mercoledì 27 febbraio 2013

Ma l'indignazione non muore



Prima che gli indignados riempissero le strade di New York, Madrid, Londra e Atene, in modo singolarmente profetico un piccolo libro scalava le classifiche. Un piccolo libro, che proprio del sentimento dell’indignazione faceva il suo messaggio principale.
Stiamo parlando di Indignez-vous!, scritto da Stéphane Hessel, intellettuale, diplomatico e politico francese che si è spento oggi, all’età di 95 anni. 
Classe 1917, durante il secondo conflitto mondiale, Hessel prese parte alla Resistenza francese e – subito dopo – ebbe «la fortuna», come la definisce lui, di partecipare niente meno che alla stesura della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, poi adottata dalle Nazioni Unite a Parigi nel 1948.
È un vero e proprio «appello all’indignazione», questo minuscolo pamphlet divenuto rapidamente best seller globale. Indignazione per cosa? Va subito al sodo, Hessel: «il divario tra i più ricchi e i più poveri non è mai stato così significativo e mai la corsa al denaro e la competizione erano state a tal punto incoraggiate». Punta il dito contro la dittatura dei mercati finanziari «che minacciano la pace e la democrazia». E nei giorni di Occupy Wall Street, nelle ore in cui Main street assediava il cuore pulsante del financial district, il suo j'accuse sembrava proprio una profezia avverata.
Lungimirante e deciso, aveva capito prima e meglio di tutti dove il sistema – corrotto e in affanno – sarebbe andato a parare. Ma lungi dall’incitare alla violenza, il lucido pensiero di Hessel esorta ad «un’azione civile risoluta», indicando nella non violenza e nel rispetto dei diritti la strada maestra. Per liberarsi - aggiunge - dal meccanismo perverso del “sempre di più” (nei consumi, nella finanza e nella scienza), pericoloso vortice che ci trascina inesorabilmente ogni giorno più in basso. 
Più che un libro, di cui non ha l’organicità,  Indignez-vous! è un piccolo quaderno di appunti un po’disordinati che Stéphane Hessel ha voluto condividere, soprattutto con i giovani. Per metterli in guardia dal «peggiore degli atteggiamenti»: l’indifferenza. 
Ossia la rinuncia – perdente, menefreghista e senza vita – alla capacità di indignarsi e all’impegno civile che ne consegue. 



martedì 26 febbraio 2013

Una risata vi seppellirà (definitivamente).

  Kap (Jaume Capdevila) from Cagle.com




Dave Brown, The Independent - London

La resurrezione di Lazzaro
"Rilancio con il taglio delle tasse e con un po' di bunga-bunga"





Altan
Giannelli 

lunedì 25 febbraio 2013

Turchia in Europa? Sì, no. Forse



Angela Merkel, oggi a colloquio con Erdogan, appare possibilista sul rilancio del negoziato per l'ingresso della Turchia nell'Ue. «Ma - avverte - sono ancora scettica».

domenica 24 febbraio 2013

Dancing First Lady



Virale. E non poteva essere altrimenti, il video di Michelle Obama che balla - divertente e divertita come sempre - al Late Night di Jimmy Fallon. Una delle tante incursioni televisive della nostra Michelle per promuovere Let's move, la campagna anti obesità giunta oggi al terzo anno.

Ci piace, tanto.

venerdì 22 febbraio 2013

Il Grillo prepolitico


Ecco il Grillo tra gli anni '70 e '80, così diverso (ma forse neanche tanto) da quello 2.0 di oggi. Preferenze tra le due versioni? Le lascio alle valutazioni individuali. Ma quel che è certo è che questi video sono divertenti, eccome.

giovedì 21 febbraio 2013

Viva la libertà. E la politica.

