Perché l'Italia deve dividersi su tutto. Deve sbattersi su tutto. Deve tingere, tutto, di bianco o di nero. Sta nel suo dna accapigliarsi (con se stessa) per ogni cosa. E non importa se sia essenziale o insignificante, fondamentale o secondaria, marginale o centrale. L'importante è dividersi. Non dividersi con la forza del ragionamento e con garbo, ma urlando, facendosi beffe dell' "altro da sé". Ed è successo anche oggi, a proposito dell'oramai già famigerata intervista di Aldo Cazzullo a Francesco de Gregori (Corriere della Sera). Sì, proprio così: per un'intervista. Una sola e semplice intervista di fine luglio. Non entro nel merito (comunque a me non è dispiaciuta) e mi limito a registrare i fiumi di clic e di parole, di hashtag e di post. Come funghi spuntano qua e là commenti, note di sarcasmo, prese in giro. Le parodie si intrecciano alle analisi seriose, le note apologetiche alle accuse. E frotte di giornalisti o sedicenti tali, in cerca di un posto al sole, criticano, commentano, linkano, mentre #DeGregori diventa - in meno di un'ora - trend su Twitter, che nemmeno avesse pubblicato un nuovo album. Il partito "contro l'intervista" ne sottolinea l'inutilità, mentre quello a favore la riprende e la cita urbi et orbi.
Pare strano, ma è lo stesso paese dell'omertà con i poteri criminali, del silenzio ventennale contro il conflitto di interessi, della irresponsabilità civica. E di tanta altra colpevole indifferenza.
Ma - di grazia - con tutte le folle di incapaci, incompetenti e balordi che, in tv come sulla carta stampata, parlano e straparlano, magari occupando posti di potere, perché prendersela con una chiacchierata con un cantautore che ha fatto storia?
Quanta energia sprecata. Quanto inutile fumo che si crede dibattito.
Ed è ancora una volta vero quello che dice il nostro Jep Gambardella, perché la Grande Bellezza è tutta sedimentata "sotto il chiacchiericcio e il rumore".
Viva l'Italia.
Ah, e comunque ha sempre ragione lui:
mercoledì 31 luglio 2013
lunedì 29 luglio 2013
Al centro, un grande cratere
Al centro, un grande
cratere. Intorno, un groviglio, un ammasso di lamiere, calcinacci, vetri,
macerie. Pezzi di cose indefinite. Dentro quell’inferno, dove qualcuno era
stato dilaniato, o esalava l’ultimo respiro, e altri miracolosamente scampavano
alla morte, c’era il loro papà, il giudice Rocco Chinnici.
Appena cinque minuti
erano trascorsi da quando lui aveva dato loro il «buongiorno». Era entrato
nelle loro camere, come sempre, con il vassoio del caffè. Un buffetto sul viso
e il vocione familiare, rimasto ancora a rimbombare tra le pareti squassate
dall’esplosione di un’utilitaria, una Fiat 126 verde, una qualsiasi, ma
imbottita di tritolo: «Arrivederci ragazzi, a più tardi».
Non l’avrebbero mai più visto, con la sua figura
imponente di omone di 58 anni, all’apparenza burbero, ma in realtà «un pezzo di
pane».
Estratto da "Così non si può vivere. La storia mai raccontata del giudice che sfidò gli intoccabili", De Pasquale, Iannelli - Castelvechi editore, 2013
Il 29 luglio del 1983 la mafia uccideva - nel primo attentato con tritolo - il giudice Rocco Chinnici, padre del Pool Antimafia e ideatore del metodo di indagine che mette al centro soldi e conti correnti, tracce - per troppo tempo trascurate - che conducono al potere mafioso, e alla politica, con cui spesso questo è interrelato.
Con lui persero la vita due uomini della scorta, Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, e
Stefano Li Sacchi, il portiere del palazzo dove abitava il giudice.
Aveva chiamato a lavorare con sé, tra gli altri, Falcone e Borsellino e aveva compreso, tra i primi, le trame che, nell'azione mafiosa, univano crimine, potere e affari.
giovedì 25 luglio 2013
Il conflitto di interesse che preoccupa (anche) i conservatori
Lynton Crosby (ph. Rex Features) |
Continua ad agitare le acque della politica inglese il caso Lynton Crosby, ora che - anche tra le fila degli stessi conservatori - comincia a farsi strada l'idea che lo spettro del conflitto di interessi possa danneggiare l'immagine del Primo Ministro David Cameron. E, con essa, la sua leadership.
