mercoledì 31 luglio 2013

L'intervista della discordia

Perché l'Italia deve dividersi su tutto. Deve sbattersi su tutto. Deve tingere, tutto, di bianco o di nero. Sta nel suo dna accapigliarsi (con se stessa) per ogni cosa. E non importa se sia essenziale o insignificante, fondamentale o secondaria, marginale o centrale. L'importante è dividersi. Non dividersi con la forza del ragionamento e con garbo, ma urlando, facendosi beffe dell' "altro da sé". Ed è successo anche oggi, a proposito dell'oramai già famigerata intervista di Aldo Cazzullo a Francesco de Gregori (Corriere della Sera). Sì, proprio così: per un'intervista. Una sola e semplice intervista di fine luglio. Non entro nel merito (comunque a me non è dispiaciuta) e mi limito a registrare i fiumi di clic e di parole, di hashtag e di post. Come funghi spuntano qua e là commenti, note di sarcasmo, prese in giro. Le parodie si intrecciano alle analisi seriose, le note apologetiche alle accuse. E frotte di giornalisti o sedicenti tali, in cerca di un posto al sole, criticano, commentano, linkano, mentre #DeGregori diventa - in meno di un'ora - trend su Twitter, che nemmeno avesse pubblicato un nuovo album. Il partito "contro l'intervista" ne sottolinea l'inutilità, mentre quello a favore la riprende e la cita urbi et orbi.
Pare strano, ma è lo stesso paese dell'omertà con i poteri criminali, del silenzio ventennale contro il conflitto di interessi, della irresponsabilità civica. E di tanta altra colpevole indifferenza.
Ma - di grazia - con tutte le folle di incapaci, incompetenti e balordi che, in tv come sulla carta stampata, parlano e straparlano, magari occupando posti di potere, perché prendersela con una chiacchierata con un cantautore che ha fatto storia?
Quanta energia sprecata. Quanto inutile fumo che si crede dibattito.
Ed è ancora una volta vero quello che dice il nostro Jep Gambardella, perché la Grande Bellezza è tutta sedimentata "sotto il chiacchiericcio e il rumore".

Viva l'Italia.

Ah, e comunque ha sempre ragione lui:


lunedì 29 luglio 2013

Al centro, un grande cratere



Al centro, un grande cratere. Intorno, un groviglio, un ammasso di lamiere, calcinacci, vetri, macerie. Pezzi di cose indefinite. Dentro quell’inferno, dove qualcuno era stato dilaniato, o esalava l’ultimo respiro, e altri miracolosamente scampavano alla morte, c’era il loro papà, il giudice Rocco Chinnici.

Appena cinque minuti erano trascorsi da quando lui aveva dato loro il «buongiorno». Era entrato nelle loro camere, come sempre, con il vassoio del caffè. Un buffetto sul viso e il vocione familiare, rimasto ancora a rimbombare tra le pareti squassate dall’esplosione di un’utilitaria, una Fiat 126 verde, una qualsiasi, ma imbottita di tritolo: «Arrivederci ragazzi, a più tardi».
Non l’avrebbero mai più visto, con la sua figura imponente di omone di 58 anni, all’apparenza burbero, ma in realtà «un pezzo di pane».


Estratto da "Così non si può vivere. La storia mai raccontata del giudice che sfidò gli intoccabili", De Pasquale, Iannelli  - Castelvechi editore, 2013



Il 29 luglio del 1983 la mafia uccideva - nel primo attentato con tritolo - il giudice Rocco Chinnici, padre del Pool Antimafia e ideatore del metodo di indagine che mette al centro soldi e conti correnti, tracce - per troppo tempo trascurate - che conducono al potere mafioso, e alla politica, con cui spesso questo è interrelato.   
Con lui persero la vita due uomini della scorta, Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, e 
Stefano Li Sacchi, il portiere del palazzo dove abitava il giudice. 
Aveva chiamato a lavorare con sé, tra gli altri, Falcone e Borsellino e aveva compreso, tra i primi, le trame che, nell'azione mafiosa, univano crimine, potere e affari.   

