venerdì 29 maggio 2015

L'Italia che vota




Chi più ne ha più ne metta omaggia questo weekend di elezioni (regionali) con una chicca indiscutibile. Per un'Italia che, tutto sommato, non è cambiata poi molto.

giovedì 28 maggio 2015

Assistenti parlamentari: Europa e Italia a confronto


Tra gli sprechi annidati nella politica nostrana c'è anche tutto quel sottobosco di assistenti e portaborse di cui amano circondarsi di politici di casa nostra. Un sistema incontrollato, spesso inefficiente e molte volte poco trasparente. All'emiciclo di Bruxelles, invece, come funziona? A fare il punto è un interessante articolo di Domenico Giovinazzo su EuNews.it.
"La figura del collaboratore parlamentare - spiega - è prevista dallo Statuto del Parlamento europeo". È l’articolo 21 a sancire il diritto dei deputati europei ad essere assistiti da collaboratori personali da loro liberamente scelti: il Parlamento europeo copre le spese effettivamente sostenute per l’impiego degli assistenti.
"In Italia - si legge - la figura dell’assistente parlamentare, semplicemente, non è formalmente riconosciuta. Tanto meno esiste una legge in materia, che pure aveva ottenuto il sì della Camera nella passata legislatura, ma poi è morta al Senato. Per questo l’Associazione italiana collaboratori parlamentari (Aicp), con il suo presidente Riccardo Malavasi, chiede che “finalmente anche il Parlamento italiano riconosca e definisca la figura”  degli assistenti con una normativa chiara, che si ispiri al modello europeo".
Ma come funzionano, più nel dettaglio, i due sistemi?
Con riferimento al numero degli assistenti, a Bruxelles viene definito un numero massimo di assistenti per ciascun deputato. "Questo vale - spiega Giovinazzo - solo per i collaboratori che affiancano il deputato nelle sedi europee (Strasburgo e Bruxelles), mentre non c’è limite per i collaboratori locali, che operano nel collegio di provenienza del parlamentare. In Italia, sono due gli assistenti che possono essere accreditati per l’accesso al Parlamento. Nessun limite per i collaboratori sul territorio".
In Europa, il budget previsto per i compensi determina il limite al numero di assistenti che un deputato può assumere. "Attualmente ammonta a un massimo di 21.379 euro mensili, che sono vincolati alla effettiva spesa relativa agli stipendi o ai compensi dei collaboratori accreditati e di quelli sui territori. Viste le notevoli differenze nel costo del lavoro tra i diversi stati membri, i deputati che pagano meno i loro assistenti se ne possono permettere di più. In Italia, ogni deputato ha circa 4 mila euro mensili di budget (3.600 i senatori), che però riguardano genericamente le spese per l’attività politica, con l’obbligo di rendicontarne solo il 50% per ottenere l’intera somma. Importo che, per altro, include tanto le spese per gli assistenti quanto, ad esempio, quelle per l’affitto di un ufficio sul territorio di provenienza".
Il Parlamento europeo versa direttamente lo stipendio ai collaboratori accreditati, che stipulano il contratto con l’Istituzione. Per gli assistenti sul territorio, il deputato deve individuare un terzo erogatore, al quale il Parlamento rimborserà le spese a fronte della presentazione di ricevute e fatture. In nessun caso può essere il deputato a pagare il proprio assistente per ricevere poi un rimborso. "Diametralmente opposta la situazione in Italia. L’Istituzione assegna direttamente al parlamentare il budget previsto – anche nel caso non si avvalga di alcun assistente, purché dimostri di spenderne almeno la metà per l’attività politica – ed è questi a provvedere al pagamento dei collaboratori. Una situazione che secondo Riccardo Malavasi, presidente dell’Aicp (Associazione italiana collaboratori parlamentari) può generare “distorsioni e irregolarità”.
Gli assistenti accreditati, dunque, sono contrattualizzati direttamente dal Parlamento europeo, mentre quelli locali hanno contratti in cui il parlamentare risulta come datore di lavoro, ma la gestione è affidata al soggetto terzo erogatore, il quale deve garantire (e dimostrare), insieme con il compenso, il pagamento degli oneri fiscali e di quelli previdenziali, oltre a eventuali coperture assicurative per infortuni se previste dalla normativa nazionale. In Italia c’è una “giungla di forme contrattuali”, secondo il ricercatore Claudio Tancredi Palma, che in una conferenza stampa dell’Aicp ha presentato uno studio – realizzato dall’Istituto di ricerche sulla Pubblica amministrazione – dal quale emerge che molto spesso “le forme utilizzate non assicurano garanzie previdenziali e assicurative”.

