Prendiamo due osservatori, Enrico
Letta e Lucio Caracciolo, due che analizzano e giudicano l'Europa in maniera
totalmente diversa: ne esce un dialogo serrato, bello come solo può esserlo
quando si parte da posizioni divergenti. Stiamo parlando del libro “L’Europa è finita?”
(Add Editore, 2010) scritto a
quattro mani dal noto politico italiano (vicesegretario del Partito Democratico
e più volte Ministro della Repubblica tra il 1998 e il 2001) insieme al
direttore dell’autorevole rivista italiana di geopolitica Limes.
Nel libro, alternando auspici federalisti (invoca
addirittura gli “Stati uniti d’Europa”) con un più prudente metodo
funzionalista (dall’integrazione economica passeremo gradualmente a quella
politica e “l’euro è l’anticamera dell’unione politica”), Letta testimonia
passione e realismo, senza nascondersi problemi e difficoltà. E fa proposte
concrete e mirate. Noi lo abbiamo incontrato e gli abbiamo rivolto alcune
domande.
Perché questo
libro?
Perché siamo
stati entrambi sconvolti nel vedere, in quel pomeriggio di maggio, la piazza di
Atene bruciare. Atene, come Roma, è il cuore della cultura da cui nasce
l’Europa e l’idea che quel luogo si infiammasse sui temi europei ci ha
profondamente colpiti. Abbiamo ritenuto opportuno offrire questo contributo per
aiutare l’opinione pubblica italiana a non rimanere ferma e insensibile.
Oltre le
differenze che persistono tra gli Stati membri, c'è un'idea condivisa di
Europa? Qual è il “minimo comun denominatore”?
L’Europa è
un’unione di minoranze. Non c’è nessuno che può prevaricare. Questa è la sua
vera forza. E’ una bellissima definizione, data da un deputato della minoranza
rumena al parlamento ungherese. Riflette il senso del rispetto e della
tolleranza, tipici dell’approccio europeo.
In questi tempi
di crisi in molti guardano indietro: e c'è chi accusa l'euro di essere stato un
elemento distraente rispetto alla vera (e prioritaria) unificazione politica.
Abbiamo davvero creato un mostro, ossia
una valuta senza unità politica?
No. Abbiamo
costruito una cosa unica: il fatto che l’unione economica e monetaria preceda
quella politica è certamente una stranezza ma è una stranezza che – finora
– ha funzionato. Oggi però, come
sostengo nel libro, bisogna necessariamente intervenire chiudendo il cerchio.
Questa
“bizzarria” quindi non sopravvive alla crisi?
L’unione politica è il prossimo
passo da compiere e, in questo senso, la crisi è un'opportunità: perché ci
spinge in modo formidabile – molto più che “in tempi normali” - proprio in
questa direzione.
Ma senza un
governo veramente concertato dell’economia - senza la gestione comune del
“condominio europeo”, per citarla - la strada dell’Europa sarà sempre più
incerta...
Serve
urgentemente una legge finanziaria europea, che unifichi i diversi strumenti di
politica economica dei paesi dell’Eurozona. Non si può più permettere ai
singoli Stati di compiere scelte di bilancio completamente indipendenti le une
dalle altre. Dobbiamo creare un quadro unitario pur salvaguardando margini di
autonomia. E’ inoltre indispensabile prevedere la costituzione di un Fondo
monetario europeo in grado di accompagnare i Paesi eventualmente in difficoltà.
Scelte
coraggiose....
Sì, sono
interventi in forte discontinuità con il passato ma si impongono, altrimenti
l’euro non avrà più ragion d’essere.
A questi aggiungo anche la necessità di autorità comuni in grado di
attuare una forma di vigilanza sui numeri, ad esempio attraverso l’unificazione
degli istituti di statistica. La certezza dei dati è fondamentale per
l’affidabilità delle scelte economiche. La tendenza dei governi di far dire
alle cifre ciò che vogliono può avere conseguenze drammatiche, come ha
dimostrato la crisi greca. Bisognerebbe anche intraprendere la strada di una
condivisione, anche parziale, dei debiti pubblici.
Negli ultimi
anni i grandi vertici hanno perso terreno. Di fronte all’inefficacia dimostrata
dalle formule del G8 (troppo piccolo) e del G20 (troppo grande), è emerso il
cosiddetto G2, l’asse Usa – Cina, unico summit veramente incisivo. Alcuni intravedono il G3, una
sorta di triangolazione Europa-America-Cina nella gestione degli affari
geopolitici e geoeconomici globali. Siamo pronti o sarà solo G2?
Noi dobbiamo
tenere l’Europa unita e lavorare per il G3. Il G2 già di fatto esiste e quindi
dobbiamo rapidamente affermare il nostro ruolo. I singoli Stati europei perdono
terreno: per questo è importante costruire al più presto il polo europeo.
Nella sua
biografia descrive un percorso umano e formativo all’insegna dell’Europa, di
cui più volte si è definito “innamorato”. Quanta importanza ha avuto questa
formazione?
L’Europa mi ha
dato l’apertura, l’esperienza dell’incontro con altri e l’idea che le nostre
identità sono multiple: io sono cittadino della mia città, Pisa, della mia
regione, la Toscana, ma sono contemporaneamente cittadino italiano e cittadino
d’Europa. La molteplicità di appartenenze è, ne sono convinto, la grandezza
della nostra vita europea.
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