giovedì 25 luglio 2013

Il conflitto di interesse che preoccupa (anche) i conservatori

Lynton Crosby (ph. Rex Features)

Continua ad agitare le acque della politica inglese il caso Lynton Crosby, ora che - anche tra le fila degli stessi conservatori - comincia a farsi strada l'idea che lo spettro del conflitto di interessi possa danneggiare l'immagine del Primo Ministro David Cameron. E, con essa, la sua leadership.

Crosby -  campaign strategist del Premier e, più in generale, adivisor dei Tories, sempre più vicino alla compagine governativa - continua parallelamente a portare avanti il proprio lavoro nella società di consulenza da lui stesso fondata, la Crosby Textor, che vanta numerosi (e potenti) clienti. Tra cui Philip Morris, circostanza dalla quale, in coincidenza con lo stand-by dei provvedimenti governativi sulla regolamentazione del settore del Tabacco, sono nati legittimi sospetti su una azione di lobbying dello stesso Crosby nei confronti del governo (azione, per altro, negata con forza sia da Cameron che dal suo advisor).

Se fino ad ora la vicenda era stata liquidata da Cameron e dai membri della sua maggioranza come una crociata dei labour per ammaccare l'immagine del governo, ora dubbi vengono espressi anche dagli stessi conservatori. Lo fa, in particolare, Paul Goodman, dall'influente blog ConservativeHome (LEGGI IL POST).

"Lynton Crosby dovrebbe prima lasciare i suoi clienti e poi prendersi in carico l'intera macchina della campagna conservatrice", spiega l'ex parlamentare conservatore e direttore di ConservativeHome. "Il problema - continua - è che il confine tra la consulenza sulla politica, che Crosby non offre, e la consulenza sulla strategia, che è, invece, la sua missione nei confronti dei Tories, non è così netto come vuole far credere Downing Street. Le due cose possono fondersi tra loro e finché Crosby avrà dei clienti sarà sempre sottoposto all'accusa di conflitto di interessi".

Pur convinto che, ad oggi, l'azione di lobbying denunciata dall'opposizione non si sia verificata, Paul Goodman è prudente, e guarda alle ricadute elettorali di una simile faccenda: "Finora non c'è stato un impatto sugli elettori, ma non è escluso che non ci possa essere in futuro. A meno che Crosby non lavori a tempo pieno con i Conservatori, c'è il rischio che il caso possa allargarsi". La ricetta, dunque, sarebbe quella di mettere l'advisor nella condizioni di lavorare, per i 15 mesi che precedono le elezioni, solo per i Tories.

La proposta sembra non dispiacere ad altri esponenti del Partito che hanno messo allo studio la soluzione. Anche secondo il sindaco di Londra, Boris Johnson, anche lui affiancato da Crosby nel corso della campagna elettorale, il partito dovrebbe fare qualsiasi cosa per tenersi stretto il consulente. Dove, secondo Goodman, per "qualsiasi cosa" si intende pagare lo stratega tanto da permettergli di rinunciare ai suoi clienti.

"Ricapitolando - conclude Paul Goodman - il partito ha bisogno di Crosby - un professionista di qualità con convincimenti conservatori, rara combinazione. Solo una sua nomina a tempo pieno poterebbe porre fine a queste polemiche".

Guarda il VIDEO: Conflitto di interesse?
Leggi: Crosby, ancora tu.

martedì 23 luglio 2013

Royal Baby e dintorni

La prima pagina del The Sun, che per l'occasione cambia nome... 



Il The Guardian si fa in due e nell'edizione web permette ai visitatori repubblicani di ottenere una homepage ... senza notizie sul celebre parto...

  Il "Town Crier" (l'ufficiale di corte che, per tradizione secolare, portava - preceduto dal suono di una campanella - le notizie per le strade di Londra) annuncia la nascita del figlio di Kate e William...