Crosby - campaign strategist del Premier e, più in generale, adivisor dei Tories, sempre più vicino alla compagine governativa - continua parallelamente a portare avanti il proprio lavoro nella società di consulenza da lui stesso fondata, la Crosby Textor, che vanta numerosi (e potenti) clienti. Tra cui Philip Morris, circostanza dalla quale, in coincidenza con lo stand-by dei provvedimenti governativi sulla regolamentazione del settore del Tabacco, sono nati legittimi sospetti su una azione di lobbying dello stesso Crosby nei confronti del governo (azione, per altro, negata con forza sia da Cameron che dal suo advisor).
Se fino ad ora la vicenda era stata liquidata da Cameron e dai membri della sua maggioranza come una crociata dei labour per ammaccare l'immagine del governo, ora dubbi vengono espressi anche dagli stessi conservatori. Lo fa, in particolare, Paul Goodman, dall'influente blog ConservativeHome (LEGGI IL POST).
"Lynton Crosby dovrebbe prima lasciare i suoi clienti e poi prendersi in carico l'intera macchina della campagna conservatrice", spiega l'ex parlamentare conservatore e direttore di ConservativeHome. "Il problema - continua - è che il confine tra la consulenza sulla politica, che Crosby non offre, e la consulenza sulla strategia, che è, invece, la sua missione nei confronti dei Tories, non è così netto come vuole far credere Downing Street. Le due cose possono fondersi tra loro e finché Crosby avrà dei clienti sarà sempre sottoposto all'accusa di conflitto di interessi".
Pur convinto che, ad oggi, l'azione di lobbying denunciata dall'opposizione non si sia verificata, Paul Goodman è prudente, e guarda alle ricadute elettorali di una simile faccenda: "Finora non c'è stato un impatto sugli elettori, ma non è escluso che non ci possa essere in futuro. A meno che Crosby non lavori a tempo pieno con i Conservatori, c'è il rischio che il caso possa allargarsi". La ricetta, dunque, sarebbe quella di mettere l'advisor nella condizioni di lavorare, per i 15 mesi che precedono le elezioni, solo per i Tories.
La proposta sembra non dispiacere ad altri esponenti del Partito che hanno messo allo studio la soluzione. Anche secondo il sindaco di Londra, Boris Johnson, anche lui affiancato da Crosby nel corso della campagna elettorale, il partito dovrebbe fare qualsiasi cosa per tenersi stretto il consulente. Dove, secondo Goodman, per "qualsiasi cosa" si intende pagare lo stratega tanto da permettergli di rinunciare ai suoi clienti.
"Ricapitolando - conclude Paul Goodman - il partito ha bisogno di Crosby - un professionista di qualità con convincimenti conservatori, rara combinazione. Solo una sua nomina a tempo pieno poterebbe porre fine a queste polemiche".
Guarda il VIDEO: Conflitto di interesse?
Leggi: Crosby, ancora tu.
martedì 23 luglio 2013
Royal Baby e dintorni
La prima pagina del The Sun, che per l'occasione cambia nome...
Il The Guardian si fa in due e nell'edizione web permette ai visitatori repubblicani di ottenere una homepage ... senza notizie sul celebre parto...
Il "Town Crier" (l'ufficiale di corte che, per tradizione secolare, portava - preceduto dal suono di una campanella - le notizie per le strade di Londra) annuncia la nascita del figlio di Kate e William...
I cugini americani Muppets si congratulano...
lunedì 22 luglio 2013
Crosby, ancora tu.
Lynton Crosby, photo Andy Hall |
Significativa anche la data del documento, che si inserisce nelle delicate fasi di discussione - alla House of Commons - della legge, poi approvata, su Social and Health Care. Legge particolarmente tenera con gli operatori della sanità privata.
La faccenda, quindi, si aggiunge alla questione che ha tenuto banco la scorsa settimana, e cioè la presunta azione di lobbying che Crosby avrebbe posto in essere con riferimento al piano allo studio del governo per regolare il settore del tabacco (leggi).
Il problema, dunque, non sta nella attività di consulenza della Crosby Textor (è normale che un advisor faccia il proprio lavoro, a prescindere dalla valutazione di merito degli interessi rispetto ai quali fa consulenza). Il problema sta, piuttosto, nella attuale vicinanza di Crosby a Cameron ed ai Tories, in vista di un sempre più probabile coinvolgimento politico in prima persona.
Questo ulteriore spaccato della sua attività, possiamo esserne sicuri, non contribuisce certo a placare le polemiche.
Leggi l'articolo del The Guardian.
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venerdì 19 luglio 2013
giovedì 18 luglio 2013
Conflitto di interesse?
La questione è questa: Lynton Crosby - campaign strategist del Primo Ministro inglese David Cameron - è alla guida di Crosby Textor imponente società di consulenza. Cliente, tra gli altri, Philip Morris Ltd, gigante dell'industria del tabacco. Proprio in questi giorni è allo studio del governo inglese un piano per regolare il settore del tabacco e proprio in questi giorni dal piano è scomparsa una delle misure più dure, quella relativa al packaging. Conflitto d'interessi? Certamente, spiegano i Labour per voce del leader Ed Miliband, che definisce quanto avvenuto un "disgraceful episode". Cameron, da parte sua, nega e contrattacca, ricordando i legami dei labour con i sindacati.
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martedì 16 luglio 2013
I pasdaran di Miss Italia
Talebani,
oscurantisti, depressi e rancorosi. Sono solo alcune delle definizioni usate da
molti per impallinare coloro che – in primis la Presidente della Camera
Laura Boldrini – hanno salutato come segno di civiltà il no espresso della Rai
con riferimento al vetusto concorso di Miss Italia.
«Miss
Italia era il segno di un'Italia che cresceva, guidata dall'ottimismo e che
aveva voglia ogni tanto di distrarsi», spiegano i difensori della kermesse.
«Altro che civiltà – continuano – la mancata trasmissione televisiva della
manifestazione è lo specchio di un Paese impoverito, depresso e rancoroso».
Come
è possibile vedere un segno di civiltà nell’esposizione di giovani ragazze,
valutate per il “lato a” e per il “lato b”, più che per anima, personalità e
talento? E, soprattutto, quanta povertà culturale risiede nella convinzione che
il corpo della donna sia mero elemento consolatorio, strumento di “distrazione”
dalle durezze e dalle asperità della vita?
Credo
sia giunto il momento che il servizio pubblico smetta di veicolare certa
(deteriorata) immagine della donna. Lo faccia, se crede, la tv commerciale, con
il trash imperante che ha alimentato negli anni. Ma non la televisione
pubblica.
Polemica
sterile? Non credo.
Perché per
distrarsi non serve più far sfilare giovani ragazze in costume da bagno.
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lunedì 15 luglio 2013
I'm an Englishman in EU
La hp di "British Influence" |
Può essere definita una “cross-party initiative” quella di “British Influence” think tank pro-Europa nato su iniziativa di vari funzionari e opinion leader e che sta drenando risorse da una parte e dall’altra degli schieramenti della politica inglese.
Proprio oggi il gruppo ha
pubblicato il suo manifesto, “Better off in a Better Europe”.
Ecco l’articolo che lo
presenta.
Perché, con un piede dentro ed uno fuori, la Gran
Bretagna continua paradossalmente ad essere la nazione più impegnata in un serio dibattito
sull’Unione eruopea e sulle riforme di cui essa ha bisogno.
***
Per oltre 500 anni la Gran
Bretagna è stata un grande attore in Europa. In primo luogo, per garantire che
nessun paese fosse libero, da solo, di determinare aggressivamente il futuro
del vecchio continente; in secondo luogo, per spingere il continente verso i nostri valori
fondamentali di democrazia, libertà e Stato di diritto. Considerando dove era
l'Europa un secolo fa, non si può dire che l’influenza britannica non sia
riuscita in questi compiti. Ma gli isolazionisti vorrebbero farci credere che
la Gran Bretagna non ha voce in Europa ed è, al suo interno, senza amici.
Questo messaggio disfattista è sbagliato e pericoloso. La Gran Bretagna
possiede sia influenza che alleati. Il Regno Unito deve occupare il posto di
guida, e non farsi trascinare. La leadership è in palio: evitarla
significherebbe rinunciare ad una responsabilità nazionale, indegna per la
nostra storia.
I nostri partner in
Europa, in America e nel Commonwealth vogliono la Gran Bretagna continui a svolgere
un ruolo di primo piano in Europa. Ma presteranno sempre meno attenzione se ci
avvieremo verso l'uscita. L'unico modo per ottenere le riforme dell'UE nel che
vogliamo è rimanervi e lavorare, da dentro, per il cambiamento: l'UE non
cambierà nel modo che vogliamo, se ne usciamo. Lasciare l'Unione sarebbe per il
Regno Unito un enorme errore strategico, una completa negazione dei nostri
interessi nazionali. Rinunciare all’Ue metterebbe in pericolo non solo la
nostra economia, ma minerebbe il nostro rapporto politico con gli Stati Uniti e
il nostro impatto sulla Cina, India e le altre potenze emergenti. L’isolamento
ci renderebbe più deboli e più poveri. Il mondo sta cambiando e la capacità
della Gran Bretagna di influenzare l'impegnativo ambiente globale è meglio
assicurata nel quadro di un partenariato con i nostri vicini europei.
