giovedì 10 maggio 2012

Il compleanno (amaro) dell'Europa. Intervista a Gianfranco Pasquino.


















Ha l’aria di chi la sa lunga Gianfranco Pasquino, uno dei più autorevoli politologi italiani, docente di Scienza politica all’Università di Bologna e alla Johns Hopkins University. Uno che, oltre ad averla studiata, la politica l’ha anche fatta (è stato senatore per ben undici anni). E con lo stesso sguardo lucido ci spiega questa Europa, giunta oramai al sessantaduesimo anniversario (ieri, 9 maggio, è stata celebrata la Festa dell’Europa, ricorrenza della Dichiarazione franco-tedesca del 1950, primo mattone dell’Europa di oggi). Un progetto, di questi tempi, in balia di un mare in tempesta chiamato crisi.

“Rifare gli italiani per stare in Europa” è il titolo di un suo recente colloquio pubblico con il Presidente Napolitano. Oggi siamo in Europa?
Geograficamente e giuridicamente sì. E poi il nostro è un paese fondatore, che ha espresso commissari europei di grande spessore. Ma bisogna “saper stare” in Europa. E questo non sempre avviene.

Di chi è la colpa?
Della classe dirigente italiana, che continua a vivere e a pensare l’Unione come alibi per quello che non riesce a fare e come vincolo per quello che non vuole fare. Gli unici che sembrano coglierne le opportunità sono i giovani che – grazie al progetto Erasmus – stanno diventando sempre più europei.

Lei, in qualità di docente di scienza politica, è un esperto di sistemi elettorali e di meccanismi di voto. Come avvicinare l’Ue ai cittadini?
Sono state proposte molte soluzioni, tra cui l’elezione diretta del Presidente dell’Unione. Tutte certamente utili – produrrebbero grande mobilitazione – ma, in questo momento, futuribili.

Esiste anche un problema di leadership. Non c’è proprio nessuno in grado di riportarci al centro d’Europa?
Oggi l’Italia è fortunata ad essere rappresentata da due grandi europeisti: Mario Monti, ma anche Giorgio Napolitano che, se solo avesse trenta anni in meno, potrebbe essere un perfetto leader europeo. O, ancora, Mario Draghi, uomo di grandi competenze, convinto della soluzione europea, ma impegnato in incarichi di natura tecnica. Altri, invece, non sono presenti sulla scena europea.

“Economicamente, geograficamente e politicamente, è inevitabile che la Germania rivesta ed eserciti un ruolo di eccezionale importanza nell’Europa unità”.  Lo scrisse lei nel lontano ‘93 e i fatti sembrano averle dato ragione... 
Effettivamente è così, anche se c’è una certa preoccupazione che i tedeschi dettino le linee politiche e, soprattutto, di politica economica.

Cosa dice a chi teme questo ruolo da primus inter pares della Germania?
Che non c’è nulla da temere. Se un paese ha individuato delle soluzioni efficaci è nell’interesse di tutti prenderlo come riferimento. Imitino – invece che subirlo – questo modello.

Le dinamiche globali hanno sempre condizionato il processo di integrazione europea. Una volta, ad esempio, era l’espansionismo sovietico ad unificare l’Europa. Oggi cosa può svolgere questa funzione?
Non vedo fattori esterni in grado, oggi, di rafforzare l’Ue. Anzi, l’atteggiamento ambivalente degli Usa nei confronti del vecchio continente, incide – rafforzandoli – sui tentennamenti europei della Gran Bretagna. 

Nemmeno l’espansionismo economico e finanziario della Cina?
La Cina rappresenta, piuttosto, un aspetto da affrontare. Ma oggi l’opportunità più grande viene dalla crisi, vera finestra sul cambiamento. 

Le difficoltà odierne finiscono, quindi, per rafforzare quella ‘comunità di destino’ di cui parlava Edgar Morin?
La comunità di destino esiste, ma ci vogliono politici che se ne facciano “predicatori”. Ci vorrebbero persone come Altiero Spinelli, ma anche come Helmuth Kohl e François Mitterand. Lo stesso Tony Blair avrebbe potuto essere un ottimo leader europeo.

Ma...
Ma si è bruciato con la guerra in Iraq. Aveva buone qualità oratorie.

Quindi serve anche un po’ di ‘narrativa’, non bastano bravi tecnici...
Esattamente. Purtroppo il prestigio che raggiungono i predicatori dell’Europa non è elevato. Questo è un problema di cultura politica: in Italia dovremmo capire che essere europarlamentari può essere molto meglio che occupare un posto da sottosegretario a Roma. 

Diletta Paoletti

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