sabato 31 gennaio 2015

Forza Italia. Come neve al sole.


Si ha un partito personale quando «non è l’associazione che ha creato un capo, ma è un capo che ha creato l’associazione».
Questa frase – scritta (anzi, pronunciata, dal momento che è una conversazione) da Norberto Bobbio in un bellissimo libro, vero condensato di etica civile – mi è tornata potentemente alla memoria osservando il caos che in questi giorni si è impossessato del Popolo delle libertà ora che il suo leader, fondatore e padrone (?) si avvia a lasciare la scena. 
Il libro in questione è Dialogo intorno alla Repubblica – che ho letto oramai dieci anni or sono – e raccoglie le intense conversazioni avvenute tra due studiosi diversi per età e formazione ma uniti da una profonda (quanto rara, soprattutto oggi) passione civile: Norberto Bobbio, uno tra i più importanti pensatori contemporanei (grande il vuoto che ha lasciato) e Maurizio Viroli, italianissima gloria in un’università americana (insegna storia del pensiero politico a Princeton).
Tra i grandi temi politici di cui discutono – diritti e doveri, libertà, corruzione e amore per la patria (ma «non abbiamo verità definitive da proporre», si legge nella prefazione) – c’è un capitolo, “La Repubblica e suoi mali”, in cui – e del riferimento all’allora Forza Italia non è fatto mistero – Bobbio e Viroli si interrogano sulle storture del cosiddetto partito-persona.
Il partito è personale quando vive per e in virtù del leader fondatore, quando è “cosa sua”, si identifica e si sovrappone con la sua immagine e la sua ideologia. Trattasi, in altri termini, di una formazione politica fondata sulla lealtà incondizionata al capo. E in questi venti anni, Berlusconi ha fatto di tutto per accentuare il carattere personalistico del suo “prodotto” politico. Questo, se ci pensate, trova riscontro nei simboli stessi di Forza Italia, prima, e del Pdl, poi: l’immagine (sorridente) e il nome (a caratteri cubitali) di Silvio Berlusconi hanno fatto tutt’uno con il partito, sono serviti ad identificarlo e a dargli sostanza, come pure i grotteschi slogan sul modello di “meno male che Silvio c’è”. E se qualcuno prova a fare la differenza, be’, l’ostracismo è l’unica soluzione (caso Fini docet).
Insomma, il partito-persona è cosa ben diversa dalla personalizzazione della politica, fisiologica soprattutto nella modernità, quella che si ha – ad esempio – in presenza di un leader carismatico e la minaccia più seria ad una repubblica democratica viene proprio da questi agglomerati di uomini fedeli al capo, dal quale altro non desiderano che vantaggi e privilegi, fino a che questi – sa va sans dire – ha da offrirne.
La mancanza di forza contrattuale di Forza Italia in scena in queste ultime ore somiglia molto al disfacimento dell’esercito di un generale sconfitto: spaccature nel gruppo dirigente, divergenze di vedute e disgregazione. «È sempre azzardato avventurarsi in previsioni – scrive Viroli nel 2001 – ma credo proprio che in questi partiti se scompare il leader fondatore scompare anche il partito». Come neve al sole. 

mercoledì 28 gennaio 2015

European Passenger Record Plan: ecco cosa succede


In totale sono 42 le informazioni sui passeggeri aerei previste dal nuovo piano antiterrorismo della Commissione europea, che - stando al Guardian - dovrebbe essere reso pubblico a breve. 
Dopo i fatti di Parigi del 7 gennaio, infatti, sono state subito avviate le procedure per rafforzare i sistemi di sicurezza, attraverso, tra le altre cose, una revisione dello "European Passenger Record Plan", una proposta di direttiva che era stata già avanzata nel 2011, ma bocciata dal Parlamento europeo (leggi qui). I dati relativi ai passeggeri in volo da e per l'Europa saranno archiviati, per un massimo di 5 anni, accessibili all'intelligence ed alle autorità di sicurezza.  
Molti osservatori sono convinti che il piano sia una grave incursione nella privacy personale dei cittadini. Molto probabile la contrarietà del Parlamento europeo, in particolare della Commissione per le libertà civili, che già in passato ha lavorato sul dossier.
Ma quali saranno questi dati? 
Eccoli, li riporto in inglese secondo quanto scritto dal Guardian: 
The 42 categories are:Passport number; Country which issued passport; Passport expiry date; given names; last name; gender; date of birth; nationality; passenger name record locator code; date(s) of intended travel, date of reservation,
other names on c(PNR), address, all forms of payment information, billing address, contact telephone numbers, all travel itinerary for specific PNR, frequent flyer information, travel agency, travel agent, code share PNR information, travel status of passenger, split/divided PNR information, email address, ticketing field information, general remarks, ticket number, seat number, date of ticket issued, no-show history, bag tag history, go-show information, other service-related information, special service requests, such as meal preferences, received from information, all historical changes to PNR, number of travellers on PNR, seat information, one-way tickets, any collected advanced passenger information system information, automatic ticketing fare quote. 

