lunedì 30 giugno 2014

I cinque fantasmi della Gran Bretagna


"L'incubo del Regno Unito, e del primo ministro Cameron, è questo.
Primo passaggio: quei britannici che hanno votato per i conservatori convinti che il premier sarebbe riuscito a strappare concessioni agli altri leader comunitari arrivano alla conclusione che non ne è in grado e decidono di votare Ukip.
Secondo passaggio: i più euroscettici tra i parlamentari e i consiglieri comunali lasciano il partito conservatore e passano alla Corte di Farage.
Terzo passaggio: gli scozzesi, che il 18 settembre sono chiamati a scegliere in un referendum se vogliono o meno l'indipendenza, sono allarmati per il movimento antieuropeista in Inghilterra e votano sì all'indipendenza anche per rimanere nell'Unione europea.
Quarto passaggio: Cameron anticipa la data del referendum sulla permanenza del regno unito nell'Ue per arrestare la fuga dei suoi verso l'Ukip e la gente vota per abbandonare Bruxelles.
Quinto passaggio: il Regno Unito non è più "unito" (dal momento che l'unione è quella tra Inghilterra e Scozia, risalente al 1707), si ritrova sminuito per dimensioni e importanza fuori dalla Ue.
È uno scenario che sicuramente toglie il sonno a David Cameron. Resta poco probabile, ma è meno irrealistico di prima. Ancora adesso, comunque, resta più verosimile quest'altro scenario. Cameron che ha guadagnato popolarità per la sua fiera opposizione a Jean Claude Juncker, riesce a tenere insieme il suo partito. Gli altri leader europei, Angela Merkel in testa, faranno in modo che al commissario britannico vada un dicastero pesante, per esempio il mercato interno. Juncker si rivela più pragmatico che federalista e prende misure per restituire i poteri ai parlamenti nazionali (come molti leader desiderano, peraltro).
Gli scozzesi, preoccupati per le ripercussioni occupazionali e per il rischio di rimanere senza una moneta, se la Scozia dovesse diventare indipendente, votano per rimanere nel Regno Unito.
Cameron riesce a presentare la sua sconfitta della scorsa settimana come una parziale vittoria e si impegna a mantenere alta la pressione sull'Ue. Ed Miliband, il leader del partito laburista, fatica a guadagnare consensi. I conservatori vincono le elezioni del 2015 e riescono a governare da soli senza bisogno di coalizione. L'Ukip conquista pochissimi seggi a Westminster.
Cameron organizza un referendum sull'Ue poco dopo le elezioni: i britannici, convinti che l'Ue e Juncker non rappresentino una reale minaccia, votano per rimanere.
Questo scenario sembra non tenere conto di quella che sui mezzi di informazione d'Oltremanica è stata raffigurata come l'umiliazione di Cameron. Ma è una lettura errata della situazione.
La maggioranza dei britannici vuole rimanere nell'Ue, a patto che non cerchi di diventare uno Stato, con i poteri di uno Stato. È la posizione di Cameron, e nessun altro leader di partito è stato in grado di articolarla efficacemente quanto lui.
Ecco perchè nel lungo periodo probabilmente vincerà, o almeno non perderà".

John Lloyd, 
giornalista attualmente al Financial Times. 
da La Repubblica del 29-06-2014

sabato 28 giugno 2014

Una botta al cerchio, una alla botte




Cameron, c'era da aspettarselo, ci è rimasto male e non poco.
Ce l'aveva messa tutta ad evitare che il lussemburghese JC Juncker venisse nominato presidente della Commissione. 
E commenta così:
"This was a bad day for Europe - and it has reinforced my conviction that Europe needs to change.
I am not going to back down. Securing reform is going to be a long, tough fight and sometimes you have to be ready to lose a battle to win a war.
Today we showed that we won’t be put off from our task - we won't be silenced.
Because the status quo is not right for the EU. And it is certainly not right for Britain. It has got to change.
And at the end of 2017, it will not be me, it will not be the House of Commons, it will not be Brussels who decides Britain's future in the EU. It will be the British people with an in-out referendum on our membership of the EU.

It will be your choice, and your choice alone".


Quasi una minaccia, allora. 


Spieghiamoci meglio: gran parte degli inglesi sono galvanizzati dalla promessa di referendum nel 2017, nel quale dovranno scegliere tra Europa sì e Europa no. 

E questo desiderio di fuga sarebbe acuito - stando al ragionamento del Primo Ministro - dall'aver scelto un Presidente di Commissione che non rappresenta il volere britannico (soprattutto in direzione di una "soft Europe"). 