Il mondo globalizzato è
ormai tenuto insieme da regole forgiate nelle sedi internazionali. Per
garantire la crescita e creare posti di lavoro, la Gran Bretagna deve sedere al
tavolo dove tali norme vengono decise. Al di fuori dell'Ue, la vendita di beni
e servizi inglesi in Europa significherebbe conformarsi continuamente alle
mutate norme Ue. Con l’uscita dall’Unione, il Regno unito perderebbe in fatto
di sovranità, invece che guadagnarne. Westminster diventerebbe, al pari della
Norvegia, una “fax democracy”.
Quindi dobbiamo rimanere,
per vincere. Tuttavia, sono più che mai necessarie riforme economiche e
politiche, e la Gran Bretagna dovrebbe condurle. Attraverso la creazione di alleanze
con i tanti amici che condividono le nostre opinioni possiamo riformare
attivamente l'Ue e proiettare questi valori in Europa e, attraverso essa, al
resto del mondo. Sarebbe un errore storico di abbandonare questo compito
proprio ora, quando il ruolo della Gran Bretagna è più che mai necessario. È
per questo che il Regno unito dovrebbe adoperarsi per porre in essere le riforme
dall'interno, e non minacciare un “rimpatrio unilaterale dei poteri”; dovremmo
proporre un ordine del giorno per il cambiamento, che offra miglioramenti per
tutti i membri, e non solo un accordo speciale per la Gran Bretagna. Molto si
può essere fatto senza modificare i trattati, ed è questo il modo migliore
per apportare cambiamenti per noi e per i nostri partner europei.
Westminster deve aprirsi e fare il suo lavoro. Qui in Gran Bretagna, il
Parlamento dovrebbe tenere in maggiore considerazione il Consiglio e le altre
istituzioni dell'UE, attraverso un deciso miglioramento sia in sede di esame
della legislazione europea, che nelle attività di comunicazione ai cittadini.
Grazie alla collaborazione con altri governi e parlamenti europei, si possono
raggiungere maggiore trasparenza e responsabilità e cittadini potrebbero essere
rassicurati circa il progresso democratico, in Europa come “in casa”. Ora, i
nostri parlamentari non dispongono degli strumenti e dei poteri necessari per
fare il loro lavoro correttamente, lasciando la responsabilità politica
all'esecutivo e agli “eurofobi”.
Non c'è uscita senza
dolore. La convinzione per cui – con l’uscita dall’Unione –
verrebbe meno il peso della normativa europea è sbagliata: qualsiasi paese al
di fuori del blocco e che desideri operare con l'UE – ad esempio la Norvegia -
deve rispettare tutte le normative commerciali, ambientali e sociali
dell’Unione. L'ipotesi secondo la quale per il Regno Unito andrebbe tutto liscio con un
semplice accordo di libero scambio con l'Ue (e che un tale accordo sarebbe a
costo zero) è sbagliata. Quali sarebbero le implicazioni per i milioni di
cittadini britannici che vivono nel resto dell'UE? Verrebbero probabilmente
meno diritti di assistenza sociale e sanitaria reciproca, nom ci sarebbe più
alcun diritto automatico di permanenza, nessuna libertà di studiare e viaggiare
in tutta l'UE e di costruirsi una casa di riposo al sole. Se la Gran Bretagna
non fosse una base - all'interno dell'UE – per i produttori e gli investitori,
sarebbero così tanti investitori internazionali a sentirsi sicuri di affollarsi
sulle nostre coste? Sarebbe davvero tutto uguale per l'87% per cento dei nostri
esportatori che commerciano con il resto dell'UE?
Quindi, i patrioti immaginano la Gran Bretagna in un’Europa riformata, mentre gli isolazionisti
vogliono uscirne. È una battaglia
tra ottimisti e pessimisti, tra il futuro e il passato. Tra la realtà e
la fantasia.
Leggi anche:
Nebbia sulla Manica: chi è (veramente isolato)? (sito internet "Isituto di politica")
venerdì 12 luglio 2013
Non sono io!
In Belgio non sembrano intenzionati ad abbassare la guardia sulla spinosa questione web&privacy. Dopo lo spot di qualche mesa fa (GUARDA), ecco un altro efficacissimo video. Dove viene mostrato come non sia poi così difficile appropriarsi dei dati sensibili (in questo caso bancari) che ciascuno di noi mette in rete o comunica telefonicamente. Le conseguenze? Operazioni a proprio nome, fino ad un vero e proprio furto di identità.
