politica, di un autore teatrale, è la migliore, la più mirata alla sostanza della delicata fase che stiamo atrraversando. 
Che non è solo questione di incarichi di governo, ministeri e congegni istituzionali, ma è un dato culturale e sociale, che ha a che fare con i nostri usi e i nostri costumi. 
Contenuto e forma. Dove finisce l'uno e dove inizia l'altra? Quanto la logica dell'apparire depaupera di senso ciò che si comunica? Fino a che punto è giustificato fingere per alimentare la macchina del consenso?
Finzione e artificio sono sempre esistiti, con la differenza che prima stavano nella retorica, in quel complesso di contenuti che fornivano un orizzonte culturale e valoriale. 
Oggi, invece, stanno nella costruzione della personalità, di un ego capace di produrre approvazione. 
Non resta che rifletterci su. 


martedì 2 aprile 2013

Parola di saggio

Valerio Onida




Pubblico un mio contributo per il sito di Libertà e Giustizia, scritto in occasione dell’incontro organizzato dal circolo di Perugia – nel gennaio 2011 – con Valerio Onida. Incontro durante il quale si è parlato, con entusiasmo e forte senso civico, di Costituzione e di cittadinanza.
Come insegnare la Costituzione nelle scuole? In che modo rendere i giovani attivamente consapevoli e partecipi del valore del testo costituzionale? Se ne è parlato a Perugia, nel corso dell’iniziativa “Cittadinanza e Costituzione”, svoltasi Venerdi 21 Gennaio nella splendida cornice di Palazzo dei Priori. L’incontro – organizzato dal circolo perugino di LeG con il patrocinio del Comune – ha visto la partecipazione di Valerio Onida – Presidente emerito della Corte Costituzionale, docente universitario nonché esponente di spicco di Libertà e Giustizia. Ad introdurre e moderare il dibattito – dopo i saluti del Sindaco Wladimiro Boccali – il coordinatore di circolo Alessandro Tancredi e Mauro Volpi, docente di Diritto Costituzionale presso l’Ateneo perugino. L’iniziativa è stata concepita come occasione di approfondimento nell’ambito dell’attività che vede il circolo LeG di Perugia impegnato a portare la Costituzione tra i banchi delle scuole cittadine. Dal 2008, infatti, la legge 169 ha sostituito il tradizionale insegnamento di Educazione civica con il nuovo “Cittadinanza e Costituzione”, teso non solo a diffondere tra gli studenti la conoscenza del testo fondamentale del nostro ordinamento, ma anche a fornire loro gli strumenti necessari all’esercizio di una cittadinanza attiva e consapevole, all’insegna dei valori della libertà, della tolleranza e dell’uguaglianza. Negli istituti scolastici che hanno aderito all’iniziativa – quindi – grazie a LeG, professionisti che operano quotidianamente e concretamente nell’ambito dell’applicazione dei dettami costituzionali o che ne studiano gli aspetti giuridici, storici e filosofici possono confrontarsi con i giovani sui temi e sui valori fondamentali della nostra democrazia.