L'Unione europea ha già concluso gli accordi con Stati Uniti, Canada e Australia per una consivisione di questi dati, di modo da raffozare la no-fly list, mentre non ci sono ancora 

accordi con il resto del mondo, in particolare con Turchia, Asia, Africa. 


Leggi anche: 
L'eterna lotta tra privacy e sicurezza

martedì 27 gennaio 2015

Il drone della memoria



Un drone sorvola il campo polacco di Auschwitz-Birkenau. Ce lo mostra in tutta la sua spettrale possenza, nella sua geometrica architettura dell'orrore. 
Senza tante parole: perché il più delle volte le immagini parlano da sole.  

giovedì 22 gennaio 2015

Il fiume greco

Stavros Theodorakis, leader di To Potami

"To potami". Tutti ne parlano, in Grecia. È il nome di un nuovo partito, o meglio un movimento, creato dallo stimato giornalista greco Stavros Theodorakis poco meno di un anno fa e balzato a più del 6% nel suo primo test elettorale, le elezioni europee dello scorso maggio.
E pare che ora abbia tutte le carte in regola per diventare il "terzo partito" determinante alle imminenti elezioni elleniche, dopo Nea Democratia (del premier Antonis Samaras) e la sinistra di Syriza.
Potami significa "fiume": idealmente, il suo fondatore spera che molti possano farne parte, aggiungendo qualcosa di proprio al flusso di questo corso d'acqua che nelle intenzioni dovrebbe rinnovare quello che sembra un confronto tra partiti politici consolidati.
La sede di Potami, un appartamento al primo piano di un semplice blocco di edifici in un'area residenziale di Atene, risistemato come vero e proprio spazio di lavoro, è molto affollata.
Secondo numerosi osservatori, il partito non avrebbe una chiara e coerente base ideologica. Alexis Tsipras, capo di Syriza, dice: "noi non siamo nati nella democrazia della tv", mentre Venizelos, alla guida del partito Pasok, commenta ironicamente: "Buona fortuna allo show televisivo che vuole trasformarsi in partito politico".
"Non abbiamo una base ideologica", risponde orgoglioso Theodorakis. Se è chiaro che la sua sensibilità si colloca nello spettro del centro-sinistra, considera certe rigidità ideologiche come un ostacolo. "Ciascuno si riconosce in alcune specificità del partito - spiega - e vede il mondo con una sfumatura rossa, blu o verde". "Anche il modo in cui i parlamentari siedono nell'emiciclo - commenta - è insensato: ciascuno è impegnato a dare segnali di disapprovazione o approvazione a seconda solo di chi stia parlando. Perché non sedere vicino agli oppositori politici, discutere e cercare un terreno comune?".
Diversamente da altri partiti europei (come Podemos in Spagna e il M5stelle o la Lega di Salvini in Italia), To potami vuole la Grecia nell'Euro, propone una riforma del settore pubblico e del sistema politico. In altri termini, il partito offre moderazione, in una Grecia sempre più polarizzata. "I greci vogliono vedere se c'è un'alternativa a questo sistema politico. Vogliono qualcosa di nuovo, ma al contempo hanno paura a rigettare in toto la vecchia guardia", dice Theodorakis.
Insomma, la prospettiva è quella di divenire ago della bilancia. Se, come pare probabile, vincerà Syriza, potrebbe avere bisogno - per ottenere la maggioranza - proprio di To Potami. "Se ci alleeremo con Syriza - fanno sapere fonti del partito guidato da Theodorakis - faremo in modo che non si allontani dal cammino europeo. Se invece dovremo allearci con Nuova Democrazia, argineremo le sue spinte verso l'estrema destra".



