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mercoledì 22 giugno 2016

"Ma tu per chi voti?": elettori in crisi a Roma ai tempi di Renzi e Grillo

Virginia Raggi, neo sindaco M5S a Roma


“Tu voti a Roma? Non ti invidio per niente”. 
Per mesi questo ritornello ha accompagnato molte delle conversazioni che ho avuto con amici, parenti, colleghi, conoscenti. Perché è indubbio che, per una parte di elettorato romano, queste elezioni appena vinte al ballottaggio da Virginia Raggi non sono state facili. C’era anche chi, con sincera preoccupazione, non faceva altro che chiedere: “Ma tu per chi voti?”. Perché il problema era tutto qui. Mai come questa volta ho percepito nelle persone che avevo intorno un senso di frustrazione all’idea di dover andare al seggio elettorale ed esprimere la propria preferenza. 
Non sono mai stata di destra e non sono un’elettrice del Pd, mi considero di sinistra anche se ho sempre faticato a trovare forze politiche e coalizioni che rappresentassero appieno quello che erano le mie idee. L’esempio migliore che mi viene in mente per descrivere questa situazione è quello che è successo nel mio municipio, il XII, un quartiere dove per vent’anni ha regnato incontrastato il centrosinistra e che ora è passato ai Cinque StelleIl XII è molto più vasto e contraddittorio di Monteverde, il suo cuore più radical chic, dove è di casa Bobo Giachetti, ma pure Nanni Moretti, tanto per dirne uno: è un quartiere periferico ma non troppo ai margini dell’impero, diciamo anche stimolante sotto certi aspetti per quanto riguarda la varietà di persone che lo hanno sempre abitato, dai villini a ridosso di villa Pamphili alle palazzine nate una sull’altra tra gli altri anni Quaranta e Cinquanta attorno al Forte Bravetta, quando davvero “qui una volta era tutta campagna”, fino ai suoi confini più estremi quasi vicino al Raccordo, strozzato da notevoli problemi di sicurezza, traffico e degrado cresciuti negli ultimi anni. Stavolta si respirava un’aria diversa e, parlando con la gente, c’era l’idea che il Pd nel quartiere fosse in affanno, soprattutto lontano da Monteverde, e che probabilmente avrebbe dovuto lottare parecchio. Io come altri credevo che la battaglia si sarebbe consumata con il centrodestra, finendo al ballottaggio. Ma domenica scorsa si sono affrontate invece l’ex minisindaco uscente del Pd e la candidata del M5S. Probabilmente, chiamati a votare tra “destra” e “sinistra”, come bene o male si era quasi sempre fatto seppur masticando amaro, anche stavolta si sarebbe votato “turandosi il naso” per il Pd. Anche se Renzi non piace, anche se Marino e tutta la tragicommedia di quei mesi tormentosi ha lasciato scottati, anche se gli scandali, le mazzette e le inchieste ha fatto schifo a tutti. E invece si è votati a maggioranza per i Cinque Stelle.

Via Fabiola, sede del municipio XII, dista dal Campidoglio poco più di quattro km in linea d’aria. Rispetto chi ha votato per i Cinque Stelle e li capisco, sia per i singoli municipi sia per il sindaco. Come si fa a non voler votare chi promette intransigenza, pugno duro contro la corruzione e zero favoritismi? Come si fa a non ammettere nemmeno con se stessi che la politica dovrebbe essere proprio così, in fondo, senza compromessi? 