Leggi su EuNews.it: qui


martedì 26 maggio 2015

Unione (dis)integrata?


Lucio Caracciolo, saggista e direttore della rivista di geopolitica Limes, è da tempo critico circa le modalità che hanno accompagnato il processo di integrazione. Ne ho già parlato su questo Blog, intervistando Enrico Letta proprio sul testo scritto a quattro mani con Caracciolo, "L'Europa è finita". 
E il direttore di Limes, lo conferma anche oggi, con un editoriale su Repubblica. 

"L'Europa - scrive - è tornata alla normalità: ognuno per sé, nessuno per tutti. Un quarto di secolo fa il Muro di Berlino crollava, la Porta di Brandeburgo veniva riaperta. Di qui conseguiva, stando alle oleografie del tempo, niente meno che la "riunificazione dell'Europa" (il fatto che non lo fosse mai stata pareva trascurabile). Oggi questo continente, in specie l'Unione Europea che per noi italiani ne è sinonimo, appare diviso in un arcipelago di isole che alzano ponti e fortificano barriere per sventare presunte invasioni barbariche, dove i barbari sarebbero (anche) altri europei".

La sua analisi odierna prende le mosse dalla cronaca politica di questi giorni, con la vittoria del candidato della destra nazionalista, Duda, alle elezioni presidenziali polacche e l'affermazione di Podemos nel voto amministrativo di Barcellona e di Madrid. Tutti elementi che si aggiungono allo scenario di fondo che prevede la possibilità di una doppia uscita dall'Unione (diversissima per motivazioni): quella di Regno Unito e Grecia. Secondo Caracciolo, ciò è la dimostrazione plastica del "grado di disintegrazione raggiunto dal processo di integrazione europea".

Troppo facile, secondo il direttore di Limes, sarebbe poi dare la colpa ai "populisti" di destra e di sinistra, "da Salvini a Tsipras passando per Le Pen e Iglesias, irresponsabili agitatori che parlano alla pancia della gente esasperata dalla selvaggia crisi economica degli ultimi otto anni, da cui stentiamo a uscire, e dal senso di deprivazione che ne deriva. "Tutti in un calderone - nazistelli, opportunisti e democratici sinceri. Bollati quali nemici del buon tono, che ci rovinano il gusto dei frutti dell'albero piantato sessant'anni fa dai padri fondatori. Spiegazione di comodo".

"È ovvio che in questo clima avvelenato alcuni imprenditori politici speculino su paure diffuse  -  peraltro fondate  -  per raccattare voti e profilarsi come vendicatori del popolo contro i poteri stabiliti. È altrettanto scontato che costoro non abbiano interesse a risolvere i problemi che denunciano, e anzi godano ogni volta che il demone dell'eurocrisi avanza di un passo verso il baratro. Ed era prevedibile, come scrisse vent'anni fa Tony Judt, che l'europeismo di maniera intento a rimuovere la realtà delle nazioni sarebbe diventato "una risorsa elettorale dei nazionalisti virulenti".

Insomma, se la diagnosi di Caracciolo sembra essere, per molti versi, corretta, la sua terapia qual è? 
Non ne parla esplicitamente, ma la lascia intendere: abbandonare il processo di integrazione.

Eppure, bisognerebbe tenere conto di una serie di elementi.

Anzitutto l'Unione è sospinta di volta in volta dalla volontà politica prevalente: chi ha detto - e già la cosa si sta profilando - che l'ortodossia dell'austerità non possa lasciare il posto ad una politica della crescita?

Inoltre, c'è da tenere conto del contesto congiunturale di crisi (prima finanziaria, poi economica), il cui virus è rapidamente passato attraverso le due sponde dell'Atlantico. Di questo contesto qualsiasi progetto avrebbe risentito pesantemente, impossibile negarlo.

Insomma, se la casa comune ha bisogno di essere ristrutturata, lo si faccia, invece che pensare di demolirla.