giovedì 15 gennaio 2015

Un neo soul di protesta



Prendete un neo-soulster talentuoso come Donnie, aggiungete una dose massiccia di impegno civile ed ecco che viene fuori un brano molto speciale. Si tratta di Protester, novità nel mondo della black music che prende le mosse dai gravi fatti che nelle scorse settimane hanno scosso gli USA: vittime il più delle volte uomini di colore, oggetto di violenza da parte di chi dovrebbe difenderci, tutti. Ed è così che negli Stati Uniti del melting pot riemerge prepotente una forte tensione sociale, con più di un dubbio sulla reale integrazione degli afroamericani.
"What makes you think that you can treat people like you do?".
Questo si chiede il brano.
E ce lo chiediamo anche noi, quando assistiamo a certe immagini che non vorremmo più vedere.

(Thx to Vibe di Massimo Oldani, sempre ispirazione per la buona musica e non solo)


Leggi anche: Washington abbiamo un problema: Ferguson 

martedì 13 gennaio 2015

L'eterna lotta tra privacy e sicurezza



                            Immagine da The Spectator

Ero a Londra, nell'agosto 2011, quando la furia distruttrice si scatenava nei quartieri periferici della capitale britannica. "London's burning", cantavano i Clash negli anni '70. E i riots di quattro anni fa mettevano a ferro e fuoco Totthenam, Hoxton, Islington. 
Protagonisti di quei giorni, oltre ai giovani mossi dal disagio sociale, erano - secondo molti - i telefonini. Sì, proprio i cellulari, è soprattutto i sistemi di messaggistica istantanea (un esempio su tutti, il Blackberry Messenger service), rei di aver reso possibile una capillare organizzazione dei tumulti. 
Oggi che - per motivi e attori totalmente diversi - è Parigi ad essere militarizzata, dopo la strage di Charlie Ebdo, ritornano prepotenti questi argomenti. Ed è proprio il premier inglese David Cameron, oggi come allora, a riproporre il tema: i servizi di intelligence devono poter accedere ai sistemi di messaggistica e di comunicazione. Chi non lo permette (come ad esempio il diffusissimo Whatsapp) potrebbe andare incontro ad un blocco da parte delle autorità.   
Insomma, l'idea è quella di nuove misure legislative per facilitare i controlli sulle comunicazioni elettroniche e telefoniche. Misure già contenute nel cosiddetto "Snoopers' charter" (Draft Communication Data Bill - Documento), bloccato però nel Parlamento inglese dai liberal-democratici e, dunque, mai entrato in vigore. 

La proposta fa il paio con quella – suggerita da Downing Street qualche tempo fa ma mai realizzatasi – di bandire dalla rete dei social media (Facebook e Twitter in primis) le persone sospettate di incitare alla violenza o di pianificare azioni rivoltose. 
Che succede ora? Viste le imminenti elezioni di maggio 2015, per Cameron questo diventa uno dei terreni di battaglia con i suoi avversari politici: "Se noi conservatori vinceremo le elezioni - ha dichiarato - verranno dati maggiori poteri ai servizi di sicurezza, di modo che possano avere accesso ai messaggi scambiati in internet". 
Non si fa attendere la reazione di Nick Clegg, leader lib-dem: "si tratterebbe di un nuovo ed indiscriminato potere del governo di registrare il profilo web di ognuno, a prescindere dal fatto che sia colpevole o innocente". 
E qui arriva il nodo della questione: tutto ciò è necessario per combattere terrorismo e crimine? Forse. Ma di certo simili proposte sollevano numerosi problemi. E non di poco conto. Chi stabilisce se un dato contenuto è pericoloso? Chi decide quando un messaggio o un post è da eliminare? Quali sono i confini tra il lecito e l’illecito? Questi gli interrogativi più frequenti e molte delle associazioni della società civile si stanno già mobilitando. Insomma, come sempre avviene dopo episodi di terrorismo, ritorna in auge l'eterna lotta tra privacy e sicurezza, dove il rafforzamento dell'una sembra dover portare - sempre e comunque - alla compressione dell'altra.
Già, perché il problema di fondo rimane quello di non sacrificare quella freedom of speech che è a fondamento della cultura anglosassone e, con essa, quei diritti civili che proprio la Gran Bretagna, per prima, ha insegnato al resto del mondo. 

domenica 11 gennaio 2015

Il delizioso Paddington, comico e profondo.