Ma al tempo stesso come si fa però a votare un’emanazione del Sacro Blog? Come si fa a votare per chi, al netto dell’onestà, rischia sempre di apparire come dilettanti allo sbaraglio in gioco che via via diventa sempre più grande e rischioso? 
Le domande che da anni accompagnano il fenomeno dei Cinque Stelle, i discorsi che si facevano davanti al tg dove scorrevano le immagini di Parma, Livorno e altri comuni governati dai grillini, all’improvviso erano quelle che sentivi davanti all’ingresso del seggio nella tua scuola elementare, quella dove sono andati i tuoi genitori, i tuoi amici, dove vanno i tuoi figli. 
Al posto di amministratori locali di “professione”, gente che conosce ogni segreto di quel territorio, come si fa a metterci ragazzi di trent’anni appena, senza alcuna esperienza? Per non parlare poi della retorica del “!!1!1!” e del trionfo del qualunquismo che il più delle volte sembra accompagnare le uscite grilline su temi importanti e fondamentali della vita dei cittadini, dal debito alle grandi opere pubbliche. Certo, gli altri non sono meglio, si dice. Giachetti è la classica brava persona, ma, come ha raccontato lui stesso sconfortato: “Mi ascoltavano. Poi dicevano: senti, nun è ‘na cosa personale. È che tu rappresenti il Pd. Ce dispiace, ma nun te votamo”. Da un lato un partito nuovo e relativamente vergine, un partito che di certo non può essere responsabile di tanti dei guai che affliggono Roma, alcuni addirittura endemici, dall’altro un partito che non può nascondersi dietro un dito e non può certo dire: “Io non c’ero e se c’ero dormivo”. I Cinque Stelle hanno convinto la maggioranza e ora tocca a loro. Alla fine ha vinto anche la novità, aiutata forse anche da un certo cinismo romanesco, quello che davanti a qualsiasi lanzichenecco che viene porta il romano a fare un’alzata di spalle e tornare beffardo ai propri affari, perché tanto Roma è così e nun ce poi fa gnente (sull’atteggiamento dei romani, i peggiori cittadini d’Italia, bisognerebbe però qui aprire un capitolo a parte, senza tirare in ballo la storia che Roma è comunque la città più bella del mondo e che se non ti piace e vuoi criticarla puoi benissimo tornartene da dove sei venuto, tanto “c’avete solo la nebbia”). 
“Ne abbiamo avuti tanti, proviamo pure questi”, è stata la frase che ho sentito ripetere più spesso dopo il voto. Vero. “Peggio di altri è difficile che possano fare”. Verissimo. Speriamo. Perché sì, io non solo voto a Roma ma a Roma ci vivo e vorrei finalmente vederla diventare una città come tutte le altre e non il regno dell’assurdo, dove tutto ciò che non è augurabile di solito accade. E non vorrei vederla passare dalla padella alla brace, dal notaio delle dimissioni di Marino alla Casaleggio Associati, dal centralismo renziano al verbo grillino.


Giornalista, vive e lavora a Roma. Scrive di politica, media e cultura per Today.it.

