lunedì 15 luglio 2013

I'm an Englishman in EU

La hp di "British Influence"



















Può essere definita una “cross-party initiative” quella di “British Influence” think tank pro-Europa nato su iniziativa di vari funzionari e opinion leader e che sta drenando risorse da una parte e dall’altra degli schieramenti della politica inglese.
Proprio oggi il gruppo ha pubblicato il suo manifesto, “Better off in a Better Europe”.
Ecco l’articolo che lo presenta.
Perché, con  un piede dentro ed uno fuori, la Gran Bretagna continua paradossalmente ad essere la nazione più impegnata in un serio dibattito sull’Unione eruopea e sulle riforme di cui essa ha bisogno.
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Per oltre 500 anni la Gran Bretagna è stata un grande attore in Europa. In primo luogo, per garantire che nessun paese fosse libero, da solo, di determinare aggressivamente il futuro del vecchio continente; in secondo luogo, per spingere il continente verso i nostri valori fondamentali di democrazia, libertà e Stato di diritto. Considerando dove era l'Europa un secolo fa, non si può dire che l’influenza britannica non sia riuscita in questi compiti. Ma gli isolazionisti vorrebbero farci credere che la Gran Bretagna non ha voce in Europa ed è, al suo interno, senza amici. Questo messaggio disfattista è sbagliato e pericoloso. La Gran Bretagna possiede sia influenza che alleati. Il Regno Unito deve occupare il posto di guida, e non farsi trascinare. La leadership è in palio: evitarla significherebbe rinunciare ad una responsabilità nazionale, indegna per la nostra storia.

I nostri partner in Europa, in America e nel Commonwealth vogliono la Gran Bretagna continui a svolgere un ruolo di primo piano in Europa. Ma presteranno sempre meno attenzione se ci avvieremo verso l'uscita. L'unico modo per ottenere le riforme dell'UE nel che vogliamo è rimanervi e lavorare, da dentro, per il cambiamento: l'UE non cambierà nel modo che vogliamo, se ne usciamo. Lasciare l'Unione sarebbe per il Regno Unito un enorme errore strategico, una completa negazione dei nostri interessi nazionali. Rinunciare all’Ue metterebbe in pericolo non solo la nostra economia, ma minerebbe il nostro rapporto politico con gli Stati Uniti e il nostro impatto sulla Cina, India e le altre potenze emergenti. L’isolamento ci renderebbe più deboli e più poveri. Il mondo sta cambiando e la capacità della Gran Bretagna di influenzare l'impegnativo ambiente globale è meglio assicurata nel quadro di un partenariato con i nostri vicini europei.

Il mondo globalizzato è ormai tenuto insieme da regole forgiate nelle sedi internazionali. Per garantire la crescita e creare posti di lavoro, la Gran Bretagna deve sedere al tavolo dove tali norme vengono decise. Al di fuori dell'Ue, la vendita di beni e servizi inglesi in Europa significherebbe conformarsi continuamente alle mutate norme Ue. Con l’uscita dall’Unione, il Regno unito perderebbe in fatto di sovranità, invece che guadagnarne. Westminster diventerebbe, al pari della Norvegia, una “fax democracy”.

Quindi dobbiamo rimanere, per vincere. Tuttavia, sono più che mai necessarie riforme economiche e politiche, e la Gran Bretagna dovrebbe condurle. Attraverso la creazione di alleanze con i tanti amici che condividono le nostre opinioni possiamo riformare attivamente l'Ue e proiettare questi valori in Europa e, attraverso essa, al resto del mondo. Sarebbe un errore storico di abbandonare questo compito proprio ora, quando il ruolo della Gran Bretagna è più che mai necessario. È per questo che il Regno unito dovrebbe adoperarsi per porre in essere le riforme dall'interno, e non minacciare un “rimpatrio unilaterale dei poteri”; dovremmo proporre un ordine del giorno per il cambiamento, che offra miglioramenti per tutti i membri, e non solo un accordo speciale per la Gran Bretagna. Molto si può essere fatto senza modificare i trattati, ed è questo il modo migliore per apportare cambiamenti per noi e per i nostri partner europei.
Westminster deve aprirsi e fare il suo lavoro. Qui in Gran Bretagna, il Parlamento dovrebbe tenere in maggiore considerazione il Consiglio e le altre istituzioni dell'UE, attraverso un deciso miglioramento sia in sede di esame della legislazione europea, che nelle attività di comunicazione ai cittadini. Grazie alla collaborazione con altri governi e parlamenti europei, si possono raggiungere maggiore trasparenza e responsabilità e cittadini potrebbero essere rassicurati circa il progresso democratico, in Europa come “in casa”. Ora, i nostri parlamentari non dispongono degli strumenti e dei poteri necessari per fare il loro lavoro correttamente, lasciando la responsabilità politica all'esecutivo e agli “eurofobi”.
Non c'è uscita senza dolore. La convinzione per cui – con l’uscita dall’Unione – verrebbe meno il peso della normativa europea è sbagliata: qualsiasi paese al di fuori del blocco e che desideri operare con l'UE – ad esempio la Norvegia - deve rispettare tutte le normative commerciali, ambientali e sociali dell’Unione. L'ipotesi secondo la quale per il Regno Unito andrebbe tutto liscio con un semplice accordo di libero scambio con l'Ue (e che un tale accordo sarebbe a costo zero) è sbagliata. Quali sarebbero le implicazioni per i milioni di cittadini britannici che vivono nel resto dell'UE? Verrebbero probabilmente meno diritti di assistenza sociale e sanitaria reciproca, nom ci sarebbe più alcun diritto automatico di permanenza, nessuna libertà di studiare e viaggiare in tutta l'UE e di costruirsi una casa di riposo al sole. Se la Gran Bretagna non fosse una base - all'interno dell'UE – per i produttori e gli investitori, sarebbero così tanti investitori internazionali a sentirsi sicuri di affollarsi sulle nostre coste? Sarebbe davvero tutto uguale per l'87% per cento dei nostri esportatori che commerciano con il resto dell'UE?

Quindi, i patrioti immaginano la Gran Bretagna in un’Europa riformata, mentre gli isolazionisti vogliono uscirne.  È una battaglia tra ottimisti e pessimisti, tra il futuro e il passato. Tra la realtà e la fantasia.

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