Ma ecco che nel giorno più amaro per Cameron, altri leader europei - Merkel in testa - provano a rassicurarlo. 

"David Cameron has been offered an olive branch over Britain's place in Europe by the leaders of Germany and Sweden after his defeat over the nomination of Jean-Claude Juncker as European commission president", scrive il The Guardian. 

La Cancelliera tedesca si sarebbe detta pronta a considerare le preoccupazioni britanniche, mentre il primo ministro svedese, Frederik Reinfledt pare abbia riconosciuto che un'Unione più stretta non sarebbe l'opzione migliore per tutti". Eppure, entrambi i paesi hanno sostenuto la nomina di Juncker a capo dell'esecutivo europeo, ossia una figura - quella del lussemburghese - a favore di una maggiore integrazione.  

Perchè, allora, tante attenzioni - almeno a parole - ai sentimenti d'oltremanica?  È presto detto, parola di Merkel:

"I have every interest in having the UK continue to be a member of the EU. The UK always has to take that decision itself but from a European perspective and a German perspective, I think this is most important and this is what I'm going to work on. We have shown very clearly that we are ready to address British concerns."

Cameron, dal canto suo, assicura che farà di tutto per incidere sul documento relativo all'agenda strategica per i prossimi cinque anni. Esso dovrà prevedere che, nell'ambito del rafforzamento dell'integrazione europea, non verrà preclusa ai singoli stati la possibilità di prendere proprie decisioni in merito. 

L'ex segretario della difesa Liam Fox, intervistato sull'argomento, ritiene che l'aver perso il match su Juncker non avrebbe indebolito Cameron, né il ruolo della Gran Bretagna in Europa. 
"The prime minister has shown Britain will not take a back-seat approach to reform of the European Union," spiega. "If Juncker represents an even more integrated EU, then the prime minister has shown he supports an agenda for reform."
Di tutt'altro avviso e impegnato a premere l'acceleratore dell'anti europeismo è, ça va sans dire,
il leader del partito euroscettico Ukip, Nigel Farage, secondo cui la sconfitta di Cameron rispetto alla nomina del presidente della commissione, avrebbe minato la reale possibilità, per il primo ministro inglese, di rinegoziare le relazioni Londra-Bruxelles. 

E, secondo Farage, le mosse di avvicinamento di Angela Merkel non sarebbero genuine: 

"She said countries can move at different paces, while some can get there more quickly than others, but she wasn't for a moment suggesting that Britain can opt out of the principle of an ever-closer union … What I saw yesterday was the prime minister utterly humiliated, looking like a loser who had learnt nothing, still insisting, though it's rather more difficult, that he can renegotiate our position. He can't."
Insomma, la costruzione della nuova europa dopo la tornata elettorale dello scorso maggio sembra aver agitato ancor di più le acque della mai tranquilla membership inglese nell'Ue. 
Non resta che aspettare. 
E, di sicuro, ne vedremo delle belle.   

venerdì 13 giugno 2014

Punti di vista




"Da quando ho visto la fotografia di un pallone da calcio africano, cucito insieme da vecchi stracci, in quei modelli geometrici così familiari a noi, ho voluto raccontarne la storia.

Ed è così che lo scorso luglio ci siamo recati in un villaggio nei pressi di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, e abbiamo girato questo Op-Doc. Il paese non si è qualificato per la Coppa del Mondo, ma la gente là - come in gran parte dell'Africa - impazzisce per il calcio. Giocano ovunque. E poiché palloni da calcio come quelli comuni sui campi americani sono una rarità, lo sport è usano palle fatte in casa, come dimostra questo video.

Il paese ha perso più di cinque milioni di persone in un conflitto che sembra irrisolvibile e che continua a terrorizzare la regione per quasi due decenni. Nonostante vivano in una delle guerre più brutali del mondo, i bambini giocano ancora con passione e gioia.
E non importa che tipo di palla stiano utilizzando".

***

Jerome Thelia è un regista che vive a Brooklyn. Insieme a John Fox, antropologo e autore di "The Ball: Alla scoperta dell'oggetto del gioco", sta lavorando al prossimo documentario "Bounce: Come la palla ha insegnato al mondo a giocare"

mercoledì 11 giugno 2014

The last game



È tutta animazione lo spot della Nike per la World Cup 2014.
Spot? Forse meglio mini film, nel quale si consuma la sfida tra una squadra di calciatori in carne ed ossa, con pregi e difetti, umanamente imperfetti ma capaci di regalare emozioni, contro un plotone di grigi e monotoni cloni, creati per vincere ma senza pathos.
Ed è così che la Nike crea un adv di grande qualità, per tecnica e contenuti. Un messaggio che dovrebbe sempre essere quello dello sport: imprevedibile, imperfetto, ma capace di grandi cose.
Non c'è cosa più pericolosa, che giocare sul sicuro.
E il vero campione, si sa, non ha paura di rischiare.


martedì 10 giugno 2014

Parricidio al Front National?