mercoledì 20 febbraio 2013

Gemelli (molto) diversi





Articolo di Ubaldo Villani-Lubelli

Movimento5Stelle e Partito Pirata Tedesco vengono spesso accostati come fossero partiti gemelli, in Italia il primo e in Germania il secondo. Lo stesso Beppe Grillo, la scorsa primavera, sull’onda di sondaggi che davano i pirati tedeschi al 13 per cento, si sbilanciò: “Siamo noi i Pirati in Italia”. Oggi, a dire il vero, il M5S, almeno nei numeri, sembra aver superato i Pirati. I recenti successi elettorali di Grillo vanno ben oltre i pur ottimi risultati ottenuti dal Partito Pirata Tedesco nella scorsa stagione politica. Ed inoltre, mentre il M5S vola nei sondaggi fino a sfiorare il 20 per cento, i Pirati, in Germania, arrancano faticosamente per raggiungere la soglia di sopravvivenza del 5 per cento che li permetterebbe di entrare nel Bundestag. Ma cosa unisce e cosa divide questi due movimenti? Proviamo a fare chiarezza e cerchiamo di capire quali siano le analogie e le differenze  tra questi due nuovi protagonisti della politica europea.
I due movimenti si rivolgono certamente ad una stessa tipologia di elettori delusi dai partiti tradizionali  e che si nutre principalmente di malcontento e che negli ultimi anni, magari, non è andata neanche a votare. L’altro punto di contatto tra M5S e Pirati è dato dal fatto che entrambi hanno invertito il processo di comunicazione tra partiti e cittadini. Normalmente i partiti si propongono agli elettori con un programma predefinito per il quale chiedono il voto ai cittadini. M5S e Pirati hanno invertito questo meccanismo. È il movimento che chiede ai cittadini quali sono i temi di cui il movimento si deve fare interprete. I Pirati usano lo slogan: “Noi siamo quelli con le domande, voi quelli con le risposte”. Beppe Grillo dice spesso negli incontri con i cittadini: Diteci quali sono i problemi del vostro territorio, iscrivetevi al movimento, mettetevi in gioco ed io vi metto a disposizione la nostre rete di relazioni e di contatti e l’organizzazione del movimento.
Se i due partiti, dunque, si fanno interpreti delle esigenze e delle necessità dei cittadini, delle istanze che vengono dalla base e dal territorio, sono diversi nelle modalità con cui agiscono. Mentre il M5S è dominato dalla figura di Grillo che “concede” la rete del proprio movimento, i Pirati non hanno un “padrone”. La differenza dunque è che mentre il M5S si nutre del carisma e della popolarità del suo leader ed è un movimento con un forte accento leaderistico, il Partito Pirata rifiuta le personalità centralizzanti e totalizzanti. I Pirati non accettano leader carismatici, e l’organizzazione del partito non è verticistica, ma orizzontale. Hanno anche loro un’organizzazione interna in cui c’è un Presidente, un segretario, un comitato di direzione,  un capogruppo e le altre figure tradizionali dei partiti, ma le decisioni sono sempre collegiali e votate a maggioranza.
E qui arriviamo alla seconda grande differenza. Proprio in virtù di questa organizzazione orizzontale, il Partito Pirata costruisce il suo programma dal basso. Sono i cittadini che costruiscono il programma attraverso la famosa piattaforma di Liquid Feedback che oggi ha circa 10.000 iscritti. Si tratta di un sistema non sempre fluido e veloce, a volte un po’ caotico, ma che permette una reale  partecipazione. Naturalmente non tutto è perfetto, tanto che si denuncia spesso che è un sistema in cui i super-attivi della piattaforma, tramite il sistema delle deleghe, riescono, di fatto, a monopolizzare alcuni temi.  Il M5S pur cercando di farsi interprete delle esigenze dei cittadini, concede solo in alcuni casi l’utilizzo di Liquid Feedback o piattaforme simili. Questo perché naturalmente è un sistema che non permette un controllo diretto nel processo di formazione delle decisioni.
La terza grossa differenza tra i due partiti è rappresentata dal fatto che se il M5S è un movimento tipicamente italiano in quanto frutto della specifica situazione italiana del momento, il Partito Pirata è un fenomeno internazionale. Nato in Svezia, ha trovato soprattutto in Germania (ma anche in Svizzera e Austria) il modo di radicarsi e di ottenere dei buoni risultati. Esiste dunque una piattaforma di idee di base (diritti civili, libertà nella rete, diritto d’autore, difesa dell’ambiente, trasparenza, rifiuto del leaderismo) che fanno da cerniera tra i vari movimenti nazionali. L’ultima differenza, infine, è che mentre il M5S ha un tratto populista e si nutre dei comunicati politici di Grillo, di anatemi contro la stampa e di editti contro i militanti che non si allineano alla linea dettata dal vertice, il Partito Pirata non fa nulla di tutto questo e non conosce i toni che caratterizzato il M5S. Non usano mai espressioni sopra le righe, forse semmai sono le singole personalità del movimento pirata che possono essere considerate molto singolari, quasi anarchiche e quindi poco gestibili anche nelle loro azioni.


Ubaldo Villani-Lubelli è  giornalista. 
Ha studiato e lavorato in Germania.
Il suo Blog:  Potsdamer Platz  


lunedì 15 ottobre 2012

Ci mancava questa




"La politica è attraente e piacevole, ma vista da fuori". Flavio Briatore smentisce – buon per noi – il suo possibile coinvolgimento nell’agone politico. Sulle pagine de 'La Stampa' era infatti apparsa la (temibile) notizia di un progetto di Silvio Berlusconi per una lista civica di imprenditori, con a capo proprio Briatore.

"Non farò mai politica, non mi interessa – ha tagliato corto l'ex manager di Formula 1, protagonista del reality 'The apprentice' in onda su Sky – però penso che tutti possano avere opinioni e parlarne. La politica dovrebbe essere fatta da gente che ha la passione ed i politici dovrebbero essere quelli che ti fanno vincere i mondiali, ma adesso non mi sembra sia così". 

Ipse dixit. 