Ecco che allora servirebbe una governance comune della politica economica dei paesi dell'Eurozona, così come di una politica estera (davvero) comune, che comunque sarebbe molto più efficace di 28 politiche estere differenti. 
Non auspico per nulla - ma proprio per nulla - il ritorno all'Europa delle patrie, gelose ed egoiste. 






domenica 24 maggio 2015

Guerra di trincea





Oggi, 24 maggio 2015, ricorre il 100° anniversario dell'entrata dell'Italia nella Grande Guerra. Mi viene allora in mente un testo fondamentale, letto e studiato in occasione del Corso di Storia Contemporanea all'Università. Si tratta de "La Grande Guerra" di Paul Fussell (Il Mulino, 2000), storico americano che compie una mastodontica operazione di ricostruzione di testimonianze sul primo conflitto mondiale, passato anche alla storia come drammatica ed orrenda 'guerra di trincea'.
Il libro è bello, corposo ma senza annoiare.
Rende uno spaccato reale della vita e dei significati del conflitto iniziato nel 1914.
Tanti i passaggi che meriterebbero di essere citati, di questo bellissimo testo.
Ve ne propongo un paio.

- La Guerra di Trincea -

"Stare in trincea significò sperimentare una clausura ed una costrizione irreali e indimenticabili, e così pure la sensazione di essere disorientati e smarriti.
Due cose soltanto si vedevano: la parete di una terra sconosciuta e indifferenziata e il cielo al di sopra. Quattordici anni dopo la guerra, J. R. Ackerley si trovò a passare per una zona poco frequentata di una città in India. "Mentre procedevo svoltando di continuo, le strade si facevano sempre più strette" scrive "finché pensai di essere di nuovo in trincea, perché da entrambi i lati le case erano proprio dello stesso colore e della stessa materia del terreno irregolare nel mezzo". Quella sensazione di smarrimento colpì anche il maggiore Frank Isherwood, che nel dicembre 1914 scrisse alla moglie: "le trincee sono un labirinto, mi ci sono perso già parecchie volte...non è possibile uscirne e andare a camminare per la campagna o vedere alcunché tranne due muraglie fangose da una parte e dall'altra".
Un superstite della zona del saliente ricorda, cinquanta anni dopo, le pareti di sudiciume e il cielo a far da soffitto e il suo eloquente grido di nostalgia risuona come se egli fosse condannato ad essere imprigionato lì per sempre: "Essere fuori da questa presente, onnipresente, eternamente presente miseria, da questo puzzolente mondo di terra viscida e gocciolante che ha per soffitto una striscia di cielo minaccioso".
Come unico scenario possibile di variazioni, il cielo acquistò un'importanza preminente. Era la vista del cielo da sola, forse, che poteva persuadere gli uomini che non erano già abbandonati in una fossa comune.

"L'abito dell'odio"
Il nemico 
L'atteggiamento contro

Possiamo definire dicotomizzante un permanente abito mentale dell'età moderna che sembrerebbe possibile far risalire alle realtà della Grande Guerra- "noi siamo tutti da questa parte; il nemico sta dall'altra.
Noi siamo individui con nome e identità personali; "esso" è soltanto un'entità collettiva. Noi siamo visibili; esso è invisibile. Noi siamo normali; esso è grottesco. Le cose che ci appartengono sono naturali; le sue strane. Il nemico non è buono come lo siamo noi (...) ci minaccia e deve essere distrutto, o per lo meno messo sotto controllo. (...) Il prolungarsi di una guerra di trincea, con il suo isolamento collettivo, la sua difensiva e la sua nervosa ossessione di ciò che sta tramando l'altra parte fissa un modello di moderna polarizzazione politica, sociale, artistica e psicologica. Il prolungarsi della guerra di trincea, tanto se vissuta, quanto se rammentata, stimola il melodramma paranoico che ritengo sia il genere fondamentale della letteratura moderna. (...) Il confronto fisico tra noi ed essi ovviamente riproduce una rozza dicotomia. Ma - meno prevedibilmente - questo tipo di rozza dicotomia finì per dominare comunque la percezione e l'espressione, incoraggiando infine quello che possiamo chiamare il moderno atteggiamento contro, una cosa opposta ad un'altra, non già con qualche hegeliana speranza di sintesi che comporti la dissoluzione di entrambi gli estremi, ma nel senso che uno dei due poli incarna una deficienza o magagna o perversione tanto malvagia che è necessario assoggettarlo totalmente. Una delle eredità della guerra è appunto questa abitudine alla distinzione semplice, alla semplificazione e alla contrapposizione. Se in guerra la vittima principale è la verità, un'altra vittima è l'ambiguità.


venerdì 22 maggio 2015

Biodiversità



Ok, oggi - 22 maggio - è il giorno internazionale della Biodiversità.
Se queste giornate hanno un senso, è proprio quello di permetterci di conoscere e approfondire un tema.
Ecco un piacevole video di TED su questo concetto così importante.  Enjoy!

mercoledì 20 maggio 2015

#GimmeFive

Non finirò mai di postare i video di "Let's Move" la campagna per uno stile di vita sano e per l'esercizio fisico promossa dalla First Lady USA Michelle Obama. Questo è quello nuovo.
Lei ci mette la faccia. Ma anche pesi e guantoni.