 
I cugini americani Muppets si congratulano...


lunedì 22 luglio 2013

Crosby, ancora tu.

Lynton Crosby, photo Andy Hall 

In Inghilterra si complica il caso Lynton Crosby: stando al The Guardian, la società fondata dall'attuale campaign strategist del PM David Cameron, avrebbe, nel 2010, offerto consulenza ad operatori della sanità privata, di modo che si potessero avvantaggiare lacune e crepe del NHS, il National Health Service. Ossia, il servizio sanitario pubblico. La prova? Una serie di slides della Crosby Textor (sotto il nome di "CTF partners") a dir poco eloquenti (Leggi il documento), in cui vengono evidenziati - anche a fronte di una dichiarata generale soddisfazione dei cittadini inglesi nei confronti del NHS - i principali difetti dello stesso, tra cui un eccesso di burocrazia e la lunghezza delle liste di attesa. Insomma, stringe l'analisi, per gli inglesi se la sanità è buona e veloce, non importa chi sia a fornirla, se il pubblico od il privato.

Significativa anche la data del documento, che si inserisce nelle delicate fasi di discussione - alla House of Commons - della legge, poi approvata, su Social and Health Care. Legge particolarmente tenera con gli operatori della sanità privata. 

La faccenda, quindi, si aggiunge alla questione che ha tenuto banco la scorsa settimana, e cioè la presunta azione di lobbying che Crosby avrebbe posto in essere con riferimento al piano allo studio del governo per regolare il settore del tabacco (leggi). 

Il problema, dunque, non sta nella attività di consulenza della Crosby Textor (è normale che un advisor faccia il proprio lavoro, a prescindere dalla valutazione di merito degli interessi rispetto ai quali fa consulenza). Il problema sta, piuttosto, nella attuale vicinanza di Crosby a Cameron ed ai Tories, in vista di un sempre più probabile coinvolgimento politico in prima persona. 
Questo ulteriore spaccato della sua attività, possiamo esserne sicuri, non contribuisce certo a placare le polemiche. 


giovedì 18 luglio 2013

Conflitto di interesse?


La questione è questa: Lynton Crosby - campaign strategist del Primo Ministro inglese David Cameron - è alla guida di Crosby Textor imponente società di consulenza. Cliente, tra gli altri, Philip Morris Ltd, gigante dell'industria del tabacco. Proprio in questi giorni è allo studio del governo inglese un piano per regolare il settore del tabacco e proprio in questi giorni dal piano è scomparsa una delle misure più dure, quella relativa al packaging. Conflitto d'interessi? Certamente, spiegano i Labour per voce del leader Ed Miliband, che definisce quanto avvenuto un "disgraceful episode". Cameron, da parte sua, nega e contrattacca, ricordando i legami dei labour con i sindacati.

martedì 16 luglio 2013

I pasdaran di Miss Italia





















Talebani, oscurantisti, depressi e rancorosi. Sono solo alcune delle definizioni usate da molti per impallinare coloro che – in primis la Presidente della Camera Laura Boldrini – hanno salutato come segno di civiltà il no espresso della Rai con riferimento al vetusto concorso di Miss Italia.
«Miss Italia era il segno di un'Italia che cresceva, guidata dall'ottimismo e che aveva voglia ogni tanto di distrarsi», spiegano i difensori della kermesse. «Altro che civiltà – continuano – la mancata trasmissione televisiva della manifestazione è lo specchio di un Paese impoverito, depresso e rancoroso».
Come è possibile vedere un segno di civiltà nell’esposizione di giovani ragazze, valutate per il “lato a” e per il “lato b”, più che per anima, personalità e talento? E, soprattutto, quanta povertà culturale risiede nella convinzione che il corpo della donna sia mero elemento consolatorio, strumento di “distrazione” dalle durezze e dalle asperità della vita?
Credo sia giunto il momento che il servizio pubblico smetta di veicolare certa (deteriorata) immagine della donna. Lo faccia, se crede, la tv commerciale, con il trash imperante che ha alimentato negli anni. Ma non la televisione pubblica.
Polemica sterile? Non credo.
Perché per distrarsi non serve più far sfilare giovani ragazze in costume da bagno.