Toni Servillo, nel doppio ruolo di Enrico Olivieri e di Giovanni Ernani in Viva la libertà di Roberto Andò
«Ciao Andrea. Stammi bene». È così che Enrico Olivieri – Segretario del principale partito della sinistra italiana  – si accomiata dal suo assistente Andrea Bottini, una sera come tante, dopo l’ennesima sconfitta. E decide di fuggire, l’indomani stesso, a Parigi. Via. Via dagli insuccessi, dai sondaggi in ribasso, dalle contestazioni all’assemblea nazionale. Dalle agenzie e dai titoli dei giornali che lo fanno a pezzi. Dai colleghi che lo guardano con commiserazione, pronti a fargli lo sgambetto. Via, verso la Francia, patria della libertè e di un vecchio amore, che poi tanto vecchio non è. Danielle, segretaria di edizione nel cinema, fiamma mai spenta di venticinque anni prima che lo accoglie in casa (con marito e figlia). E mentre lui comincia a (ri)trovare se stesso, a Roma è il caos: l’opposizione non può permettersi di stare senza leadership, in un momento che è – come sempre – di emergenza, condizione oramai cronicizzata della nostra democrazia. Messi alle strette, Bottini ed Anna, la moglie di Oliveri, trovano una soluzione che oltre a liberarli dall’imbarazzo di dover giustificare l’assenza del leader (dove è finito? Si chiedono tutti), risolleverà le sorti del partito e di tutta la sinistra. Far vestire a Giovanni Ernani – il fratello colto e un po’ folle di Olivieri, in cura per una depressione bipolare – i panni del Segretario. La somiglianza fisica c’è. Quello che cambiano, e non poco, sono dialettica e comportamenti. Alta, affilata e tagliente, la prima, improbabili e sopra le righe, i secondi. La politica riprende vita, i discorsi riacquistano colore, le piazze tornano a riempirsi. Al grigiore della vecchia politica, burocratica e stanca, appiattita e avvitata su se stessa, si sostituisce la potente sferzata ideale di quest’uomo, colto e disinibito, profondo e ironico. Che sa ridare gusto alla politica e al suo verbo. Che cita Brecht senza banalità e retorica. Ma quello che più colpisce è la doppia dimensione della pellicola di Roberto Andò. Da una parte, una riflessione sulla politica e, soprattutto, sulla sinistra, colpevole di aver perso per strada quella che era la sua vocazione originaria: parlare ai cittadini, connettersi ad essi con empatia e tensione ideale. Dall’altra, c’è l’universo individuale in cui ognuno di noi è calato. Con i suoi limiti e le sue opportunità, con le sue ansie e le sue gioie. Con le sue insicurezze e con i suoi assi nella manica. I due fratelli – apparentemente così diversi – non lo sono poi così tanto. L’inversione dei ruoli finisce con l’essere più che altro un riavvicinamento, e il rinnovato Olivieri che torna alla sua scrivania spiazza, perché non si sa più, esattamente, chi si ha di fronte. Collettivo ed individuale, insomma, s’intrecciano come non mai, non si sa bene dove inizi l’uno e dove finisca l’altro, così come s’intrecciano “normalità” e follia, due facce della stessa medaglia. Perché, in fondo, in tutti noi c’è un po’ di Olivieri e un po’di Ernani. Solo che, spesso, non lo sappiamo. O facciamo finta di non saperlo. 