Il tutto in risposta a questo:

  


Altro sulla scoppiettante Michelle:

Uptown Funk You Up (ft. Michelle)
Michelle Ma belle

martedì 19 maggio 2015

MigrationEU: cosa hanno detto i Ministri



Ecco, in breve, i punti più importanti delle 16 pagine di conclusioni del Consiglio dei Ministri dell'Ue su affari esteri e relazioni internazionali di lunedì 18 maggio 2015, focalizzato, in particolare, sulle questioni di sicurezza e difesa 

CAMBIAMENTI "The global and European security environment has changed dramatically in recent years. This calls for a stronger Europe, with a stronger and more effective Common Security and Defence Policy (CSDP). The conflicts, threats and instability in the EU’s immediate and wider neighbourhood, affecting inter alia Iraq, Libya, the Sahel, Syria and Ukraine, as outlined in the report from the High Representative, together with long standing and newly emerging security challenges, are significantly impacting European security as well as international peace and security, and challenging our fundamental values and principles".

AL VIA UN PRIMO INTERVENTO "The Council reiterates its concern on the tragic loss of life of migrants in the Southern Central Mediterranean and the need to prevent it. In response to and in line with the extraordinary European Council of 23 April, today it approves the Crisis Management Concept for, and adopts the Council Decision establishing a CSDP operation to contribute to the disruption of human smuggling networks, in line with international law. It calls for further work on this basis to enable further decision-making by the Council. The Council also welcomes the ongoing work to strengthen EUCAP SAHEL Niger to assist the Nigerien authorities in this respect and underlines the need for comprehensiveness and close coordination with other CSDP missions in the region as well as other EU instruments. The Council recalls the need to implement the integrated border management projects in the Sahel region in accordance with the Sahel Action Plan".

Come vedete, si dà il nulla osta ad una prima operazione, ma si rimanda a decisioni successive per ulteriori interventi. 


COLLEGAMENTO SICUREZZA INTERNA ED ESTERNA The Council strongly underlines the need to further strengthen the links between external and internal security. The aim is to increase synergies in the EU response to priority horizontal issues such as terrorism, organised crime, foreign fighters, smuggling and trafficking in human beings, irregular migration, hybrid threats, border management, energy security and cyber security, taking into account i.a. the ongoing revision of the European Agenda for Security. In this context, the Council encourages the development of further synergies between CSDP, in both its civilian and military dimensions, and Freedom, Security and Justice actors, notably the EU agencies (Europol, FRONTEX and CEPOL) and with Interpol, by inter alia building on the frameworks of co-operation signed between the EEAS, FRONTEX and Europol as well as between the EEAS and the European Gendarmerie Force.


Maggiori informazioni, qui


sabato 16 maggio 2015

Gli anti-Salvini che fanno pubblicità a...Salvini

Sto seguendo la cronaca del "giro d'Italia" di Matteo Salvini, impegnato da nord a sud (!) a sostenere i candidati suoi alleati alle imminenti elezioni regionali. In Sicilia come a Perugia, il segretario della Lega viene contestato in maniera dura, con scontri, tafferugli, lancio di oggetti, frutta, verdura e robe varie.
Ora, su questo Blog non faccio mistero di quanto non apprezzi Salvini, di quanto non condivida i suoi contenuti (contenuti?) e i suoi toni. Ma le contestazioni che vanno in scena sulle piazze italiane in questi giorni sono ridicole. Per due motivi.
Il primo, perché i contestatori, così facendo, vorrebbero impedire la sacrosanta possibilità di libera manifestazione del pensiero. Ora - a parte l'apologia del fascismo, che sarebbe reato, apertamente anticostituzionale (ma non è questo il caso) - ogni leader può poter incontrare il proprio uditorio di riferimento. Interferire con questa possibilità è apertamente antidemocratico. Cosa ancora più grave dal momento che proviene da coloro che - i contestatori - si ergono a paladini e difensori della democrazia.
Il secondo motivo, è puramente strategico: i contestatori di Salvini si rendono conto di quanta pubblicità 'aggratis' fanno allo stesso? Già perché gli offrono gioco facile, permettendogli di vestire i panni del perseguitato cui è negato - udite udite - il diritto di parlare.
Se poi guardiamo ai numeri, nelle piazze dove è andata in scena la bagarre erano più i contestatori che i "salvianiani": ciò significa che - in assenza di contestazioni - il comizio di Matteo Salvini avrebbe avuto molta, molta, meno risonanza.