lunedì 15 luglio 2013

I'm an Englishman in EU

La hp di "British Influence"



















Può essere definita una “cross-party initiative” quella di “British Influence” think tank pro-Europa nato su iniziativa di vari funzionari e opinion leader e che sta drenando risorse da una parte e dall’altra degli schieramenti della politica inglese.
Proprio oggi il gruppo ha pubblicato il suo manifesto, “Better off in a Better Europe”.
Ecco l’articolo che lo presenta.
Perché, con  un piede dentro ed uno fuori, la Gran Bretagna continua paradossalmente ad essere la nazione più impegnata in un serio dibattito sull’Unione eruopea e sulle riforme di cui essa ha bisogno.
***
Per oltre 500 anni la Gran Bretagna è stata un grande attore in Europa. In primo luogo, per garantire che nessun paese fosse libero, da solo, di determinare aggressivamente il futuro del vecchio continente; in secondo luogo, per spingere il continente verso i nostri valori fondamentali di democrazia, libertà e Stato di diritto. Considerando dove era l'Europa un secolo fa, non si può dire che l’influenza britannica non sia riuscita in questi compiti. Ma gli isolazionisti vorrebbero farci credere che la Gran Bretagna non ha voce in Europa ed è, al suo interno, senza amici. Questo messaggio disfattista è sbagliato e pericoloso. La Gran Bretagna possiede sia influenza che alleati. Il Regno Unito deve occupare il posto di guida, e non farsi trascinare. La leadership è in palio: evitarla significherebbe rinunciare ad una responsabilità nazionale, indegna per la nostra storia.

I nostri partner in Europa, in America e nel Commonwealth vogliono la Gran Bretagna continui a svolgere un ruolo di primo piano in Europa. Ma presteranno sempre meno attenzione se ci avvieremo verso l'uscita. L'unico modo per ottenere le riforme dell'UE nel che vogliamo è rimanervi e lavorare, da dentro, per il cambiamento: l'UE non cambierà nel modo che vogliamo, se ne usciamo. Lasciare l'Unione sarebbe per il Regno Unito un enorme errore strategico, una completa negazione dei nostri interessi nazionali. Rinunciare all’Ue metterebbe in pericolo non solo la nostra economia, ma minerebbe il nostro rapporto politico con gli Stati Uniti e il nostro impatto sulla Cina, India e le altre potenze emergenti. L’isolamento ci renderebbe più deboli e più poveri. Il mondo sta cambiando e la capacità della Gran Bretagna di influenzare l'impegnativo ambiente globale è meglio assicurata nel quadro di un partenariato con i nostri vicini europei.

Il mondo globalizzato è ormai tenuto insieme da regole forgiate nelle sedi internazionali. Per garantire la crescita e creare posti di lavoro, la Gran Bretagna deve sedere al tavolo dove tali norme vengono decise. Al di fuori dell'Ue, la vendita di beni e servizi inglesi in Europa significherebbe conformarsi continuamente alle mutate norme Ue. Con l’uscita dall’Unione, il Regno unito perderebbe in fatto di sovranità, invece che guadagnarne. Westminster diventerebbe, al pari della Norvegia, una “fax democracy”.

