domenica 13 novembre 2011

Come neve al sole

Sciogliersi come neve al sole, Alighiero Boetti, arazzo, 1988






































Si ha un partito personale quando «non è l’associazione che ha creato un capo, ma è un capo che ha creato l’associazione».
Questa frase – scritta (anzi, pronunciata, dal momento che è una conversazione) da Norberto Bobbio in un bellissimo libro, vero condensato di etica civile – mi è tornata potentemente alla memoria osservando il caos che in questi giorni si è impossessato del Popolo delle libertà ora che il suo leader, fondatore e padrone (?) si avvia a lasciare la scena. 
Il libro in questione è Dialogo intorno alla Repubblica – che ho letto oramai dieci anni or sono – e raccoglie le intense conversazioni avvenute tra due studiosi diversi per età e formazione ma uniti da una profonda (quanto rara, soprattutto oggi) passione civile: Norberto Bobbio, uno tra i più importanti pensatori contemporanei (grande il vuoto che ha lasciato) e Maurizio Viroli, italianissima gloria in un’università americana (insegna storia del pensiero politico a Princeton).
Tra i grandi temi politici di cui discutono – diritti e doveri, libertà, corruzione e amore per la patria (ma «non abbiamo verità definitive da proporre», si legge nella prefazione) – c’è un capitolo, “La Repubblica e suoi mali”, in cui – e del riferimento all’allora Forza Italia non è fatto mistero – Bobbio e Viroli si interrogano sulle storture del cosiddetto partito-persona.
Il partito è personale quando vive per e in virtù del leader fondatore, quando è “cosa sua”, si identifica e si sovrappone con la sua immagine e la sua ideologia. Trattasi, in altri termini, di una formazione politica fondata sulla lealtà incondizionata al capo. E in questi quasi venti anni, Berlusconi ha fatto di tutto per accentuare il carattere personalistico del suo “prodotto” politico. Questo, se ci pensate, trova riscontro nei simboli stessi di Forza Italia, prima, e del Pdl, poi: l’immagine (sorridente) e il nome (a caratteri cubitali) di Silvio Berlusconi hanno fatto tutt’uno con il partito, sono serviti ad identificarlo e a dargli sostanza, come pure i grotteschi slogan sul modello di “meno male che Silvio c’è”. E se qualcuno prova a fare la differenza, be’, l’ostracismo è l’unica soluzione (caso Fini docet).
Insomma, il partito-persona è cosa ben diversa dalla personalizzazione della politica, fisiologica soprattutto nella modernità, quella che si ha – ad esempio – in presenza di un leader carismatico e la minaccia più seria ad una repubblica democratica viene proprio da questi agglomerati di uomini fedeli al capo, dal quale altro non desiderano che vantaggi e privilegi, fino a che questi – sa va sans dire – ha da offrirne.
Il “tutti contro tutti” in scena in queste ultime ore nel Pdl (prima e dopo le dimissioni del Premier) somiglia molto al disfacimento dell’esercito di un generale sconfitto: spaccature nel gruppo dirigente, divergenze di vedute e disgregazione. «È sempre azzardato avventurarsi in previsioni – scrive Viroli nel 2001 – ma credo proprio che in questi partiti se scompare il leader fondatore scompare anche il partito». Come neve al sole. 

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