venerdì 30 settembre 2011

L'Europa secondo Stefano Rodotà





Docente universitario e giurista di fama internazionale, Stefano Rodotà l'Europa la conosce molto bene. Noto al pubblico italiano anche per alcuni prestigiosi incarichi – fra i quali il più recente come Garante per la privacy – all'interno delle istituzioni comunitarie Rodotà ha fatto parte del gruppo sull’etica per le scienze e le nuove tecnologie; è stato presidente dei Garanti dell'Ue e presidente del comitato scientifico dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali (della quale continua a far parte). Insieme ai giuristi di altri Paesi europei, è stato soprattutto uno degli estensori della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. 
Sguardo limpido e sorriso garbato – è lontana la boria di certi accademici – il professore si è reso disponibile ad una conversazione a tutto tondo.  

Professor Rodotà, quale è la sua idea di Europa?

Durante la mia esperienza ho maturato una convinzione: l’Europa ha una storia, una tradizione e un’identità fondate sulla costruzione moderna dei diritti fondamentali. Difficile immaginare che diventi una superpotenza militare. Faticoso il percorso di costruzione di un soggetto politico davvero unitario (anche a fronte di una forza economica che richiede un coordinamento di strategie). A fronte di tutto ciò, è comunque la regione del mondo – e come tale è percepita fuori dai suoi confini - dove è più elevata la tutela dei diritti fondamentali. Ecco, dobbiamo diventare consapevoli del fatto che l’Europa custodisce un modello sociale dei diritti.

E qual è  questo “modello sociale dei diritti”?

Uno dei punti significativi della cultura giuridica europea è stato il superamento della distinzione tra le varie generazioni dei diritti. All'interno dell'Unione, insomma, i diritti si “parlano tra loro”: e quelli sociali non sono meno importanti di quelli civili e politici. La chance dell’Europa sta proprio nello sviluppo di questa cultura.

Quindi, in un certo senso, un gigante economico - ma ancora un nano politico - che deve puntare sui diritti per trovare il suo spazio nello scenario internazionale...?

Esattamente: la grande carta da giocare  è proprio questa.

Un esempio concreto?

Avrei voluto che all’indomani dell’apertura del contenzioso tra Google e la Cina, ci fosse stata una parola dell’Europa. A prima vista sembrerebbe un problema estraneo all’Unione, ma non lo è: in quel momento è stata aperta di fronte al mondo la questione del diritto di espressione su internet. Ecco, se in quel momento il discorso fatto da Hillary Clinton per rassicurare i due miliardi di utenti della rete fosse venuto dall’Ue, questo avrebbe avuto per un profondo significato 'identitario'.

La Carta dei diritti che ruolo ha svolto?

Determinante. Quando al Consiglio europeo di Colonia del 1999 l’Europa ha deciso di darsi una Carta dei diritti, lo ha fatto sulla base di una dichiarazione molto impegnativa: si voleva fare del riconoscimento dei diritti fondamentali la condizione per una “nuova legittimità” del processo di integrazione. 'Legittimità' è una parola forte: ma rispecchiava appieno la convinzione che, oramai, la via dei soli diritti economici e di mercato non fosse più sufficiente a sostenere la costruzione europea.

Cosa cambia oggi che la Carta è divenuta, assieme al trattato di Lisbona, vincolante?

Dalla sua proclamazione, avvenuta nel 2000, la Carta, pur non avendo valore giuridico obbligatorio, è stata già usata: giudici ordinari, Corti costituzionali, ma anche le Corti di Strasburgo e di Lussemburgo, vi hanno spesso fatto riferimento. Oggi che finalmente ha acquisito lo stesso valore giuridico dei Trattati, rappresenta una grande occasione per l’evoluzione della stessa Unione europea: se i cittadini vi si appelleranno, rafforzeranno la dimensione dei diritti fondamentali e la Corte di giustizia potrà diventare una sorta di “Corte costituzionale europea”.

Il nostro Paese sembra essersi perso per strada l’europeismo che lo caratterizzava e che contribuì a renderlo uno degli Stati fondatori dell’allora Comunità europea. E' davvero così?

In effetti, in questi ultimi tempi l’attenzione verso l’Europa si è attenuata. L’Italia è stato un Paese determinante per la costruzione europea ma oggi non ha più questo ruolo. Politicamente non attribuisce all’Europa il valore che meriterebbe e alcune forze politiche lo hanno anche detto esplicitamente. Questo provoca una grave caduta di interesse a livello istituzionale. Più volte l’Europa ci ha “tirato per i capelli”, spesso proprio in tema di diritti (e credo che lo dovrà fare ancora).

In quali occasioni, concretamente?

L’Italia si è dimostrata spesso recalcitrante rispetto alle regole europee. Solo per fare un esempio: a causa di numerosi contro-interessi, non voleva dotarsi di una legislazione sulla privacy. Alla fine lo fatto, perché senza quella legge non sarebbe stato possibile applicare il trattato di Schengen, che garantisce la libera circolazione delle persone. Morale: nuovi importanti diritti a favore dei cittadini italiani sono stati 'acquisiti' proprio grazie alla spinta dell’Europa.

Sarebbe necessario, per quanto ci è possibile, avvicinare l’Unione ai cittadini. Cosa andrebbe fatto, a suo parere, in questa direzione?

Non è facile. Bisogna innanzitutto sfruttare tutte le opportunità di partecipazione. Oggi il Trattato di Lisbona offre ai cittadini il diritto di sottoporre proposte legislative alla Commissione europea. Ma ancora, ad esempio, gli avvocati dovrebbero utilizzare quanto più possibile la Carta dei diritti: l’Europa acquisterebbe così agli occhi dei cittadini il valore aggiunto di soggetto che li tutela. La cultura e i mezzi di informazione, infine, dovrebbero cercare di trascurare meno i temi europei.

Come legge il fallimento del progetto costituzionale europeo?

Sono stati fatti due errori nella stesura del testo costituzionale, l’eccessiva estensione e la scarsa convinzione. A ciò si sono aggiunte gravi responsabilità politiche come quelle, ad esempio, della sinistra socialista francese. Ma la conclusione non è necessariamente negativa: anche il Trattato di Lisbona, pur non chiamandosi Costituzione, contiene un grande potenziale innovativo: è nostra responsabilità culturale cercare di sfruttarlo al massimo. Voglio essere ottimista e sperare che questo succeda.

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