In una sala gremita, Onida ha potuto riaffermare – con la chiarezza e la lucidità che gli sono proprie – il senso profondo del testo costituzionale: non solo legge fondamentale ma patrimonio comune da assimilare ed interiorizzare, non semplicemente enunciato giuridico ma insieme di valori etico-politici fondanti la società. Norma sulle norme, la Costituzione è “materia viva” che esiste solo in quanto riconosciuta. L’effettività del testo costituzionale, ha sottolineato Onida, sta – infatti – nella sua capacità di divenire coscienza diffusa, accettata, rispettata e condivisa, facendo dell’insieme di individui una “comunità”. «La politica di oggi – osserva Onida – sta pericolosamente trascinando la Costituzione nell’arena dello scontro politico», tradendone la natura di patrimonio comune e negando brutalmente il suo essere fattore unificante.
Ben sedici gli interventi dal pubblico: studenti, docenti e cittadini sono intervenuti ed hanno espresso preoccupazione e allarme per lo stato attuale della democrazia. Numerosi i giovani presenti, studenti di liceo e universitari che, prendendo la parola, hanno evidenziato una forte “domanda di Costituzione” e, con essa, uno spiccato desiderio di partecipazione civica. In molti hanno dimostrato la volontà di conoscere nel dettaglio un testo che mantiene inalterato nel tempo il proprio fascino, capace ancora oggi di attrarre e coinvolgere, anche sentimentalmente, le giovani generazioni. Altrettanto numerosi e appassionati gli interventi dei professori degli istituiti superiori partner di Libertà e Giustizia: il progetto, hanno sottolineato, si è dimostrato particolarmente efficace nello stimolare l’interesse delle classi verso la Costituzione – finora troppo spesso trascurata – ottenendo un riscontro particolarmente positivo tra i ragazzi. La scuola, è stato ribadito, rappresenta la principale agenzia educativa in grado di veicolare efficacemente i valori della democrazia e della cittadinanza.
Preziosa e riuscita occasione di incontro, l’iniziativa si è rivelata estremamente di successo nel permettere ai cittadini – in piena aderenza con le finalità di Libertà e Giustizia – di confrontarsi, valorizzando quello spazio civico nel quale è ancora possibile un dialogo sereno. Dialogo di cui – evidentemente – c’è estremo bisogno e che lo spazio ufficiale della politica non riesce più a garantire. Ma l’incontro è servito soprattutto a ricordare – ancora una volta – come i valori costituzionali rappresentino il necessario terreno comune e costituiscano un imprescindibile elemento di condivisione. In altre parole, si tratta di quella “cultura dei valori comuni” da salvaguardare e difendere, pena la dissoluzione della stessa comunità sociale. Testo fondamentale «vivente oltre che vigente», la Costituzione rappresenta quel minimum etico e civile senza il quale della politica non rimarrà altro che l’arrogante e violento prevalere di una parte sull’altra. 


Vai all'articolo nel sito di Libertà e Giustizia.

sabato 29 ottobre 2011

Il pomo della discordia

















Ebbene sì, ci risiamo. L’Euro – ancora una volta – è il pomo della discordia, bistrattato e insultato da alcuni, fermamente difeso e sostenuto da altri. E questo non solo in Italia, ma anche in diversi paesi del vecchio continente. 
In Europa, in effetti, sono in tanti quelli che in questi giorni hanno segnalato – non senza ragione – le debolezza di una valuta senza retroterra politico. In altri termini, l’euro oggi traballa anche perché è un oggetto valutario senza identità politica, mentre storicamente le monete sono state sempre ancorate ad un soggetto politicamente coerente. Ma questa non è una novità: se ne è discusso infinite volte e anche osservatori genuinamente europeisti non hanno mancato di segnalare questa anomalia, suggerendo i passi da compiere per eliminarla (vedi l’intervista ad Enrico Letta).
Ma l'Euro turba i sonni anche ai paesi che non l’hanno adottato. A seguito della recente decisione di rafforzare la governance europea formalizzando gli incontri dei leader di Eurolandia, i 10 paesi dell’Ue al di fuori dell’area-euro temono che questa nuova “Europa a due velocità” possa in qualche modo danneggiarli. Anche se, infatti, la maggior parte delle politiche rimarranno di competenza dell’Unione a 27, paesi come, ad esempio, Gran Bretagna e Svezia tremano all’idea che le decisioni prese dal circolo ristretto dei 17 possano comunque riguardarli, indirettamente, su materie sensibili come settore bancario, allocazione delle risorse e budget dell’Unione (lo spiega bene un interessante articolo su BBC  News).
E in Italia? Ci pensa Silvio Berlusconi a riscaldare il dibattito con un attacco all’Euro che tradisce il suo bisogno – hic et nunc – di fare dell’Ue il capro espiatorio di misure impopolari. E per compiacere l’euroscettica Lega, partner sempre più bizzoso. Allora nel Bel Paese sta al Presidente Giorgio Napolitano riaffermare la centralità della moneta unica, rispetto alla quale – come ha più volte sottolineato – ogni altra opzione sarebbe a dir poco drammatica.