giovedì 27 marzo 2014

Pena di morte, parmi un assurdo



È stato pubblicato oggi il rapporto annuale di Amnesty International sulla pena di morte. I dati si riferiscono al 2013. «Il percorso a lungo termine è chiaro: la pena di morte sta diventando un ricordo del passato», spiega Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. «Sollecitiamo tutti i governi che ancora uccidono in nome della giustizia a imporre immediatamente una moratoria sulla pena di morte, in vista della sua abolizione». Nonostante i passi indietro del 2013 (Iran ed Iraq, ad esempio, hanno determinato un profondo aumento delle condanne a morte eseguite nel  corso dello scorso anno), negli ultimi due decenni vi è stata una decisa diminuzione del numero dei paesi che hanno usato la pena di morte e miglioramenti a livello regionale vi sono stati anche recentemente.

Perché non c’è che dire: la pena di morte è e rimane la massima negazione dei diritti umani, uccisione premeditata e a sangue freddo di uomini e donne da parte dello Stato. Una punzione crudele, inumana e degradante. Eseguita in nome della giustizia.

E allora riprendo un volume - tra quelli a me più cari - e cerco tra le pagine, sfogliando tra capitoli e titoli di un italiano desueto. Finché trovo le righe che cercavo.

«Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio".

Certo, chi scrive queste righe è un intellettuale illuminato, uno che precorre i tempi. È uno di quei pochi uomini che la storia ogni tanto ci regala, che sembrano saltare secoli e anticipare un sentire ancora lungi dal divenire comune e condiviso. 
Chi scrive queste righe è Cesare Beccaria, nel suo Dei delitti e delle pene, pubblicato a Livorno nel 1764. 
Eppure ancora oggi, esattamente 250 anni dopo, il suo insegnamento è ancora - in molte parti del mondo ormai globalizzato - un'utopia. 




  


martedì 25 marzo 2014

La diplomazia del ping pong



Il ping pong, grande protagonista della diplomazia tra Cina e Stati uniti.
Qui la first lady Michelle Obama, in visita ufficiale a Pechino.
Come tanti anni fa, torna la diplomazia del ping pong (leggi l'articolo de il Post).

venerdì 21 marzo 2014

Turchia, mi si è bloccata la democrazia


Che la comunicazione - soprattutto se virale, velocissima come quella dei social media - faccia paura ai governi che hanno qualcosa da nascondere, non è una novità. Sempre nuova però è la rabbia, anche a chilometri di distanza e conto terzi, per questa grave violazione di libertà. È avvenuto ieri notte, in Turchia. Poco dopo la mezzanotte il governo ha bloccato Twitter, proibendone l'accesso. La mossa era stata minacciata poche ore prima (leggi l'articolo Reuters). 
Sale la tensione, in vista delle elezioni amministrative del 30 marzo, appuntamento rischioso per il partito di Erdogan, dopo il pesante scandalo sulla corruzione e la tensione accumulata a partire dai fatti di Gezi Park. I rumors - ancora da confermare - parlano anche di un ulteriore scandalo che coinvolgerebbe personalmente Erdogan, che pare avrebbe usufruito del Nikāḥ al-Mutʿah, una sorta di matrimonio breve, a termine, per una relazione sessuale. 
Ecco che scatta, allora, la stretta sui media. La ragione? Duplice. Da una parte si tratta di un tentativo (destinato al fallimento) di depotenziare la circolazione massiccia delle notizie - in arrivo in queste ore - su alcuni sviluppi sull'inchiesta per corruzione che ha coinvolto esponenti governativi. Dall'altra, l'obiettivo è quello di alzare la tensione, scatenando nuove proteste e nuovi scontri. Già, perché così Erdogan può, come è avvenuto in passato, presentarsi come tutore dell'ordine contro i cosiddetti "terroristi", in realtà manifestanti ordinari. Guadagnando, ebbene sì, in consensi. Questo il gioco pericoloso del primo ministro turco. E per questo molti, anche dall'opposizione, invitano i cittadini a non scendere in piazza. A non cadere nella trappola.

