giovedì 24 aprile 2014

Di Europa si deve parlare/3




Le elezioni europee si avvicinano. E anche la Rai si è mobilitata per sensibilizzare il pubblico su quello che - nonostante bordate demagogiche e toni populisti - è e resta un voto molto importante: il 75% degli atti normativi italiani, infatti, recepiscono decisioni assunte dall'assemblea di Bruxelles. La piattaforma si chiama "Cantiere Europa" (clicca qui), non il solito sito, ma uno spazio aperto nel quale tutti possono lavorare.

In tv, intanto, passando gli spot. Ne abbiamo già pubblicati altri (quello che racconta le origini dell'Ue e quello che parla di un'Europa unita territorio di pace). Oggi è la volta della sicurezza alimentare. Perché tanta è l'attività ordinaria dell'Unione, che costantemente legifera su una serie di questioni che hanno spesso una ricaduta enorme, anche se poco visibile, sulla nostra vita quotidiana. 



mercoledì 23 aprile 2014

Well done



La scommessa (vinta) di un giornale che ha saputo adattarsi al mutare delle condizioni. La strada giusta verso il successo.

sabato 19 aprile 2014

Gufi e rosiconi


Rosicare ossia, stando al vocabolario Treccani, "rodersi, consumarsi per la gelosia, l’invidia". E, ancora, gufo, il cui senso figurato, sempre stando allo stesso dizionario, è quello di "Persona, abitualmente di umore tetro e cupo, che vive rintanata per poca socievolezza". 
Queste le nuove categorie dello spirito inventate dal primo ministro Renzi e dai suoi comunicatori, spin doctor e chi più ne ha più ne metta. 
"Abbiamo smentito gufi e rosiconi, sono felice, avremo un'Italia più semplice, andiamo avanti come treni", ha dichiarato ieri Renzi, cui ha fatto eco - dal suo staff - Filippo Sensi, con questo tweet: "All'improvviso, per un istante, avere davanti agli occhi chiaro tutto #gufierosiconi".
Già perché a quanto pare il giovane premier a forza di cambiar verso non è riuscito affatto a sradicare quella tradizione tutta italiana del guelfighibellinismo, del "o sei con me o sei contro di me".  Anzi, se possibile, l'ha radicata ancora di più, di quanto già non fosse - ad esempio - in epoca berlusconiana, dove il doppiopetto del cavaliere divideva due italie, accigliate e in perenne conflitto (conflitto che, va da sé, finiva per fornire reciproca legittimazione ad entrambe). 
Dunque, niente di nuovo sotto al sole. Anzi, si mettono alla berlina quanti - lesa maestà! - avanzano delle preoccupazioni, sollevano legittime critiche e mettono i bastoni tra le ruote della logica del "fare" (con tre f, ça va sans dire, in onore alla fiorentinità). 
E allora, anche qui, impossibile non notare la continuità con il ventennio berlusconiano, che esaltava il  momento esecutivo dell’azione, a scapito di quello deliberativo, in cui contano anche (e soprattutto) il pensiero ed il confronto.
Ma il sistema democratico, insieme alle sue procedure istituzionali, non dovrebbe - mi si passi la metafora - essere considerato alla stregua di un preziosissimo decanter, necessario a dare ossigeno al buon vino delle decisioni?  Forse.
Ma, a ben guardare, alla fine, non è nemmeno poi tanto colpa di Berlusconi o di Renzi, ma di quel deficit strutturale che l’Italia unita si porta dietro a partire dalla sua nascita.
Un insieme sciagurato di peccati originali, a partire dalla mancanza di un’idea di nazione socialmente condivisa, alla quale si aggiunge l’assenza di istituzioni forti (la stessa assemblea parlamentare nel nostro paese non ha mai acquisito, diversamente da quanto è avvenuto in Gran Bretagna, Francia e Spagna, quel granitico valore, effettivo e simbolico). Tutta la vicenda del paese può essere riassunta in una lunga serie di coppie di opposti: monarchici/repubblicani, laici/cattolici, interventisti/neutralisti; fascisti/antifascisti, comunisti/anticomunisti.
Poi è arrivata la politica contemporanea con le sue forti iniezioni di “personalismo” e abbiamo cominciato a dividerci non solo attorno alle appartenenze politico-ideologiche, ma anche intorno alle persone.
È per tutto questo (e altro ancora) che anche sul fenomeno Renzi si posa una fitta coltre di polvere. Che l'immaturo slang giovanilistico a colpi di tweet non potrà certo spazzare via.

venerdì 18 aprile 2014

Di Europa si deve parlare/2



Le elezioni europee si avvicinano. E anche la Rai si è mobilitata per sensibilizzare il pubblico a quello che - nonostante bordate demagogiche e toni populisti - è e resta un voto molto importante: il 75% degli atti normativi italiani, infatti, recepiscono decisioni assunte dall'assemblea di Bruxelles. La piattaforma si chiama "Cantiere Europa" (clicca qui), non il solito sito, ma uno spazio aperto nel quale tutti possono lavorare.

