lunedì 30 marzo 2015

#ImUnloading



More than 51 million Americans are likely invested in guns, and don't even realize it. Talk to your financial advisor about how to divest your retirement savings from the gun industry. In the 15 years since the Columbine shooting, more than 1.4 million Americans have been injured or killed with guns. Join the movement. Find out if you are contributing to gun company profits, and learn how to divest.

La nuova campagna con il famoso rapper Snoop Dogg punta l'attenzione sui contributi involontari dei cittadini americani all'industria delle armi. Involontari? Sì, perché nei piani di investimento nei quali molti americani investono i propri risparmi, è possibile ci siano anche le grandi compagnie delle armi. L'iniziativa I'm unloading punta a stimolare la consapevolezza degli investitori, invitandoli a non sostenere l'industria delle armi. 

venerdì 27 marzo 2015

Cameron vs Miliband

Ieri sera è andato in onda su Channel4 quello che può essere riassunto con l'hashtag #BattleForNumber10.
La battaglia per il numero dieci, noto anche come Downing Street e, dunque, per a leadership British. In scena l'attuale PM David Cameron ed il leader dell'opposizione Ed Miliband, incalzati dal giornalista Paxman.
Ecco alcuni momenti.


giovedì 26 marzo 2015

Specchio delle mie brame




Ma voi ce lo vedreste un politico italiano (già candidato ad una carica politica apicale) così?
Io no, troppo provinciali e litigiosi.

martedì 17 marzo 2015

I due Risorgimenti(?)


(...) In realtà, il dibattito che oppone stato "inventore" della nazione e nazione preesistente rimanda direttamente al dualismo insito nel Risorgimento, dualismo rivelato tra 1848 e 1870 da un certo numero di episodi e dissidi tra varie personalità. La rivoluzione nazionale rappresenterebbe l'incontro, o lo scontro, fra una rivoluzione popolare e una imposta dall'alto; ed è evidentemente quest'ultima, quella di Cavour, dei moderati e del re, che tra il 1860 e il 1870 finisce per prevalere.
A quali realtà ed ideologie questa opposizione di concetti e di uomini è debitrice?
Come prima constatazione, occorre notare che l'opposizione non è basata su una qualche consapevolezza dei dislivelli esistenti fra un movimento elitario e uno di massa: quando gli storici evocano un Risorgimento popolare, si riferiscono innanzitutto all'ampio senso politico del termine "popolo", indicando contemporaneamente movimento mazziniano, pubblica opinione e organizzazioni radicali e democratiche di tipo rivoluzionario, senza porsi il problema di distinguere tra partecipazione attiva e semplice adesione delle classi popolari. Certo, la corrente democratico-popolare del Risorgimento viene definita anche, e con maggior precisione, da varie forme di partecipazione politica, ed è ciò che alcuni studi su quella vasta rete di organizzazioni patriottiche formatesi intorno a Mazzini e Garibaldi hanno cominciato a dimostrare.
Seconda considerazione: l'opposizione politica e personale fra quei più diversi "padri dell'unità" che sono da una parte Cavour e Vittorio Emanuele, dall'altra Mazzini e Garibaldi, ha successivamente fornito materiale per nutrire la querelle post-unitaria sulle origini dell'unità e della nazione (...)
Ma questi due Risorgimenti, durante il ventennio dell'unificazione (1848-1870), non sono poi stati sempre così chiaramente distinti. 
Confrontando i risultati della storiografia italiana con quella della storiografia angloamericana, Lucy Riall nota che l'incontro del nazionalismo delle élite moderate col nazionalismo rivoluzionario mazziniano e garibaldino, disponendosi intorno a beni comuni quali liberalismo e progresso umanitario, ha certo giovato al nascente Regno d'Italia degli anni della transizione 1859-1860. A ciò si può aggiungere, partendo da numerose ricerche regionali (fra cui le nostre di ambito toscano), quanto questa convergenza abbia dato prova di tutta la sua forza di mobilitazione all'epoca della campagna per i plebisciti del 1860, che diffuse, rendendoli tangibili per le masse, tutti i nuovi temi del progresso politico  legati all'avanzata della civiltà liberale. In questo senso ci sono stati momenti in cui, al di fuori dei conflitti, si è assistito alla convergenza delle due grandi correnti del Risorgimento, ma è altrettanto vero che questo incontro, come dimostra l'evoluzione dell'associazionismo patriottico all'inizio degli anni sessanta, ha anche favorito la strumentalizzazione del movimento popolare da parte della "rivoluzione dall'alto". Si perviene così in pratica a relativizzare sul campo, sfumandolo, il dualismo del Risorgimento, senza comunque negarne l'importanza ideologica e il ruolo strutturale che ha svolto nella vita politica postunitaria. 
L'Italia nel 1848 è ancora quel'"espressione geografica" considerata contemporaneamente con sollievo e superiorità da Metternich in seguito al congresso di Vienna. Nel 1871 è un nuovo regno, uno Stato-Nazione il cui territorio risponde finalmente nel suo insieme a quegli aneliti nazionali via via espressi sul suo suolo nel corso di mezzo secolo. A unificazione compiuta, il passaggio dal vecchio regime al nuovo Stato ha continuato ad alimentare, sia fra uomini politici che tra storici, infiniti dibattiti. Riassumendo, il più delle volte, le discussioni sono riconducibili all'eterna ed insoluta questione della gerarchia delle cause storiche in relazione alla dicotomia tempo corto/tempo lungo: l'unità è il risultato di un'evoluzione ideologica, sociale ed economica iniziata coi Lumi e accelerata dai moti europei del '48, o non rappresenta invece che il prodotto di circostanze abilmente sfruttate da uomini come il re di Sardegna, Cavour e gli appartenenti alla sua cerchia a partire dal 1859?
Evidentemente la verità sta un po' dappertutto e l'opposizione retorica non meriterebbe di essere segnalata se non servisse da quadro di riferimento per numerose reinterpretazioni polemiche fortemente ancorate al presente italiano, in cui si alternano due immagini dell'Italia apparentemente contraddittorie, ma in realtà complementari: quella di un paese senza Stato e quella di uno Stato senza nazione. 




passaggio tratto da 
G. Pécout, Il lungo Risorgimento. La nascita dell'Italia contemporanea (1770-1922); 1999. 