Marine e Jean Marie Le Pen

La storia è più o meno questa. Alcuni personaggi del mondo dello sport, della musica e dello spettacolo prendono posizione contro il Front National, il partito dei Le Pen, che ha ottenuto grandi consensi in Francia, in occasione delle elezioni europee del 25 maggio scorso. Madonna, ma anche il tennista Noah e il cantante di origine ebraiche Patrick Bruel, molto popolare oltralpe. Ed è proprio contro quest'ultimo che a scagliarsi è stato niente meno che il fondatore del FN, Jean Marie Le Pen. 
"Critica il Front? La prossima volta ne faremo un'infornata". Questa la frase del padre nobile (!) del FN, agghiacciante perché direttamente tesa ad evocare, con un gioco di parole, i tragici scenari che la storia ha - ahinoi - riservato alla popolazione ebrea. 

Una prima reazione Patrick Bruel la affida alla sua pagina Facebook: 

"Non sono tanto triste per me. I deliri e le provocazioni di certi personaggi non mi stupiscono più da tempo. Non fa che mostrare, ancora una volta, il suo vero volto e quello del FN. 
Io sono triste per la memoria di più di sei milioni di persone. 
Triste per una repubblica che sta ancora lottando per imporre i suoi valori dopo la liberazione e che ha perso la bussola.  
Triste perché tanti francesi non vogliono ricordare che il Fronte nazionale è nato da Ordre Nouveau, partito della destra nazionalista e xenofobo, ascrivibile alla corrente neo fascista 
Nausea..."

Ma la polemica non finisce qui, ed entra in scena anche Marine Le Pen, figlia di Jean Marie e attuale guida del partito. Che bolla le parole del padre come "errore politico", tale da danneggiare il recente successo del partito. 
Sferzanti, ancora una volta, le parole di Bruel: 
"Facile e necessario uccidere il padre politico ... tranne quando si tratta del proprio. Errore politico...tutto qua? Nessuna notazione sulla memoria, sull'etica. 
Nessuna critica sul significato di fondo. 
Dunque si tratta dell'"errore di strategia politica" di un partito che cerca di cancellare le sue origini xenofobe ed antisemite".

Della serie la toppa messa da Marine è peggio del buco. 
Ma c'è anche chi è pronto a scommettere su un parricidio politico pià che annunciato. Le Figarò (qui), ad esempio, che in un articolo intitolato "Le Pen perre et fille: chronique d'un parricide annoncè" sostiene che questo percorso sarebbe iniziato da tempo. Da quello stesso gennaio 2011, che incoronò Marine guida del partito. Da lì sarebbe iniziata la sua strategia politica, che in Francia è definita la dediabolisation del Front: la "de-demonizzazione" di una formazione politica dal passato pesante. 
Le differenze tra i due Le Pen? Ad esempio sull'interpretazione della storia, spiega l'articolo. Mentre il padre aveva definito le camere a gas "dettaglio della storia", la figlia le ha descritte come "l'apice della barbarie.". Una posizione già espressa nel suo libro del 2005, Andando contro le onde, dove ha denunciato la "barbarie assoluta" del sistema politico nazista. 
E dopo i dissidi in merito all'espulsione di un giovane rappresentante del Fronte, fotografato con una bandiera nazista, padre e figlia tornano a battibeccare dopo le elezioni presidenziali del maggio 2012, con Marine Le Pen al terzo posto con quasi il 18% dei voti. Jean-Marie Le Pen in un'intervista al Times definisce la figlia "piccolo borghese", a differenza di lui, "uomo del popolo". 
Fino alle polemiche di questi giorni, con Jean Marie che sembra di nuovo criticare la figlia: "Considero errore politico allinearsi con il pensiero unico, con l'obiettivo di assomigliare agli partiti politici. Se questo è il desiderio di un certo numero di leader del FN, ci sono riusciti. Sono loro che hanno fatto un errore politico, non io. "

Questo attorno alle dichiarazioni su Bruel, dunque, è solo l'ultimo di una serie di scontri, testimonianza della difficile transizione di un partito politico. 

VIDEO: