Docente di storia alla prestigiosa SciencesPo di Parigi,
politologo, visiting professor e ora Presidente della School of Government all’Università
Luiss, Marc Lazar è – soprattutto – uno dei più acuti osservatori dei vizi e
delle virtù della nostra cara vecchia Europa.
Professore, com’è l’Europa di oggi?
Capace di fare molte cose: e, per questo, un
progetto sul quale investire. Meriti e capacità, però, hanno bisogno di essere
dimostrati in concreto, altrimenti l’Ue rimarrà distante e incompresa,
scarsamente convincente per l’opinione pubblica. Quello attuale, comunque, è un
momento di grande incertezza, soprattutto in termini di distribuzione del
potere.
In che senso?
È venuto meno il “motore franco- tedesco”,
da sempre molto importante nell’evoluzione dell’integrazione europea.
Il tandem Parigi-Berlino non riesce più a
spingere in avanti l’Europa?
Berlino punta soprattutto a giocare le
proprie carte nell’Europa centro-orientale e in Russia, trascurando il rapporto
con la vicina Francia. Parigi, invece, non ha ben definito le proprie priorità
europee: spera ancora in un’Europa politicamente francocentrica oggi
impossibile. In un’Unione allargata non può più pensare di detenere la
leadership politica. E’ finita l’epoca della tradizionale ripartizione (potere economico
alla Germania, potere politico alla Francia). Nell’Europa a 27, occorre
ridefinire nuovi assetti di potere.
Il Trattato di Lisbona introduce qualcosa
di nuovo in questa direzione?
Per lo meno sulla carta, esistono
disposizioni che, se ben utilizzate, potranno rafforzare l’Europa. Ma
sopravvivono i soliti “difetti europei” che rendono la strada da percorrere
ancora lunga. In particolare, rimane un’esasperata e pesante ingegneria
istituzionale che rende il congegno dell’Unione eccessivamente macchinoso.
Sul fallimento del Trattato
costituzionale ha inciso pesantemente l’esito del referendum in Francia nel
2005, che ha irrimediabilmente bloccato la Costituzione. Da cittadino francese
come ha vissuto quel momento?
Personalmente ho creduto a questo progetto e
ho votato a favore del Trattato. Ma l’esito negativo della consultazione
francese e olandese ha avuto davvero un effetto letale sull’idea di
Costituzione europea.
Si parla spesso di euroscetticismo.
Questa disaffezione, secondo lei, dipende da un difetto strutturale di un’Unione
Europea troppo complessa e poco democratica oppure incidono anche le difficoltà
congiunturali di un periodo di crisi indiscutibilmente difficile?
Entrambe le cose: l’elenco che lei ha fatto
coglie esattamente tutti i punti critici della fase attuale. Sicuramente oggi
non c’è ostilità diffusa nei confronti dell’Europa: la cornice europea è stata
oramai assimilata, per lo meno nella maggior parte dei Paesi. La gente “si è
abituata” all’Europa. Ma ci sono anche forti dubbi, alimentati da una
percezione spesso distorta dell’operato dell’Unione. Ci si interroga sul
futuro. Si dubita sulla possibilità di costruire un’Europa sociale. E spesso
non ci si rende conto dei meriti dell’Ue.
Questa diffidenza verso il potere
riguarda solo l’Europa?
No. In realtà si inserisce in un malessere
democratico diffuso, generale. Me ne rendo conto in particolare oggi, in qualità
di Presidente della School of Government: le società odierne hanno forte
tendenza a rigettare, a volte odiare, le elite. Nel caso dell’Europa, a ciò si
aggiunge la convinzione che questa allontani il potere e renda ancora più
oscura la gestione della politica.
Un forte sentimento di antipolitica,
dunque?
Sì, non solo a livello nazionale ma anche
sul piano europeo. Per questo bisogna dare risposte chiare e concrete alla
gente.
Un rimedio?
Allargare il bacino di reclutamento delle
elite, in modo che queste riflettano le diverse componenti sociali ed etniche
delle nostre società. Porre fine alla loro autoriproduzione.
Come colloca l’Unione europea nell’attuale
contesto internazionale?
Innanzitutto oggi, grazie ad Obama, c’è un
grande ritorno dell’America. Ma ci sono anche Paesi emergenti, giovani e
dinamici, che “ci sfidano” su più piani: pensiamo a Cina, India, Brasile, Turchia.
Di fronte a questo mutato contesto geopolitico internazionale, per evitare di
perdere terreno l’Europa deve attrezzarsi.
Si riaffaccia l’immagine di una vecchia
Europa decadente?
In parte sì, abbiamo la tendenza
pessimistica a dipingerci come vecchia gloria in declino. Ma è pur vero che
bisognerebbe trovare qualcosa o qualcuno in grado di ridare spinta propulsiva
al processo di integrazione.
Quindi un leader?
Certamente. Manca quello che è un elemento
chiave: la narrativa. In altre parole, serve qualcuno che racconti ai cittadini
un progetto, un obiettivo... Occorre un leader che abbia la capacità di
incarnare e rappresentare qualcosa per “animare” gli europei.
Ma ciò è reso difficile dal fatto che in
Europa manca uno spazio civico davvero comune e una popolazione davvero unita
da mobilitare...
Questo è vero, l’Europa è un “oggetto
politico non identificato” ed è un sistema totalmente originale. Ma il cantiere
merita di essere avviato.
Come bisogna lavorare in questo cantiere?
Cercando di coinvolgere i cittadini, di trovare un
contenuto e di avviare un processo di identificazione. Insomma, ridare “gusto”
all’Europa
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