Quindi dobbiamo rimanere, per vincere. Tuttavia, sono più che mai necessarie riforme economiche e politiche, e la Gran Bretagna dovrebbe condurle. Attraverso la creazione di alleanze con i tanti amici che condividono le nostre opinioni possiamo riformare attivamente l'Ue e proiettare questi valori in Europa e, attraverso essa, al resto del mondo. Sarebbe un errore storico di abbandonare questo compito proprio ora, quando il ruolo della Gran Bretagna è più che mai necessario. È per questo che il Regno unito dovrebbe adoperarsi per porre in essere le riforme dall'interno, e non minacciare un “rimpatrio unilaterale dei poteri”; dovremmo proporre un ordine del giorno per il cambiamento, che offra miglioramenti per tutti i membri, e non solo un accordo speciale per la Gran Bretagna. Molto si può essere fatto senza modificare i trattati, ed è questo il modo migliore per apportare cambiamenti per noi e per i nostri partner europei.
Westminster deve aprirsi e fare il suo lavoro. Qui in Gran Bretagna, il Parlamento dovrebbe tenere in maggiore considerazione il Consiglio e le altre istituzioni dell'UE, attraverso un deciso miglioramento sia in sede di esame della legislazione europea, che nelle attività di comunicazione ai cittadini. Grazie alla collaborazione con altri governi e parlamenti europei, si possono raggiungere maggiore trasparenza e responsabilità e cittadini potrebbero essere rassicurati circa il progresso democratico, in Europa come “in casa”. Ora, i nostri parlamentari non dispongono degli strumenti e dei poteri necessari per fare il loro lavoro correttamente, lasciando la responsabilità politica all'esecutivo e agli “eurofobi”.
Non c'è uscita senza dolore. La convinzione per cui – con l’uscita dall’Unione – verrebbe meno il peso della normativa europea è sbagliata: qualsiasi paese al di fuori del blocco e che desideri operare con l'UE – ad esempio la Norvegia - deve rispettare tutte le normative commerciali, ambientali e sociali dell’Unione. L'ipotesi secondo la quale per il Regno Unito andrebbe tutto liscio con un semplice accordo di libero scambio con l'Ue (e che un tale accordo sarebbe a costo zero) è sbagliata. Quali sarebbero le implicazioni per i milioni di cittadini britannici che vivono nel resto dell'UE? Verrebbero probabilmente meno diritti di assistenza sociale e sanitaria reciproca, nom ci sarebbe più alcun diritto automatico di permanenza, nessuna libertà di studiare e viaggiare in tutta l'UE e di costruirsi una casa di riposo al sole. Se la Gran Bretagna non fosse una base - all'interno dell'UE – per i produttori e gli investitori, sarebbero così tanti investitori internazionali a sentirsi sicuri di affollarsi sulle nostre coste? Sarebbe davvero tutto uguale per l'87% per cento dei nostri esportatori che commerciano con il resto dell'UE?

Quindi, i patrioti immaginano la Gran Bretagna in un’Europa riformata, mentre gli isolazionisti vogliono uscirne.  È una battaglia tra ottimisti e pessimisti, tra il futuro e il passato. Tra la realtà e la fantasia.

Leggi anche:
Nebbia sulla Manica: chi è (veramente isolato)? (sito internet "Isituto di politica")

venerdì 12 luglio 2013

Non sono io!




In Belgio non sembrano intenzionati ad abbassare la guardia sulla spinosa questione web&privacy. Dopo lo spot di qualche mesa fa (GUARDA), ecco un altro efficacissimo video. Dove viene mostrato come non sia poi così difficile appropriarsi dei dati sensibili (in questo caso bancari) che ciascuno di noi mette in rete o comunica telefonicamente. Le conseguenze? Operazioni a proprio nome, fino ad un vero e proprio furto di identità.

venerdì 5 luglio 2013

Egyptian graffiti


© Ap Photo Hassan Amma
© AFP

© Reuters/Amr Abdallah Dalsh
© Reuters/Amr Abdallah Dalsh 

Scorrono sui muri de Il Cairo i simboli, i sentimenti e le speranze dei convulsi e violenti giorni che hanno condotto alla deposizione di Mohamed Morsi.

