Fiscal compact, sì o no? Questo il quesito al quale dovranno rispondere, oggi, giovedì 31
maggio, i cittadini irlandesi. L’Irlanda, infatti, è l’unico paese europeo a sottoporre a consultazione
popolare il patto,
nato 4 mesi fa per tamponare gli effetti traumatici della crisi e per avviare
percorsi di maggiore rigore fiscale.
E
mentre sondaggi e pronostici danno per vincenti i sì, non mancano coloro che
del fiscal compact, così come della troika (Bce, Fmi e Ue) e dell’austerity
farebbero volentieri a meno. Come, ad esempio, Sinn Féin, storica formazione socialista irlandese che –
similmente a Syriza in Grecia – ha fatto dell’anti-austerità la sua più recente
bandiera.
«Ancora
una volta – si legge sulla piattaforma web “vote no 2012”,
creata dal partito proprio in occasione del referendum – i leader europei
hanno fallito e si sono concentrati sui sintomi della crisi più che sulle cause». Nel mirino, dunque, la strategia adottata
dall’Unione per gestire una crisi erroneamente ritenuta, spiegano quelli di
Sinn Féin, prerogativa della periferia dell’Eurozona, curabile solo con
massicce dosi di austerità. «Per accorgersi poi – si legge
– che il problema stava coinvolgendo anche le “core economies” dell’Europa, poste sempre più sotto pressione
dai mercati e sempre più in difficoltà nel ripagare i propri debiti».
Il
governo di Dublino, dal canto suo, promuove la linea della responsabilità. «Non
è un referendum qualsiasi – spiega
in un video messaggio il Primo Ministro Enda
Kenny – e ci sono tre ragioni
per votare sì». Anzitutto, spiega,
il sì è il modo migliore per consolidare il recente flusso di investimenti da
parte delle multinazionali, unica via per incrementare le prospettive
occupazionali dei cittadini irlandesi. E poi, in secondo luogo, aprirebbe la
strada ai fondi messi a disposizione dall’Ue via “European Stabiliy
Mechanism”. «Voglio che il nostro
paese abbia lo stesso accesso degli altri a queste opportunità». Last but
not least, il sì andrebbe ad aumentare
il livello di regolamentazione, in
Irlanda così come nel resto d’Europa, ingenerando maggiore responsabilità in
fatto di bilanci.
Ma
di Fiscal Compact non si parla solo nella verde Irlanda: il trattato occupa
(e preoccupa) altre capitali.
Prima fra tutte, Parigi: Hollande, infatti, non ha mai fatto mistero della sua
volontà di volerne rivedere i contenuti, anche a costo di inasprire i rapporti
con i tedeschi di Angela Merkel, contraria ad ogni modifica all’attuale testo.
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