martedì 27 marzo 2012

La cultura della legalità

Il Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso (al centro)

























L’aula 5 della Facoltà di Scienze politiche è colma. Stracolma. C’è una bella energia, un’aria di partecipazione e di impegno, un non so che di vitale. Sono tantissimi gli studenti che oggi, in una Perugia assolata, ascoltano attenti le parole di Pietro Grasso. Il Procuratore Nazionale Antimafia ci tiene ad incontrare i giovani che, spiega, incarnano la speranza nel cambiamento. Lui che, proprio da giovane, anzi da giovanissimo, decise che il suo sogno sarebbe stato quello di diventare magistrato. «Sono cresciuto in una Palermo le cui strade erano lastricate dal sangue dei cadaveri: a 24 anni ero magistrato. Volevo capire il perché, il perché di quelle vittime». «A 25 mi sono sposato e a 26 avevo dei figli», aggiunge soddisfatto. Pretore a Barrafranca prima, procuratore al Tribunale di Palermo poi, dal 2005 è a capo della Direzione Nazionale Antimafia. È il “maxiprocesso” (1986 -87) la vera e propria svolta nella vita (da quel giorno è sotto scorta) e nella carriera di Pietro Grasso. E in quell’occasione redige una sentenza di circa 7 mila pagine, scritte in 8 mesi di durissimo lavoro, «perchè  non si trattava semplicemente di processare l’associazione, ma tutti i delitti che questa aveva perpetrato in ben dieci anni».
Ma che cosa è la mafia? Quale è la sua struttura, come è organizzata, come vengono intessute le sue relazioni esterne? Guai a ritenerla mera realtà romanzesca sul modello de Il Padrino, spiega Grasso, men che meno problema etnico della sola Sicilia («la linea della Palma si sposta sempre più verso nord», avvertiva Leonardo Sciascia). «La mafia – continua il Procuratore – non è solo un’organizzazione criminale, è qualcosa di più», la Mafia è furba e approfitta, rapace e avida, delle assenze dello Stato: si sostituisce alla giustizia, fornisce servizi, dà lavoro. Una sorta di “welfare criminale”, al posto di quello legittimo che – in molte parti del Paese – tarda a venire o non è mai arrivato. E poi c’è la mafia contemporanea, quella delle reti di affari, sempre più difficile da decifrare, in quanto sfugge all’elementare rapporto corrotto-corruttore.  È il tempo delle società multiservizi e il mafioso – abbandonati lupara e coppola – indossa giacca, cravatta e ventiquattrore.
Numerosissimi gli studenti alla lezione di Piero Grasso
Immancabili e numerosissimi i riferimenti – intensi ma privi di retorica – ai colleghi Falcone e Borsellino: «hanno posto le basi per la lotta alla criminalità organizzata. È grazie a loro se oggi cominciano ad arrivare i primi risultati». Ma ancora molta è la strada da fare. Già perché, come una tela di Penelope, la lotta alla mafia è fatta di slanci in avanti e battute d’arresto: per funzionare, deve essere continua e continuativa e vince solo se viene valorizzato il lavoro che altri hanno svolto in precedenza.
Oggi più che mai – è l’appello genuino di un uomo che crede nella giustizia – serve una cultura della legalità, che non è solo rispetto delle regole, ma soprattutto sistema di principi, ideali e valori. Servono (buone) utopie e fiducia nel cambiamento. Al bando i falsi miti e la rassegnazione.
«Perché la legalità è la forza dei deboli». E può essere dirompente. 



mercoledì 21 marzo 2012

Il giro d'Italia in 150 giorni


Che ci fanno Giuseppe Garibaldi, il ragionier Fantozzi e Silvio Berlusconi nelle pagine dello stesso libro? Che cosa ha in comune la Breccia di Porta Pia con la Milano da bere? E la voce di Pavarotti con le imprese di Dorando Pietri? La risposta – più semplice di quanto si possa pensare – è che sono tutti fatti, personaggi e caratteri italiani, magistralmente raccontati da Massimo Gramellini – giornalista e vicedirettore de La Stampa, nonché autore di ottimi libri – e Carlo Fruttero, compianto scrittore e uomo di cultura, uno di quei personaggi di cui la contemporaneità sembra essere sempre più avara.

Il libro si intitola significativamente “La Patria, bene o male, ma ancor più significativo è il sottotitolo: Almanacco essenziale dell’Italia unita (in 150 date): un viaggio tutto italiano, una risalita lungo i quindici decenni che vanno dal 1861 ad oggi. In 150 giornate. Alcune sono date inevitabili, di quelle che hanno fatto e (quasi) disfatto il paese – dal voto del Senato che sancisce la nascita dell’Italia a Mani pulite – “ma molte altre – si legge nella prefazione –, non senza lunghe discussioni tra noi, sono state incluse o escluse, con intendimenti ragionevoli e tuttavia opinabili”.

E’ così che cronaca rosa e cronaca nera si susseguono, grandi fatti si intrecciano con piccole avventure, storie collettive fanno da sfondo a storie di singoli, da Collodi a Gianni Agnelli, passando per Joe Petrosino, Giovanni Gentile e Giacomo Matteotti. C’è la mafia, ci sono gli anni di piombo. C’è la dolce vita e il neorealismo. In spazi rigorosi (ogni storia non supera la pagina e mezzo) il libro restituisce vita agli eventi, grazie ad un abile taglio narrativo che non sacrifica – anzi, enfatizza –  i particolari.