In tv, intanto, passando gli spot. Abbiamo già pubblicato il primo (guarda), oggi ne pubblichiamo un altro, che parla di paceCon un errore, però: quando vengono citate le parole di Jean Monnet - tra i padri fondatori dell'Europa unita, ideatore della cosiddetta spill-over integration (approccio secondo il quale sarebbe stato vincente una integrazione europea "per settori", articolata lungo un percorso graduale che sarebbe cresciuto nel tempo), le immagini mostrano un altro francese, Robert Schuman, ministro degli esteri francese il cui contributo - tra il 1950 ed il 1951 - fu determinante per la nascita della Comunità europea del carbone e dell'acciaio.  

martedì 15 aprile 2014

Euro: i nobel dicono basta alle strumentalizzazioni

Gli economisti Joseph Stiglitz e Amarya Sen

«Siamo decisamente in favore di un'Europa più unita» nell'ottica di arrivare a una «integrazione politica» e «restiamo fortemente pro-europeisti chiedendo molto di più di una semplice unione monetaria». Così, in una nota, i due premi Nobel per l'economia, l'indiano Amartya Sen e lo statunitense Joseph Stiglitz, hanno precisato le loro posizioni e preso le distanze dalla strumentalizzazione delle loro analisi sull'euro da parte di alcuni politici in Francia e in Europa.

«Siamo molto turbati - osservano i due premi Nobel - dall'apprendere che in alcune prese di posizione politiche, in Francia e in Europa, le nostre analisi sul funzionamento dell'euro sono state travisate. Noi siamo decisamente in favore di un'Europa più unita e di una maggiore integrazione politica. L'unione monetaria - proseguono Sen e Stglitz - deve procedere di pari passo con l'unione di bilancio e l'unione bancaria e auspichiamo che questo si realizzi nei tempi previsti».


Per i due premi Nobel, la realizzazione della moneta unica senza integrazione bancaria e di bilancio e la prospettiva di un'integrazione politica «è stato un errore economico". Ma ciò detto, i due economisti restano «fortemente pro-europeisti piuttosto che anti-europeisti e auspichiamo che si arrivi a molto di più che una semplice unione monetaria».


Sen e Stiglitz sono stati invitati a chiarire le loro posizioni, nel quadro del dibattito apertosi sull'euro e l'Europa in vista delle Europee, da Mario Monti nella sua veste di presidente del Consiglio per il futuro dell'Europa dell'istituto Berggruen. 


Fonte: ANSA Europa (clicca qui)

martedì 8 aprile 2014

Di Europa si deve parlare



Le elezioni europee si avvicinano. E anche la Rai si mobilita per sensibilizzare il pubblico a quello che - nonostante bordate demagogiche e toni populisti - è e resta un voto molto importante: il 75% degli atti normativi italiani, infatti, recepiscono decisioni assunte dall'assemblea di Bruxelles. La piattaforma si chiama "Cantiere Europa" (clicca qui), non il solito sito, ma uno spazio aperto nel quale tutti possono lavorare. Come? 

Aggiungendo una voce al glossario, un video o un evento. Ma anche pubblicando dati legati all'Europa, citazioni e contributi di vario genere. 


Guarda lo spot del Parlamento europeo: 
Verso le elezioni europee (ma lo spot non convince)

Guarda anche:
Il sex appeal dell'Ue






venerdì 4 aprile 2014

Renzi e la politica passe-partout


Questa storia del Veneto fa riflettere. Non tanto per il folklore di qualche esaltato o per le rivendicazioni più o meno pittoresche. Ma per quello che c'è dietro: al netto della messinscena del carro armato, occorre riflettere su un malessere diffuso, di una terra abituata ad elevati livelli di produttività che si ritrova, oggi, a far fronte ad una contrazione del numero delle imprese e di attività di famiglia. Un disagio profondo, di un intero territorio. Cui servono risposte.
Mi viene allora in mente un comizio di Matteo Renzi al quale ho assistito in passato, risalente al periodo delle primarie del 2012. Incuriosita dall'ascesa del giovane sindaco fiorentino, sono andata ad ascoltarlo quando - a bordo del camper - girava la penisola. Idee e promesse mirabolanti, per carità! Chi può mai essere contrario al rinnovamento, alla volontà di ricambiare una classe dirigente da troppo tempo inamovibile? Chi non vorrebbe, ancora, la modernizzazione del paese? Ma mai, in quelle parole, una specificità, mai un riferimento alle problematiche di un territorio. One man show dal forte sapore di marketing e artificio, un format ripetuto secondo copione in lungo ed in largo per l’Italia, sempre uguale a se stesso, anonimo. Amici, il Grande Fratello e chi più ne ha più ne metta. Lo show che funziona, che fa presa, ma niente domande, niente interazione. Niente dibattito.
Bordate anticasta, strizzate d’occhio ai bisogni (sacrosanti) della gente, intervallati con video ruffiani tratti dal (per altro bellissimo) “Non ci resta che piangere”, dalle imitazioni di Crozza e, per parlare di finanza, dalle gag di Cettola Qualunque. Basta così poco agli italiani? E la visione politica? Si strizza l’occhio di qua e di là, per arraffare più voti possibile. E la coerenza?
Leggendo queste righe, alcuni potrebbero vederci la solita (iper)critica intellettualoide, perfezionista e pessimista, alla quale contrapporre l'ottimismo dello "speriamo sia la volta buona" e del "lasciamo lavorare Renzi, è la nostra ultima speranza".
Già, perché sono sempre più coloro, oggi, disposti a firmare al primo ministro un assegno in bianco.
È la logica (e la retorica) dell'ultima spiaggia, pericolosa perché ammette e consente tutto.
Perché, in nome dell'emergenza, si abbassa la guardia e non si va troppo per il sottile. 
Salvo poi, forse, pentirsene.  


Leggi anche:
Non sono (solo) canzonette