Leggi anche:

Scoperte le origini del Salvini-pensiero
Salvini e la Lega in salsa mediterranea 
Quanto è pericolosa l'ignoranza 

giovedì 14 maggio 2015

MigrationEU: alcuni chiarimenti

 Jason Florio/AFP/Getty Images


Tutti parlano della nuova agenda della Commissione sull'immigrazione. Bene così, un passo importante e anche coraggioso (si pensi al meccanismo delle quote per la ripartizione di rifugiati e richiedenti asilo). 

Ma attenzione a cantar vittoria troppo presto: questo documento è solo una proposta, che deve passare al vaglio degli Stati membri. Precisamente questo avverrà a fine giugno. 
Tutta la proposta, infatti, è basata sull'articolo 78 comma 3 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che così recita:

"In the event of one or more Member States being confronted by an emergency situation characterised by a sudden inflow of nationals of third countries, the Council, on a proposal from the Commission, may adopt provisional measures for the benefit of the Member State(s) concerned. It shall act after consulting the European Parliament." 

Dove non è specificato diversamente, il Consiglio vota a maggioranza qualificata.

Chiariamo anche il ruolo di alcuni paesi, nello specifico Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca. 
Per quanto concerne i primi due, godono - stando ai Trattati - di una clausola detta 'opt in', in base alla quale possono scegliere entro tre mesi da una proposta presentata dal Consiglio in base al titolo V del trattato sul funzionamento dell'Ue, se aderire alla misura. 
La Danimarca gode invece di un opt out, per cui non partecipa alle misure previste dallo stesso Titolo V. 
Dunque, essendo l'agenda sui migranti basata proprio sul Titolo V del Trattato (l'art. 78 sopracitato è infatti nel titolo V), ciò significa che Uk e Irlanda saranno obbligati dalle misure solo se lo vorranno e la Danimarca non sarà obbligata. 



mercoledì 13 maggio 2015

Cosa dice il voto inglese agli americani

PHOTOGRAPH BY STEFAN ROUSSEAU/AFP/GETTY


Ho letto e tradotto questo illuminante articolo di John Cassidy sul New Yorker: ci spiega quali insegnamenti possono trarre gli americani dal voto inglese. In vista delle presidenziali del 2016.
Da leggere!