Operazione banale? Niente affatto: nulla è più difficile che condensare e rendere tanto accattivanti fatti del passato. Noiosa? Men che meno: lontano, anzi lontanissimo, è quel non so che di didascalico dei manuali scolastici. Utile? Certo, dal momento che – spiegano Gramellini e Fruttero – l’intento è quello di “offrire un’infarinatura di storia d’Italia”. Perché, tra vizi e virtù, gli anni sono passati e ancora oggi questa Italia ci divide e ci unisce, ci esalta e ci scoraggia. Eternamente sospesa tra il bene e il male. 

lunedì 12 marzo 2012

Donne (italiane) e media (inglesi)

Blue Nude, Henri Matisse, 1952

Le donne e l'Italia. Le donne in Italia. L'immagine e il ruolo della donna nel Bel Paese. E così via.
Non mollano la presa i media stranieri e vigilano occhiuti (forse più di noi) sullo stato delle donne in Italia. E' capitato l'altro giorno sulla BBC (articolo del 10 marzo, leggi).

"Italy's women still wait for change under Mario Monti", questo il titolo, un po' ingenuo nel credere che - con l'avvento del governo dei tecnici - tutto sarebbe cambiato, non solo le quotazioni dello spread ma anche cultura, atteggiamenti e senso comune, passando un colpo di spugna su venti anni di "berlusconismo".

"Berlusconi se ne è andato ed il nuovo governo rimanda un'immagine molto diversa del ruolo delle donne ai livelli più alti della politica" - afferma Mark Duff - e spiega come, finalmente, figure femminili di primo piano occupino posti chiave della nuova compagine governativa. La triade Fornero (definita come la "Margaret Tatcher italica"), Severino, Cancellieri, insomma, pare spopolare all'estero.

"Ma certe cose sembrano non essere cambiate" - continua Duff  - donne semi nude appaiono ancora in TV e nei cartelloni pubblicitari". E il Festival della Canzone di Sanremo - tra spacchi e farfalle - sbarca (ahinoi) nei media inglesi, come paradigma del "tutto cambia, nulla cambia".

Polemica sterile? Discorso rifritto? Usurato leit-motiv? Valutate voi. Certo è che, Mario Monti e la nuova epoca della sobrietà nulla possono (per ora) a fronte della pluridecennale epopea delle tv commerciali e del trash imperante.

E se oggi si afferma con forza e naturalezza il binomio "donna competente - politica", prima ben altre erano le logiche a monte, che facevano del gentil sesso uno dei tanti "benefit" - al pari di case, mazzette e macchine - concessi al politico o all'imprenditore di turno.

Se cambiamento sarà, di acqua sotto i ponti ne dovrà passare ancora molta.






giovedì 8 marzo 2012

Questione morale. In salsa padana.


Marzo 1993: Luca Leoni Orsenigo, deputato Lega Nord, sventola nell’aula di Montecitorio un cappio, nell’esplicito riferimento alla necessità di fare pulizia di una classe politica corrotta

«La lega avanzerà, baionette in canna, paese per paese, villaggio per villaggio, per sfidare la partitocrazia», sbraita un Sentur urlante dal palco di Pontida. Siamo nel lontano 1995 e la Lega nord – formazione territoriale per eccellenza – è, eccome, un partito di lotta, imbevuto di antipolitica. Poche le parole d’ordine, riconoscibili e convincenti quanto velleitarie e demagogiche: populismo, autonomismo ed etnoregionalismo. Il tutto condito con una buona dose di intolleranza sociale. Ma tant’è. 

Ed è proprio sulla crisi dei partiti che il “Carroccio prima maniera” costruirà le sue fortune: onesti contro corrotti, lavoratori contro fannulloni della politica e delle istituzioni, gente del nord contro “terùn”, precedendo gli Stella e i Rizzo nel denunciare i privilegi della Casta. Prima di decidere di goderne. Di nascosto, ovvio.

Già perché la Lega non ha esitato ad entrare – più volte – nelle tanto disprezzate stanze dei bottoni di “Roma ladrona”, fino ad occupare poltrone importanti. «La dittatura partitocratrica», ad un certo punto, non fa più ribrezzo e si vola alla conquista delle istituzioni, nazionali e locali. Fatti due conti, in fondo, conviene.

Ed oggi che Davide Boni – presidente del già martoriato Consiglio regionale lombardo – è indagato per corruzione (sì, proprio lui che cavalcò, in perfetto stile leghista, la cosiddetta "questione morale”), il doppio volto della Lega è più evidente che mai.

E se le accuse saranno provate, non si tratta di una marachella individuale, di un singolo che – sbagliando, sia chiaro – si fa tentare dal luccichio dei facili denari. Qui è in gioco proprio il reato che caratterizza la peggiore partitocrazia, quella in cui la corruzione è fatta sistema. E tangenti e mazzette sembrano essere modalità ordinarie di gestione della cosa pubblica. 




Leggi anche:

Dr. Jekyll e Mr. Hyde
Le ragioni della cultura