mercoledì 20 febbraio 2013

Gemelli (molto) diversi





Articolo di Ubaldo Villani-Lubelli

Movimento5Stelle e Partito Pirata Tedesco vengono spesso accostati come fossero partiti gemelli, in Italia il primo e in Germania il secondo. Lo stesso Beppe Grillo, la scorsa primavera, sull’onda di sondaggi che davano i pirati tedeschi al 13 per cento, si sbilanciò: “Siamo noi i Pirati in Italia”. Oggi, a dire il vero, il M5S, almeno nei numeri, sembra aver superato i Pirati. I recenti successi elettorali di Grillo vanno ben oltre i pur ottimi risultati ottenuti dal Partito Pirata Tedesco nella scorsa stagione politica. Ed inoltre, mentre il M5S vola nei sondaggi fino a sfiorare il 20 per cento, i Pirati, in Germania, arrancano faticosamente per raggiungere la soglia di sopravvivenza del 5 per cento che li permetterebbe di entrare nel Bundestag. Ma cosa unisce e cosa divide questi due movimenti? Proviamo a fare chiarezza e cerchiamo di capire quali siano le analogie e le differenze  tra questi due nuovi protagonisti della politica europea.
I due movimenti si rivolgono certamente ad una stessa tipologia di elettori delusi dai partiti tradizionali  e che si nutre principalmente di malcontento e che negli ultimi anni, magari, non è andata neanche a votare. L’altro punto di contatto tra M5S e Pirati è dato dal fatto che entrambi hanno invertito il processo di comunicazione tra partiti e cittadini. Normalmente i partiti si propongono agli elettori con un programma predefinito per il quale chiedono il voto ai cittadini. M5S e Pirati hanno invertito questo meccanismo. È il movimento che chiede ai cittadini quali sono i temi di cui il movimento si deve fare interprete. I Pirati usano lo slogan: “Noi siamo quelli con le domande, voi quelli con le risposte”. Beppe Grillo dice spesso negli incontri con i cittadini: Diteci quali sono i problemi del vostro territorio, iscrivetevi al movimento, mettetevi in gioco ed io vi metto a disposizione la nostre rete di relazioni e di contatti e l’organizzazione del movimento.
Se i due partiti, dunque, si fanno interpreti delle esigenze e delle necessità dei cittadini, delle istanze che vengono dalla base e dal territorio, sono diversi nelle modalità con cui agiscono. Mentre il M5S è dominato dalla figura di Grillo che “concede” la rete del proprio movimento, i Pirati non hanno un “padrone”. La differenza dunque è che mentre il M5S si nutre del carisma e della popolarità del suo leader ed è un movimento con un forte accento leaderistico, il Partito Pirata rifiuta le personalità centralizzanti e totalizzanti. I Pirati non accettano leader carismatici, e l’organizzazione del partito non è verticistica, ma orizzontale. Hanno anche loro un’organizzazione interna in cui c’è un Presidente, un segretario, un comitato di direzione,  un capogruppo e le altre figure tradizionali dei partiti, ma le decisioni sono sempre collegiali e votate a maggioranza.
E qui arriviamo alla seconda grande differenza. Proprio in virtù di questa organizzazione orizzontale, il Partito Pirata costruisce il suo programma dal basso. Sono i cittadini che costruiscono il programma attraverso la famosa piattaforma di Liquid Feedback che oggi ha circa 10.000 iscritti. Si tratta di un sistema non sempre fluido e veloce, a volte un po’ caotico, ma che permette una reale  partecipazione. Naturalmente non tutto è perfetto, tanto che si denuncia spesso che è un sistema in cui i super-attivi della piattaforma, tramite il sistema delle deleghe, riescono, di fatto, a monopolizzare alcuni temi.  Il M5S pur cercando di farsi interprete delle esigenze dei cittadini, concede solo in alcuni casi l’utilizzo di Liquid Feedback o piattaforme simili. Questo perché naturalmente è un sistema che non permette un controllo diretto nel processo di formazione delle decisioni.
La terza grossa differenza tra i due partiti è rappresentata dal fatto che se il M5S è un movimento tipicamente italiano in quanto frutto della specifica situazione italiana del momento, il Partito Pirata è un fenomeno internazionale. Nato in Svezia, ha trovato soprattutto in Germania (ma anche in Svizzera e Austria) il modo di radicarsi e di ottenere dei buoni risultati. Esiste dunque una piattaforma di idee di base (diritti civili, libertà nella rete, diritto d’autore, difesa dell’ambiente, trasparenza, rifiuto del leaderismo) che fanno da cerniera tra i vari movimenti nazionali. L’ultima differenza, infine, è che mentre il M5S ha un tratto populista e si nutre dei comunicati politici di Grillo, di anatemi contro la stampa e di editti contro i militanti che non si allineano alla linea dettata dal vertice, il Partito Pirata non fa nulla di tutto questo e non conosce i toni che caratterizzato il M5S. Non usano mai espressioni sopra le righe, forse semmai sono le singole personalità del movimento pirata che possono essere considerate molto singolari, quasi anarchiche e quindi poco gestibili anche nelle loro azioni.


Ubaldo Villani-Lubelli è  giornalista. 
Ha studiato e lavorato in Germania.
Il suo Blog:  Potsdamer Platz  


giovedì 14 febbraio 2013

One Billion Rising


A film by @EveEnsler and Tony Stroebel


Il ballo come atto liberatorio. Come catarsi, come testimonianza, come moto generatore di energia positiva. È un po’ questo il senso di V-Day, l’iniziativa che oggi – 14 febbraio – sta prendendo luogo in numerose parti del mondo contro ogni tipo di violenza sulle donne. Flash mob si stanno susseguendo – divisi solo dal fusorario, uniti più che mai nelle intenzioni – in Europa come in Nuova Zelanda, in India come in Africa. Sostenuta anche dalle Nazioni Unite, la giornata si configura come “single-day global action”, spiegano sulla piattaforma One Billion Rising. Una data simbolica, per puntare i riflettori sulle troppe violenze che ancora oggi si consumano – in ogni parte del mondo – contro le donne. E non importa l’origine di queste violenze, religiosa, sociale o individuale. L’importante è fermarle. Denunciarle, condannarle. A passo di danza. 

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Guarda il messaggio di Michelle Bachelet, Direttore Esecutivo dell'UN Women: 

sabato 9 febbraio 2013

L'Austerity sbarca in Europa

Burki

Petar Pismestrovic


Mentre i vignettisti si sbizzarriscono a raccontarci il nuovo accordo sul bilancio Ue, un dato è certo: quello varato ieri è il primo quadro finanziario al ribasso della storia comunitaria. Scontenti, molto, quelli che speravano in un’inversione di tendenza, in una sterzata Keynesiana ed in un'iniezione di politiche anticicliche. 