Mentre David cameron compone il suo nuovo governo, nel partito labourista prosegue l'analisi dei risultati del voro. A seguito delle dimissioni del suo leader, Ed Miliband, c'è il tentativo di riportare il partito al centro della politica. Lord Mandelson, uno degli architetti del progetto centrista di "New Labour" di Tony Blair, ha così commentato le elezioni: "la ragione per cui abbiamo perso - e perso così pesantemente - sta nel fatto che nel 2010 abbiamo abbandonato il progetto del New Labour, invece che rivitalizzarlo e ridare ad esso energia, rendendolo centrale nei nuovi tempi che stavamo affrontando".
David Miliband, ex segretario delgli esteri Labour, sconfitto dal fratello alle primarie per la leadership del partito, ha detto: "penso che gli elettori ci abbiano consegnato un verdetto. Se il partito labourista non abbraccia una politica di aspirazione e di inclusione, una politica che sappia opporsi ad alcune etichette tradizionali che hanno afflitto la politica per così tanto tempo, non tornerà a vincere". 
Questo dibattito aumenterà di intensità, ora che il Labour party dovrà scegliere un nuovo leader. 
Ma quali sono le lezioni del voto inglese per le imminenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti? 
Storicamente la politica americana ed inglese hanno marciato in sincrono - si pensi a Reagan e Tatcher - e anche oggi ci sono forti legami tra i due principali partiti da una parte e dall'altra dell'Atlantico. 
Durante la campagna elettorale, David Axelrod, a lungo stratega di Obama, ha lavorato per i labour, mentre Jim Messina, il campaign manager di Obama ha collaborato con i conservatori (sì, in casa democrats in molti hanno storto il naso a fronte di questa decisione di Messina). Inoltre, alcunde delle dinamiche interne di partito che guidano le formazioni politiche nel Regno Unito hanno delle ripercussioni negli Stati uniti. Nel partito democratico, così come nel partito labourista, la componente progressista-liberal è perennemente alla ricerca di spostare il partito a sinistra e di sconfiggere l'opposizione dei centristi. Mentre i Repubblicani, come i conservatori stanno cerncando di venire a capo della materia dell'immigrazione. 
All'interno della campagna di Hillary, ci saranno senza dubbio persone che faranno eco alle argomentazioni dei Blairisti che la dura sconfitta dimostra il pericolo di uno spostamento troppo a sinistra. E - in un certo senso - queste persone hanno ragione. La piattaforma Labour - che include la promessa di alzare le tasse per i redditi più alti e di introdurre una nuova tassa sulle case multimilionarie - è stata premiata in alcune aree del paese, ad esempio nelle città, sede di numerosi liberal, college educated, così come di molti immigrati. In Greater London, ad esempio, i Labour hanno aumentato i seggi da 38 a 45. Ma nei sobborghi e nelle piccole cittadine, il messaggio progressista del partito non ha avuto successo, consentendo ai conservatori di ottenere la maggioranza alla Camera dei Comuni. 
Nonostante questo fallimento, sarebbe una semplificazione fuorviante sostenere che i Labour abbiano perso perché gli elettori hanno rifiutato il piano redistributivo, che in effetti ha avuto un risultato positivo nei sondaggi, così come lo hanno avuto altre porposte progressiste (come l'aumento del salario minimo, la riduzione dei costi del college e la garanzia di 25 ore di riposo alla settimana per le famiglie con figli piccoli). Miliband ha avuto il risultato migliore nei sondaggi quando ha promesso di eliminare la deroga che permettrva a molti ricchi redisenti British di non pagare le tasse sui rendimenti all'eserto. E la sua accusa che i Tories non finanziassero adeguatamente il National Health service ha fatto sì che i conservaotri trovassero nuovi fondi per la sanità pubblica. 

Sarebbe altrettanto un errore interpretare il risoltato delle elezioni come una generico endorsemente alle poltiche di austerità dei conservaorti, che in larga misura hanno caratterizzato il primo mandato di Cameron. Anche se i Tories hanno leggermente visto accrescere il loro risultato, i liberal-democratici, la cui partecipazione al governo di coalizione ha permesso ai concervaori di portare avanti i propri piani economici, hanno sofferto di un crollo senza precedenti, scendendo dal 23.1% del 2010 al 7.9%. 
Il voto complessivo della coalizione dell'austerity ha collassato, come ha detto Yglesias su Vox. 

Il problema dei Labour è stato che non ha conquistato il voto dei non tory. In Scozia, questo è stato decimato dallo Scottish National Party; in Inghilterra ha ceduto molti voti all'Ukip. 
Tra coloro che sono stati sconfitti, Douglas Alexander e Ed Balls, il primo sconfitto dal NSP, l'altro dai conservaoti (a causa dell'8% conquistato dall'Ukip). 
Le sorti di Alexander e Balls, due labour moderati e di lungo corso, dimostra perché è pericoloso, da una prospettiva americana, dedurre in modo eccessivo da ciò che è successo ai labour. I Democratici hanno le loro sfide da affrontare, ma essere spremuti da una parte da un partito nazionalista di sinistra e dall'altra da un partito nazionalista di destra non è un pericolo effettivo per Hillary Clinton o chiunque altro sarà il candidato Dem. Certamente, a causa della rapida crescita del voto ispanico in molte aree, il tema dell'immigrazione, che è stato centrale nell'appello dell'UKIP, rappresneta iun grande pericolo per i repubblicani. Se il candidato repubblicano non riesce a trovare il modo di neuralizzare questo possibile problema, avrà grandi problemi in stai come il Colorado, la Florida e il Nevada. 
E non è solo questa la differenza tra gli Stati uniti e Gran Bretagna. Un'altra grande differenza è che i democratici sono attualmente al potere, il che significa che - come i conservatori in Inghilterra - beneficiano dei recenti miglioramenti dell'economia. Le performance dell'economia britannica non è stata soddisfacente, la crescita del pil è stata debole e gli standard medi di vita delle persone sono ancora al disotto rispetto al 2008. Durante gli ultimi due anni, però, le cose sono migliorate: il pil inglese è cresciuto più velocemente che in ogni altra economia europea e la crescita dell'occupazione è stata forte. Questa svolta ha permesso ai conservatori di parlare di successo dopo tutti i sacrifici compitui dal paesi e che non fosse il caso di rischiare dando il voto ai labour, partito che a riagione o no, in mlti identificano con l'overspending e la spesa in deficit.