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venerdì 5 luglio 2013
Egyptian graffiti
© Ap Photo Hassan Amma |
© AFP |
© Reuters/Amr Abdallah Dalsh |
© Reuters/Amr Abdallah Dalsh |
Sempre sull'Egitto:
Tahrir Square o Piazza della Liberazione
Due anni fa
Graffiti e politica:
Libyan Graffiti
martedì 2 luglio 2013
lunedì 1 luglio 2013
E sono 28
I commissari europei salutano, ciascuno nella propria lingua, l'ingresso della Croazia nell'Ue
I membri del governo croato rispondono al "Benvenuto!"
Ecco l'articolo di Boris Pavelic su Novi List, il più antico dei quotidiani croati (da Presseurop):
Valori
umani comuni – questo è il senso dell'Ue. La pace, la libertà individuale, il
rifiuto della violenza, l'arte del compromesso, lo stato di diritto e così via,
sono questi i valori che maschera la caotica situazione nella quale si trova
oggi l'Europa. Tuttavia anche il caos politico non ha potuto gettare un'ombra
sulla volontà liberamente espressa dai popoli europei: vivere in pace secondo
delle regole comuni che garantiscono la pace e i diritti umani.
Tutto
ciò suona falso? Ricordiamo però come la Croazia ha vissuto fino a oggi, e come
viveva sotto l'impero austro-ungarico. All'epoca i croati avevano poco potere
decisionale, così come nel regno jugoslavo di un tempo. Quel regime, in apparenza
democratico, era solo uno stato di polizia filoserbo. E a che cosa assomigliava
lo stato indipendente di Croazia (Ndh) che è esistito dal 1941 al 1945? Era uno
stato fondato sul genocidio (degli ebrei, dei serbi, dei rom e dei comunisti),
sul razzismo e sul nazionalismo.
E che
dire della Repubblica socialista federale di Jugoslavia? Ufficialmente stato
federale, era in realtà una versione "light" di una dittatura
comunista, un paese senza libertà di espressione e senza libertà di vivere
secondo le proprie scelte. E la Croazia di Tudjman [1989-1999]? Ufficialmente
democratica, in realtà era una "democratura" nazionalista, uno stato
al servizio del saccheggio dei propri cittadini, della dissimulazione dei
crimini e della tolleranza dell'istigazione all'odio. Nessuno di questi Stati
aveva come principio attivo la pace e i diritti dell'uomo.
Per
gli stati membri dell'Ue questi principi sono delle basi. L'Unione europea è la
prima comunità politica che è riuscita ad [aprire le sue frontiere]contenzioso sulla baia di Piran. La cosa più importante non è il denaro, ma la libertà.
In passato Václav Havel, che sapeva raccogliere le sfide impossibili della
politica, ha dichiarato: "L'Europa non si può riassumere in un sacco di
patate". Questa frase assume il suo pieno significato nei Balcani, dove
non abbiamo mai avuto l'abitudine di insistere sui valori. Un atteggiamento
comprensibile, visto che troppo spesso ci siamo sentiti ingannati. Qui questi
ideali sono stati spesso utilizzati per ingannare il popolo.
Ecco
infine un'occasione per cambiare tutto ciò. Accettando le regole dell'Ue,
accettiamo la decisione di rifiutare "l'arbitrario". È necessario
avere fiducia in se stessi per adottare i valori che abbiamo scelto. In futuri
nessuno potrà fare una guerra contro un altro paese affermando di fare il bene
della nazione. Nessuno potrà nascondere i crimini affermando che è meglio così.
Nessuno potrà basare la propria politica sul semplice fatto che "sua
moglie non è né serba né ebrea" [dichiarazione di Tudjman]. E soprattutto
nessuno potrà cambiare le regole a proprio piacimento – ed è quello che sta
cominciando a capire Milanović [il
primo ministro croato].
A partire da
oggi sappiamo quello che è accettabile e quello che non lo è. Per questo motivo
in un'occasione così importante e solenne lasciamoci portare dall'entusiasmo,
ma non abbassiamo la guardia. Ricordiamo il brindisi, pieno di malinconia,
fatto dal grande poeta Ivan Lovrenović nel
2004, in occasione della riapertura dello Stari Most [vecchio ponte] di Mostar:
"Mentre volano le rondini, che giocano con il vento sotto gli archi del
ponte, faccio un brindisi e dico: Eccoci di nuovo".
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