(Grazie a Yurda, che mi fornisce sempre tante informazioni
- Thanks to Yurda, my turkish friend always providing me with a lot of informations).

Intanto la rete si scatena in una ironia iconografica molto amara: 

mercoledì 19 marzo 2014

Omicidio Biagi. Oggi, 12 anni fa.




Aveva appena posato la sua bicicletta e, con le chiavi in mano, stava rientrando a casa. Fu freddato da cinque colpi di arma da fuoco. Il 19 marzo 2002 veniva ucciso a Bologna il giuslavorista Marco Biagi. A colpire, un commando delle Brigate Rosse con la stessa arma che il 20 maggio 1999 era stata utilizzata per uccidere, a Roma, Massimo D'Antona. 

martedì 18 marzo 2014

La pistola nell'orologio

Smart Gun, la pistola intelligente.
Ovvero, l'ultima frontiera della tecnologia delle armi.
In poche parole prendi due paghi - e non poco - uno: insieme all'arma, infatti, viene venduto un orologio speciale, senza il quale non è possibile sparare.
Solo quando il proprietario inserisce la password e indossa l'orologio, l'arma si sblocca. Ma ci sono anche le armi che riconoscono le impronte digitali degli "users".
Di recente un'azienda tedesca, la Armatix, ha dato il via alla vendita - sul mercato americano - del nuovo modello di pistola personalizzata, la "iP1".
Secondo alcuni queste futuristiche tecnologie contribuirebbero alla riduzione della drammatica "gun violence" a stelle e strisce, abbattendo il rischio - ad esempio - dell'uso accidentale delle armi da parte dei bambini e disincentivando l'utilizzo di armi rubate al fine di commettere crimini.
Per altri, invece, poco cambierebbe, in quanto il meccanismo per accedere al mercato delle armi e acquisirne una resterebbe lo stesso.
Di nuovo, insomma, si pensa all'arma e non al suo possessore, non riuscendo così ad evitare l'uso illegale di una tecnologia legale.




Intanto la National Rifle Association - la potentissima lobby delle armi - si prepara alla sua kermesse annuale, con un video al solito infarcito di retorica patriottica e di letture anacronistiche del II emendamento della Costituzione americana VIDEO:

 

Leggi anche:

A pretty shameful day for Washington
Well done
Smokin' Guns

mercoledì 12 marzo 2014

Berkin



Dopo nove mesi di coma, è morto oggi - martedì 12 marzo - Berkin Elvan. 
Giovanissimo, 15 anni, era stato colpito alla testa da una granata durante gli scontri a Gezi Park, nel giugno 2013. Da allora era diventato il simbolo della lotta contro la spietata repressione del governo Erdogan. 


Read also:
Goodbye, internet freedom
Democratic Emergency in Turkey
Update from Turkey
Gezipark Philarmonic



giovedì 6 marzo 2014

(Non) sono solo canzonette



Le immagini e i video di Matteo Renzi nelle scuole di Treviso, prima, di Siracusa poi, hanno un ché di inquietante. Non tanto perché sia realistico pensare - ovviamente - ad un vero profilo di idolatria o di culto della personalità. Su questo si può fare della più che legittima ironia, suggerita dal comportamento del Primo ministro, ostentatamente adulatore e forzatamente imbonitore. Il premier amicone, che manda in bordo di giuggiole i piccoli. 

«L’adulazione e il servilismo spacciati per entusiasmo genuino sono valori profondamente sentiti nel nostro Paese - scrive Massimo Gramellini su La Stampa - perciò meriterebbero di essere sviluppati in proprio e non per interposto bambino». 