L'economia americana, come quella inglese, sta sperimentando una ripresa modesta sul piano del PIL con una forte crescita del lavoro. Molti americani ancora non percepiscono cambiamenti nella loro vita ma questo era vero anche per la Gran Bretagna: la mancanza di fiducia era una delle ragioni che faceva pensare a molti commentatori che i labour avrebbero potuto vincere. Alla fine, invece, gli elettori hanno premiato i conservatives per la gestione dell'economia. Se negli USA la ripresa dell'economia continua, come molti economisti ritengono, i democratici potrebbero ottenere lo stesso premio dalle urne.

Ciò comunque non significa che i labour non abbiano fatto errori o che i Dem non debbano prendere lezione da questi. La lotta di Ed Miliband a partire dalla sconfitta di suo fratello, dimostra l'importanza della scelta di un leader credibile che con solida esperienza e capacità comunicative. Miliband, nonostante in campagna elettorale abbia avuto una performance migliore delle aspettative, non ha mai veramente raggiunto questi standard. Praticamente ogni cosa che ha dichiarato con riferimento all'aumento delle diseguaglianze e alla stagnazione del tenore di vita e all'attacco dei Tories verso i più bisognosi e i disoccupati era corretto. Così come era corretto il  fatto che la tassazione è stata distorta a favore dei più ricchi dai tempi in cui la Tatcher aveva abolito le tasse sulle proprietà immobili e la rimpiazzò con una tassa pro capite, e che la Gran Bretagna ha bisogno di investire nell'educazione e nelle infrastrutture, per costruire una società con elevate competenze ed alti salari. Ma anche se Miliband e il suo team hanno fatto la diagnosi corretta,  non hanno convinto gli inglesi sul fatto che avessero la giusta ricetta. Le singole proposte labour erano popolari, ma molti elettori si sono apparentemente fidati dell'avvertenza dei tories relativamente al fatto che i labour avrebbero speso irresponsabilmente e portato lo stato alla bancarotta.

Anche qui, la situazione che devono affrontare i democratici è molto diversa e il fatto di essere al potere è un vantaggio. Qualunque piano economico assembli Hillary clinton (e qui sto dando per scontato che sia lei ad essere nominata), sarà in grado di far valere espereizna e una gestione responsabile delle finanze. A partire dal 2010, il deficit USA è sceso del 10% del PIL al 3%. Le accuse dei repubblicani contro le politiche spendaccione di Obama si sono dimostrate false e gli elettori non possono non riflettere su ciò. Se nel 2012 per il sessanta per cento degli americani l'economia risultava essere la principale sfida per il paese, nell'aprile di questo anno la percentuale è scesa al 34 per cento.

Si può sostenere che la sconfitta dei Labour sia più problematica per i Repubblicani che per i Democrats usa. Sono i Repubblicani che devono scalzare i democratici al potere.
Sono i Repubblicani ad essere il partito con guida maggiormente ideologizzata, e sono i repubblicani ad avere il record di utilizzo di surplus di budget nelle loro politiche preferite, come il taglio delle tasse e le avventure militari.
Miliband - nonostante le suoi migliori intenzioni - non ha potuto convincere gli elettori che i labour non si sarebbero ripresi quello che molti avevano ottenuto. Chiunque vincerà le primarie repubblicane, dovrà affrontare questa sfida.

martedì 12 maggio 2015

Coerenza di bandiera



Insomma:
prima dice di non andare
Poi va
poi lascia la lista ma rimane all'Europarlamento.


sabato 9 maggio 2015

Europe Day




9 MAGGIO 1950 - Dichiarazione Schuman 

La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.
Il contributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. La Francia, facendosi da oltre vent'anni antesignana di un'Europa unita, ha sempre avuto per obiettivo essenziale di servire la pace. L'Europa non è stata fatta : abbiamo avuto la guerra.