Mi piace scrivere di cinema. Soprattutto quando, nel buio un po' magico della sala, l'esperienza film sa regalare qualche emozione. Stavolta si tratta di - udite udite! - un lavoro d'animazione, perché, mai dimenticarlo, fa bene, eccome, tornare un po' bambini!
Un giovane orsetto allevato dagli zii nella natura del "misterioso Perù" è incuriosito da Londra, la città di origine di un esploratore, arrivato nella giungla peruviana qualche decennio prima. Tanto incuriosito che decide di partire, dopo che un terremoto ha distrutto la sua tana e ha ucciso lo zio Pastuzo. Entra come clandestino, l'orsetto illegale, nascosto nella scialuppa di una nave porta container, con la sua scorta di marmellata e di speranze. Sbarca in una città dapprima ostile e caotica, che sembra non offrire accoglienza. A nulla può, apparentemente, nemmeno il biglietto appesogli al collo dalla zia Lucy: "Per favore, prendetevi cura di questo orso". Fino a che, nella stazione di Paddington, passa per caso la famiglia Brown che, per caso, si accorge di lui. O meglio, ad accorgersene è l'empatica e sognante sig.ra Brown, insieme a suo figlio Jonathan. Mentre il sig. Brown e Judy, la figlia femmina, sono più recalcitranti e imbarazzati, decisi a non farsi coinvolgere dalla storia di questo strano orso senza tetto. Con loro trova un nome (Paddington!), una casa e un aiuto per andare alla ricerca dell'esploratore di un tempo. Ed è così che inizia una strana convivenza, con Paddington che deve abituarsi alla vita cittadina e a non combinare troppi guai domestici. Una convivenza che - giorno dopo giorno - diventa più calda, più armonica. Per il benessere di tutti.
Ma come ogni storia che si rispetti, non può mancare il cattivo, anzi la cattiva: una tassidermista del museo di Storia Naturale, decisa ad impagliare Paddington e a rivendicare la scoperta di suo padre, oramai morto, l'esploratore che si era spinto fino al lontano Perù, ma che aveva consapevolmente scelto di non riportare nessun esemplare di orso. In serio pericolo, il lieto fine è d'obbligo, anche grazie all'aiuto dei Brown. La storia è ben costruita, l'animazione è gradevolissima. Un tocco di britishness avvolge tutto il racconto, tra citazioni e suggestioni.

Buona e non buonista, tenera ma mai stucchevole, la storia dell'orso Paddington fa riflettere, eccome. 
Fa riflettere sui valori dell'accoglienza, dell'altro e del diverso. L'arco narrativo del sig. Brown e di sua figlia Judy - il primo ritrova il suo sé più naturale e dinamico, l'altra si scioglie nel carattere e nel sorriso - dimostrano come possa essere importante l'incontro con l'altro, con colui che dapprima siamo tentati di etichettare come diverso e, dunque, incompatibile. 
E così che la strana convivenza nella casa di Windsor Garden si rivela benefica, non solo per Paddington, ma anche per i Brown, che dovevano resettare il proprio stare in famiglia e la propria vita insieme. Ritrovando, ad esempio, il "giorno della marmellata", momenti di condivisione, essenza dell'essere famiglia.  

"In London nobody's alike, which means everyone fits in". A Londra, riflette Paddington, nessuno somiglia agli altri, per cui tutti si trovano a proprio agio". È il valore più grande, quello della diversità. Ecco perché un film così fa bene non solo ai bambini, ma forse soprattutto ai più grandi che, troppo spesso, se ne dimenticano.



Paddington (2014), di Paul King, con Hugh Boneville, Sally Hawkins, Nicole Kidman, Francesco Mandelli, Ben Whishaw.