Ironia e questioni di stile a parte, il problema è un altro. Il problema è che queste sono immagini di propaganda. 
Sono immagini, cioè, da campagna elettorale.
Matteo Renzi è oggi il presidente del consiglio dei ministri di un governo - il terzo non eletto dai cittadini italiani, che fa promesse mirabolanti e che si autoproclama governo del fare - ma si comporta, di fatto, come se fosse prossimo alle elezioni, con l'impellenza di raggranellare consenso qua e là.   In cerca, probabilmente, di quella legittimazione popolare che per il momento non ha avuto (per sua scelta). 
Di solito prima si ottiene il consenso, poi si governa. In questo caso è il contrario, si governa e, nel mentre, si ottiene il consenso. 
In queste scene, dunque, c'è la dissociazione della corrente attualità politica nostrana: da una parte si fa, si è al governo e si lavora, con un occhio, però, allo scenario sempre aperto delle urne. 


È il pericoloso cortocircuito tra azione di governo e campagna elettorale. 
Il vero disturbo bipolare della politica  italiana. 


martedì 4 marzo 2014

Il politicamente corretto non è un passe-partout


L'Italia è un paese di commentatori seriali. Quale occasione migliore per sfogare questa atavica smania se non l'Oscar vinto da Paolo Sorrentino? Tutti scatenati: i bastian contrari del "no, il film fa schifo", gli anticonformisti del "nì, insomma, avrei voluto di meglio", i commentatori da titolo (senza aver visto il film, si sa, ci si deve accontentare). E infine i cinepolitici, quelli che hanno attribuito alla statuetta - messia dorato - un valore salvifico, in grado di risollevare miracolosamente le sorti del paese. 
Ecco, in tutto questo c'è anche stato chi ha trovato il tempo di condannare il povero Sorrentino, reo di aver citato dal palco del Dolby Theatre niente meno che Diego Armando Maradona. 
Apriti cielo. Strali da tutte le parti per "l'inopportunità di aver citato l'evasore degli evasori", nonché il re degli eccessi. Che l'evasione fiscale sia il più odioso dei reati non ci piove. Sacrosanto, come sacrosanto deve essere il giusto perseguimento di questa grave violazione della legge. 
Ma è un altro discorso. E andrebbe fatto in un altro contesto.  
Che il "mito"calcistico di Maradona abbia influenzato il giovane Sorrentino che - racconta - andava allo stadio con il padre; che la figura di Maradona, probabilmente con le sue contraddizioni, con le sue macroscopiche imperfezioni, nel cortocircuito tra vita privata e vita pubblica di sportivo idolatrato, abbia potuto insinuarsi nel panorama, nell'immaginario del regista è lecito. 
Sorrentino non è un politico né un uomo delle istituzioni: è un regista, e come tale rappresenta solo se stesso e la propria arte. 
Se lui da giovane ragazzo napoletano è stato in qualche modo influenzato, insieme ad altre, da questa figura dobbiamo lasciarglielo dire. 
Per fortuna, stampa e tv non hanno ripreso questo pseudo dibattito che ha proliferato sul web. Almeno per una volta, insomma, è stato evitato l'appiattimento dei media mainstream sui social. «Sarebbe bastato un minimo di pensiero ieri, per capire che, indicando le fonti della sua ispirazione, Sorrentino parlava di Maradona come artista del calcio, atleta ineguagliabile, realizzatore dei desideri di un popolo e blasfemo del potere
E allo stesso tempo in quelle parole (la parola sfida le correnti e la gravità) non c’era un giudizio morale, lo si sospendeva perché non è sempre necessario fare i Savonarola», scrive Vittorio Zambardino su Wired
Insomma, l’indignazione a buon mercato non paga, soprattutto quando è fuori posto. È proprio vero, il moralismo a tutti i costi e in tutti i contesti finisce con l'essere un giacobinismo davvero ridicolo. Invece che condannare le personali dediche di Sorrentino, chiedete lo scontrino fiscale quando comprate.
Il politicamente corretto non è un passe-partout. Ma va usato, come dicono le ricette, quanto basta. 
O, detto in altri termini, cum grano salis.  

Ps. A proposito, il film a me è piaciuto