Il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale copre i prossimi sette anni (2014-2020) ed è concepito per un'Unione europea a 28 Stati membri, in base all'ipotesi di lavoro che la Croazia aderisca all'Unione nel 2013. 


Il Consiglio europeo, riassumendo, ha raggiunto un accordo politico in base al quale la cifra massima totale della spesa per l'Ue a 28 è pari a 959 988 milioni di Euro in stanziamenti per impegni che rappresentano l'1,00 % del reddito nazionale lordo (RNL) dell'Unione e a 908 400 milioni di EUR in stanziamenti per pagamenti che rappresentano lo 0,95% dell'RNL europeo. 

Si è trattato, come ha spiegato efficacemente Marco Zatterin su La Stampa, di uno «scontro fra i rigoristi condotti da Cameron e i fan della spesa comune in chiave anticrisi come Italia e Francia». «La cifra  - continua Zatterin - comprende 450 miliardi per la crescita, somma maggiore sull’esercizio precedente, ma smagrita rispetto alle idee di partenza: alleggeriti gli investimenti sulle reti transfrontaliere, sparite le Tlc, al punto da fare commentare a una fonte: «E’ rimorto Keynes!». 

«Guardando da una prospettiva globale – ha affermato Herman Van Rompuy alla fine della maratona negoziale, durata ben 25 ore – questo è un budget orientato al futuro, realistico e guidato da preoccupazioni urgenti». Della serie, poteva andare anche peggio.

martedì 5 febbraio 2013

Dorsi

E poi succede che – in una mattina di febbraio – la tua Università conferisce la laurea honoris causa in Lingue e Letterature moderne a Roberto Calasso. Allora ti torna in mente quando – a Liceo – leggevi della Grecia antica e dei suoi miti che si intrecciano con la storia, con il pensiero, con la filosofia e con la letteratura. Ripensi, poi, a tutti i libri che hai letto e leggi ancora pubblicati per Adelphi, prestigiosa casa editrice diretta proprio da Calasso. E allora, ovvio, decidi di andare ad ascoltare, per non perderti quella che ha tutta l’aria di essere una più che promettente lectio doctoralis. Tra Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi, tra Baudelaire e T.S. Eliot, un passaggio in particolare mi ha colpito dell’intervento dello scrittore: quello sui dorsi dei libri. Sì, sui dorsi dei libri. E, cioè, su quello che è – in effetti – il primo punto di contatto tra il potenziale lettore e il testo, contatto dal quale può nascere interesse, allo stesso modo dello sguardo che corre tra due che si scoprono innamorati. «Da bambino, fino ai dodici anni, usavo fare i compiti in una lunga stanza che aveva alte librerie su due pareti. Poggiavo sul tavolo il mio sussidiario e, alzando lo sguardo, vedevo libri di grande formato – erano spesso degli in-folio – sui cui dorsi si leggevano nomi misteriosi e titoli generalmente in latino», ricorda Calasso. «Ma quei nomi, che soltanto su quegli antichi dorsi, di pergamena o di pelle, potevo incontrare, si incunearono nella mia mente, accanto ad altri non meno misteriosi: Azo, Alciatus, Accursius, Albericus de Rosate, Donnellus, Cuiacius, Fulgosius, Vossius. I sentimenti del bambino verso quei testimoni muti di certi tediosi pomeriggi erano insieme di curiosità e di insofferenza. Non era facile immaginare che cosa si celasse di attraente in quelle lunghe colonne di stampa, spesso impeccabili e sempre indecifrabili».

«Ma oggi, a distanza di vari decenni, posso dire che molto devo a quei libri, anzi, alla semplice visione di quei dorsi. Inoltre, ho il sospetto che questa acuita sensibilità per i dorsi dei libri abbia avuto una parte anche nella mia attività editoriale. Ho sempre pensato che vivere circondati dai dorsi di certi libri fosse, in certi casi, poco meno importante che leggerli. Nessun grande editore, per quanto mi risulta, ha mai pubblicato libri con brutti dorsi, come se si trattasse di un punto decisivo, dove non è ammesso cedere».  

venerdì 1 febbraio 2013

Paperman


Poesia. Favola. Sogno. Chiamatelo come volete, ma questo cortometraggio Disney è bello. Molto bello. E poi lei, con quegli occhioni così Disney!

Lo so, non c'entra niente con la politica, la società e l'Europa, insomma, con gli argomenti di cui parlo di solito.

O forse, a pensarci meglio, c'entra. O sarebbe meglio che c'entrasse.