L'Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L'unione delle nazioni esige l'eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l'azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania.
A tal fine, il governo francese propone di concentrare immediatamente l'azione su un punto limitato ma decisivo.
Il governo francese propone di mettere l'insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un'organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei.
La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime.
La solidarietà di produzione in tal modo realizzata farà si che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile. La creazione di questa potente unità di produzione, aperta a tutti i paesi che vorranno aderirvi e intesa a fornire a tutti i paesi in essa riuniti gli elementi di base della produzione industriale a condizioni uguali, getterà le fondamenta reali della loro unificazione economica.
Questa produzione sarà offerta al mondo intero senza distinzione né esclusione per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace. Se potrà contare su un rafforzamento dei mezzi, l'Europa sarà in grado di proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano. Sarà così effettuata, rapidamente e con mezzi semplici, la fusione di interessi necessari all'instaurazione di una comunità economica e si introdurrà il fermento di una comunità più profonda tra paesi lungamente contrapposti da sanguinose scissioni.
Questa proposta, mettendo in comune le produzioni di base e istituendo una nuova Alta Autorità, le cui decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, costituirà il primo nucleo concreto di una Federazione europea indispensabile al mantenimento della pace.Per giungere alla realizzazione degli obiettivi cosi' definiti, il governo francese è pronto ad iniziare dei negoziati sulle basi seguenti.
Il compito affidato alla comune Alta Autorità sarà di assicurare entro i termini più brevi: l'ammodernamento della produzione e il miglioramento della sua qualità: la fornitura, a condizioni uguali, del carbone e dell'acciaio sul mercato francese e sul mercato tedesco nonché su quelli dei paese aderenti: lo sviluppo dell'esportazione comune verso gli altri paesi; l'uguagliamento verso l'alto delle condizioni di vita della manodopera di queste industrie.
Per conseguire tali obiettivi, partendo dalle condizioni molto dissimili in cui attualmente si trovano le produzioni dei paesi aderenti, occorrerà mettere in vigore, a titolo transitorio, alcune disposizioni che comportano l'applicazione di un piano di produzione e di investimento, l'istituzione di meccanismi di perequazione dei prezzi e la creazione di un fondo di riconversione che faciliti la razionalizzazione della produzione. La circolazione del carbone e dell'acciaio tra i paesi aderenti sarà immediatamente esentata da qualsiasi dazio doganale e non potrà essere colpita da tariffe di trasporto differenziali. Ne risulteranno gradualmente le condizioni che assicureranno automaticamente la ripartizione più razionale della produzione al più alto livello di produttività.
Contrariamente ad un cartello internazionale, che tende alla ripartizione e allo sfruttamento dei mercati nazionali mediante pratiche restrittive e il mantenimento di profitti elevati, l'organizzazione progettata assicurerà la fusione dei mercati e l'espansione della produzione.
I principi e gli impegni essenziali sopra definiti saranno oggetto di un trattato firmato tra gli stati e sottoposto alla ratifica dei parlamenti. I negoziati indispensabili per precisare le misure d'applicazione si svolgeranno con l'assistenza di un arbitro designato di comune accordo : costui sarà incaricato di verificare che gli accordi siano conformi ai principi e, in caso di contrasto irriducibile, fisserà la soluzione che sarà adottata.
L'Alta Autorità comune, incaricata del funzionamento dell'intero regime, sarà composta di personalità indipendenti designate su base paritaria dai governi; un presidente sarà scelto di comune accordo dai governi; le sue decisioni saranno esecutive in Francia, Germania e negli altri paesi aderenti. Disposizioni appropriate assicureranno i necessari mezzi di ricorso contro le decisioni dell'Alta Autorità.
Un rappresentante delle Nazioni Unite presso detta autorità sarà incaricato di preparare due volte l'anno una relazione pubblica per l'ONU, nelle quale renderà conto del funzionamento del nuovo organismo, in particolare per quanto riguarda la salvaguardia dei suoi fini pacifici.
L'istituzione dell'Alta Autorità non pregiudica in nulla il regime di proprietà delle imprese. Nell'esercizio del suo compito, l'Alta Autorità comune terrà conto dei poteri conferiti all'autorità internazionale della Ruhr e degli obblighi di qualsiasi natura imposti alla Germania, finché tali obblighi sussisteranno.