martedì 9 ottobre 2012

Renzi, c’è chi dice no



Mi aspettavo Renzi fosse un imbonitore. Sapevo, avendolo visto tante volte in tv, dei suoi toni a forti tinte populistiche. Avevo letto dei suoi one man show. Ma la realtà, come spesso accade, è andata oltre le aspettative. Ed è così che mi sono ritrovata immersa in una specie di avanspettacolo. Niente contro la persona, s’intenda. Ognuno ha il diritto di proporre la propria ricetta per il futuro dell’Italia. Ma il dato, qui, è politico. E di questo si può, anzi, si deve discutere. Ma tutto fuorché discussione c’era in quel teatro gremito di persone, per le quali la c aspirata di Renzi fungeva da elemento consolatore, mero sfogo per quel malcontento covato per molto tempo. Ma oltre a ciò, poco. Non che tutte le proposte di Renzi, si badi, siano errate. Chi sarebbe contrario al rinnovamento, alla volontà di ricambiare una classe dirigente da troppo tempo inamovibile? Chi non vorrebbe, ancora, la modernizzazione del paese? Ma l’incontro – dal forte sapore di marketing e artificio – è un format ripetuto secondo copione in lungo ed in largo per l’Italia. Mai una specificità, mai un riferimento alle problematiche di un territorio. E, quel che è peggio, la totale assenza di ogni forma di dibattito. Bordate anticasta, strizzate d’occhio ai bisogni (sacrosanti) della gente, intervallati con video ruffiani tratti dal (per altro bellissimo) “Non ci resta che piangere”, dalle imitazioni di Crozza e, per parlare di finanza, dalle gag di Cettola Qualunque. Basta così poco agli italiani? E la visione politica? Si strizza l’occhio di qua e di là, per arraffare più voti possibile. E la coerenza?
Ci risiamo, poi, con il temibilissimo mito dell’uomo della provvidenza, ennesimo demiurgo che “scende in campo” a salvare i destini di questo martoriato paese. Ancora una volta – come se dall’esperienza non fosse possibile imparare – gli italiani si infatuano di un personaggio, più che di una persona. Di un vocabolario, più che delle idee. Di un modo di fare, più che delle competenze.
E’ la “sempiterna figura della missione redentrice di un salvatore” scriveva Zagrebelsky nel 2010 (non su Renzi, ben inteso) a proposito della attitudine tutta italiana ad affidarsi al “lui” di turno. Il Lui sul quale riporre tutta la fiducia, senza andare troppo per il sottile. Senza accertarsi delle competenze, senza richiedere certe preziose caratteristiche. E dopo Grillo, il comico che fa politica, abbiamo il politico – fino a prova contraria Renzi è il sindaco di Firenze – che fa il comico, che rende i suoi comizi spettacoli di cabaret. Spettacoli che si concludono con l’immancabile metafora calcistica.

Che, ahinoi, ricorda tanto qualcuno...

Ps: chi scrive, come non si riconosce in Renzi, non si riconosce, sottolineato più volte il non, nella nomenclatura “tradizionale” del PD. Quello che è stato scritto è una semplice disamina di uno stile politico. Per la totale chiarezza: sostengo Sandro Gozi. 

domenica 30 settembre 2012

Excusatio non petita

"Doveva essere un incontro per ricevere alcuni consigli, come quello che avevo avuto con Tony Blair alcuni mesi fa", però "lo faremo un'altra volta". Il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, è tornato ancora sull'incontro saltato con l'ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, che ieri sera si è trattenuto nel capoluogo toscano, dove ha cenato e pernottato, per ripartire stamattina.



"Avevamo messo in piedi l'incontro sulla base di una serie di rapporti - ha spiegato Renzi - ma evitando che diventasse di dominio pubblico e una sorta di endorsement alle primarie, per cui quando era uscito sui giornali con questa visibilità, giustamente non ha avuto più senso farlo, non aveva senso fare una photo opportunity". 

