Terremoto politico in
Inghilterra, dove il Primo ministro David Cameron deve fronteggiare – dalla
scorsa notte – una delle più grandi “ribellioni parlamentari” sull’Europa mai
sperimentate da un Premier conservatore. La notizia – finora trascurata dai
principali giornali italiani – non è di poco conto.
Ma
andiamo con ordine. Tra malesseri e malumori di matrice euroscettica, è di
pochi giorni fa la proposta di indire un referendum popolare niente meno che
sulla stessa permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. Di fronte a questa
eventualità il governo ha optato per una posizione ufficiale, contraria alla
realizzazione della consultazione popolare.
Ieri
notte Cameron ha vinto in Parlamento con una maggioranza di 372 voti. Ma il
problema (tutto politico) è la sfida lanciatagli dai “ribelli” del suo stesso
partito: 80 parlamentari tories,
infatti, hanno votato contro la posizione ufficiale del governo e – ora –
annunciano battaglia. Si apre, così, una ferita politica non facile da
chiudere.
Il
Regno Unito, si sa, non è mai stato un paese particolarmente acceso da
entusiasmi “europeisti”. Forte
della rete rappresentata dal Commonwealth e della “Special Relationship” con i cugini d’oltreoceano, non ha mai
investito molto sulla casa comune europea, da quando – nel lontano 1973 – vi
entrò a far parte. E, a conferma di ciò, il paese non si è mai convinto di abbandonare la cara vecchia Sterlina in favore dell’Euro.
A
partire dal “I want my money back” della sig.ra Thatcher relativo a questioni
di budget (il Regno Unito – allora – finanziava la Politica agricola comune
senza avvantaggiarsene più di tanto), numeorsi sono stati i momenti ben poco
idilliaci nel rapporto tra la Gran Bretagna e Bruxelles, ma mai come ora la
stessa membership inglese era
stata così duramente osteggiata. Complici – senza dubbio – le incertezze e i
ritardi dall’Ue nella gestione della attuale crisi economico-finanziaria.
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