Gilles Pécout è uno storico francese che si è dedicato allo studio dei processi sociali e politici che hanno caratterizzato l'evoluzione storica della vicenda nazionale italiana. 





venerdì 13 marzo 2015

Washington, abbiamo un problema: Ferguson




















"What makes you think that you can treat people like you do? ", recita il neo-soul di protesta di Donnie. Un brano forte, ispirato alla cronaca recente.  
In questi tempi, infatti, sto seguendo le (preoccupanti) vicende Usa. Dai fatti di Ferguson (Missouri) - nell'agosto 2014 viene ucciso un giovane nero e disarmato, Michael Brown - passando per altre vicende altrettanto drammatiche.
Un insieme di eventi che dimostrano come ancora oggi - anno domini 2015, secondo mandato del primo Presidente afro-americano della storia a stelle strisce - esista, in America del nord, un non trascurabile problema razziale.
Episodi che fanno tornare indietro le lancette dell'orologio.
Ma - viene da chiedersi - gli USA non erano il paese del melting-pot; non stiamo parlando dello Stato che - dopo (molte) marce e (molto) sangue versato - era finalmente riuscito ad impostare un sistema in cui la diversità diveniva una ricchezza, ottimizzata e valorizzata?
La domanda è - ça va sans dire - provocatoria: nessuno è così ingenuo da pensare che l'ideale della convivenza fosse in tutto e per tutto aderente al vero, che fosse affermato, nell'entroterra (spesso retrivo), come nelle coste, da sempre avamposto di sviluppo ed integrazione sociale.
Ma l'interrogativo serve, più in generale, a capire come interpretare gli eventi cui assistiamo in questi mesi, sullo sfondo dell'immaginario costruito nei decenni dagli Stati Uniti, anche e soprattutto al di fuori dei propri confini.
"Ferguson ha dato una mazzata all'immagine dell'America come standard globale di eguaglianza, diritti umani e opportunità".
A scrivere è Stephen M. Walt, docente di affari internazionali ad Harvard.
"Il trattamento dei neri americani - continua - ha danneggiato la nostra 'mitologia' del melting pot e con essa la pretenziosa idea che l'America potesse costituire un modello ideale per il resto del mondo. Questi ultimi eventi ci ricordano che il paese ancora non ha raggiunto i livelli che pretende di inculcare agli altri".
Insomma, ipocrisia americana? O universale attitudine a predicare bene e razzolare male?
Quello che sorprende è che nel caso di molti osservatori americani, spiega Walt, i fatti siano percepiti esclusivamente come domestici, interni. Senza ricadute internazionali. Invece, c'è una forte dimensione di 'foreign-policy' negli avvenimenti del Missouri.  
Anzitutto - e lo abbiamo già detto - perché tutto ciò incide sulla "percezione" degli USA nel resto del mondo. In questo caso non si può non vedere il trade-off tra le ambizioni esterne di Washington e la capacità di costruire una nazione migliore in casa propria.
Parlando di concretezza, poi, c'è tutta la questione del bilanciamento delle risorse. A fronte del dispendio di energie fuori dai confini nazionali, quanto di potrebbe essere convertito in politica interna, a sostegno delle (infra)strutture utili alla coesione sociale?
"Quando una questione sociale dirompente come quella di Ferguson occupa tutte le televisioni - osserva Walt - questo avviene in parte anche perché abbiamo speso così tanta attenzione e così tante risorse a problemi distanti da noi, invece che concentrarci, prima e soprattutto, sulle sfide che i nostri cittadini stanno ancora affrontando".
Se le condizioni esterne influiscono sul potere statunitense, le condizioni interne lo generano: un'affermazione valida per buona parte della storia americana contemporanea, in primis per la sua politica estera.
Insomma, Ferguson dice all'America che sarà più sicura, prospera e giusta solo quando presterà più attenzione dentro ai suoi confini.
Evitando - ce lo auguriamo tutti - di uccidere i propri cittadini.




Le dichiarazioni di Walt sono tratte dal suo articolo su Foreign Policy (clicca qui). 
Ascolta il brano di Donnie: qui








martedì 10 marzo 2015

Un salto nella Striscia di Gaza



Più o meno è andata così.
Il celebre artista dei graffiti, Banksy ha realizzato di recente alcuni murales nella striscia di Gaza, producendo anche un video (qui), diffuso attraverso il suo canale You Tube.
Ora - un po' provocatoriamente - gli risponde il Gaza Parkour and Free Running Team (il Parkour è una disciplina metropolitana molto atletica: si ealizza un percorso, a prescindere dagli ostacoli che ad esso si frappongono).
Il loro video (sopra) mette in evidenza le difficoltà quotidinamente affrontate dalla popolazione della Striscia di Gaza.
"Our spirit is very strong", guide molto speciali in un posto dove non è per niente facile vivere.


(via theGuardian)




martedì 3 marzo 2015

Fare quadrato




E intanto, mentre tutti parlate di CasaPound, resuscitata della manifestazione salviniana, io mi sbellico dalle risate riguardando questo.
Enjoy!