Fonte Adnkronos


lunedì 21 maggio 2012

Le (cinque) stelle. Viste dall'America



Che cosa si dice del “fenomeno Grillo” in America? Ce lo spiega il New York Times che – un paio di giorni or sono – ha dedicato al comico genovese e al suo movimento un lungo articolo intitolato significativamente “Caustic Comedian Alters Italy’s Political Map. E, in effetti, le 5 stelle hanno “alterato” – eccome –  la costellazione della politica italiana, trionfando in quel di Parma (dove il grillino Pizzarotti conquista la poltrona di primo cittadino), e ottenendo, in generale, risultati più che positivi.
«E’ con una sapiente miscela di pungente umorismo, legittima indignazione e organizzazione grass-root che il movimento di Grillo sta dimostrando di non essere uno scherzo - spiega Elisabetta Povoledo -  tanto che, fondato solo nel 2009, è rapidamente diventato una forza con cui fare i conti nella frazionata e litigiosa arena politica italiana».
«In poco tempo si è trasformato nel vessillo dell’impazienza degli italiani nei confronti dei tradizionali partiti politici, che sembrano aver perso il contatto con i bisogni e con le esigenze dei cittadini. E, in un paese dove l’elite politica viene ormai comunemente definita “la casta” e i sondaggi evidenziano un calo di fiducia verso le forze politiche al di sotto del 5% , il messaggio anti-politico di Grillo ha trovato terreno fertile».
Agli osservatori che tentano di liquidare il movimento come un voto di protesta contro interessi e poteri forti, non dissimile da altri fenomeni europei (Alba dorata in Grecia, i Pirati in Germania), i candidati grillini rispondono «rifiutando l’etichetta e illustrando, entusiasti, la loro agenda, che consiste in una piattaforma ecologica e anti-consumistica, articolata in una serie di varianti locali di grande successo». 
Anche se «di persona è molto più pacato rispetto alla sua appassionata presenza sul palco, dove si lancia in un turbinio di battute e insulti, rivolti tanto ai “moribondi partiti” italiani, quanto ai suoi leader», non sfugge agli americani la componente provocatoria (demagogica?) del comico genovese, « le cui dichiarazioni rappresentano continue onde d’urto».
E nel web, anzi, nel modo di usarlo, sta - secondo gli americani - la risorsa primaria di Beppe Grillo, dove la metamorfosi del mezzo in una sorta di “iper-democrazia” (promossa attraverso il blog e una pletora di siti internet), ha saputo aggregare quegli italiani intenzionati a fare proseliti attraverso un nuovo attivismo politico.
Ed è lasciando spazio alla voce roca del personaggio Grillo che il Nyt chiude un articolo che, forse con meno pregiudizi e più serenità rispetto agli omologhi italiani, racconta un fatto civico e partecipativo: “Non siamo un movimento politico, questa è una rivoluzione culturale che sta per cambiare la società”.


Leggi l'articolo sul New York Times

venerdì 4 maggio 2012

Il voto greco



Esattamente tra due giorni, il 6 maggio, una Grecia stremata dalle difficoltà economiche e dal malessere sociale torna alle urne. La posta in gioco è, in primis, quella della governabilità del paese, ma anche la sua permanenza nell'Eurozona. Da una parte, Evanghelos Venizelos, leader del partito socialista Pasok e attuale ministro delle Finanze del governo tecnico Papademos, artefice di una serie di rigide misure di austerity (la cui efficacia tarda a farsi sentire), che ha dichiarato di voler ricostruire l'autonomia economica della Grecia e, sul piano istituzionale, la malandata membership greca nell'Ue. Dall'altra, Nuova Democrazia (ND), formazione di centro destra - con grandi responsabilità nell'attuale crisi economica, per aver truccato i conti, nascondendo il buco nel bilancio pubblico - guidata da Antonis Samaras, politico di lungo corso, ministro dei governi di centrodestra degli anni Novanta, che ha promesso, pur nel rispetto dei limiti e degli obiettivi imposti dalla comunità internazionale, tagli alle tasse e aumento della spesa pubblica. 
La ricetta di Venizelos, invece, propone l’annullamento graduale della “tassa di solidarietà”, imposta negli ultimi anni per combattere la crisi, promettendo anche la graduale riduzione dell’IVA per agricoltori e ristoranti. Ha inoltre dichiarato di voler diminuire i contributi alla sicurezza sociale del 10 per cento, per far ripartire l’economia e l’occupazione (oggi in Grecia i disoccupati sono circa il 25 per cento della forza lavoro). Ha anche promesso la graduale riduzione dell’IVA per agricoltori e ristoranti, sempre nel rispetto dei paletti imposti dalla comunità internazionale.
Segue una sfilza di altri partiti e partitini (in tutto sono 32 - sigh! - le formazioni politiche in lizza). Molto probabile, comunque, una grande coalizione ND-Pasok, dal momento che, da soli, i due partiti non riuscirebbero a formare un governo.  Ma è anche possibile che i due grandi partiti non raggiungano insieme la maggioranza dei voti, scenario che comporterebbe una elevatissima instabilità politica. 
Ma a preoccupare è anche l'ascesa delle forze di estrema destra. «In tempo di crisi economica è la democrazia ad essere svantaggiata», spiega Ilia Maglini in un articolo apparso sul quotidiano greco Kathimerini, citando Robert Paxton autore de "The Anathomy of Fascismo". Osservazione che pare essere confermata: "Alba dorata" - partito nazionalista, il cui simbolo ricorda neanche tanto vagamente una svastica -  ha già superato, nei sondaggi, il 5 per cento dei voti, ben oltre la soglia del 3 per cento necessaria per entrare in Parlamento. Esclation paragonata da Venizelos ad un inquietante precedente, l'ascesa politica dei nazisti durante la Repubblica di Weimar tedesca, appena dopo la Prima guerra mondiale.