Sempre sull'Egitto:

Tahrir Square o Piazza della Liberazione
Due anni fa

Graffiti e politica:

Libyan Graffiti

lunedì 1 luglio 2013

E sono 28


I commissari europei salutano, ciascuno nella propria lingua, l'ingresso della Croazia nell'Ue



I membri del governo croato rispondono al "Benvenuto!"


Ecco l'articolo di Boris Pavelic su Novi List, il più antico dei quotidiani croati (da Presseurop): 
Valori umani comuni – questo è il senso dell'Ue. La pace, la libertà individuale, il rifiuto della violenza, l'arte del compromesso, lo stato di diritto e così via, sono questi i valori che maschera la caotica situazione nella quale si trova oggi l'Europa. Tuttavia anche il caos politico non ha potuto gettare un'ombra sulla volontà liberamente espressa dai popoli europei: vivere in pace secondo delle regole comuni che garantiscono la pace e i diritti umani.
Tutto ciò suona falso? Ricordiamo però come la Croazia ha vissuto fino a oggi, e come viveva sotto l'impero austro-ungarico. All'epoca i croati avevano poco potere decisionale, così come nel regno jugoslavo di un tempo. Quel regime, in apparenza democratico, era solo uno stato di polizia filoserbo. E a che cosa assomigliava lo stato indipendente di Croazia (Ndh) che è esistito dal 1941 al 1945? Era uno stato fondato sul genocidio (degli ebrei, dei serbi, dei rom e dei comunisti), sul razzismo e sul nazionalismo.
E che dire della Repubblica socialista federale di Jugoslavia? Ufficialmente stato federale, era in realtà una versione "light" di una dittatura comunista, un paese senza libertà di espressione e senza libertà di vivere secondo le proprie scelte. E la Croazia di Tudjman [1989-1999]? Ufficialmente democratica, in realtà era una "democratura" nazionalista, uno stato al servizio del saccheggio dei propri cittadini, della dissimulazione dei crimini e della tolleranza dell'istigazione all'odio. Nessuno di questi Stati aveva come principio attivo la pace e i diritti dell'uomo.
Per gli stati membri dell'Ue questi principi sono delle basi. L'Unione europea è la prima comunità politica che è riuscita ad [aprire le sue frontiere]contenzioso sulla baia di Piran. La cosa più importante non è il denaro, ma la libertà. In passato Václav Havel, che sapeva raccogliere le sfide impossibili della politica, ha dichiarato: "L'Europa non si può riassumere in un sacco di patate". Questa frase assume il suo pieno significato nei Balcani, dove non abbiamo mai avuto l'abitudine di insistere sui valori. Un atteggiamento comprensibile, visto che troppo spesso ci siamo sentiti ingannati. Qui questi ideali sono stati spesso utilizzati per ingannare il popolo.
Ecco infine un'occasione per cambiare tutto ciò. Accettando le regole dell'Ue, accettiamo la decisione di rifiutare "l'arbitrario". È necessario avere fiducia in se stessi per adottare i valori che abbiamo scelto. In futuri nessuno potrà fare una guerra contro un altro paese affermando di fare il bene della nazione. Nessuno potrà nascondere i crimini affermando che è meglio così. Nessuno potrà basare la propria politica sul semplice fatto che "sua moglie non è né serba né ebrea" [dichiarazione di Tudjman]. E soprattutto nessuno potrà cambiare le regole a proprio piacimento – ed è quello che sta cominciando a capire Milanović [il primo ministro croato].
A partire da oggi sappiamo quello che è accettabile e quello che non lo è. Per questo motivo in un'occasione così importante e solenne lasciamoci portare dall'entusiasmo, ma non abbassiamo la guardia. Ricordiamo il brindisi, pieno di malinconia, fatto dal grande poeta Ivan Lovrenović nel 2004, in occasione della riapertura dello Stari Most [vecchio ponte] di Mostar: "Mentre volano le rondini, che giocano con il vento sotto gli archi del ponte, faccio un brindisi e dico: Eccoci di nuovo".