lunedì 24 febbraio 2014

Pari opportunità, il ministero che non c'è. Per fortuna.


Ok, adesso dirò una cosa politicamente scorretta. 
Una cosa per cui in tanti (in tante) storceranno il naso. 
Nel nuovo esecutivo non c'è il ministero per le pari opportunità. E non se ne sente la mancanza. 
Il punto è che la parità è un diritto universale che deve essere difeso da tutti: dal ministro dell'economia e da quello del lavoro, per esempio, che dovrebbero lavorare per ridurre, fino ad eliminarlo, il gap salariale tra i sessi o contrastare il fenomeno del mobbing. Oppure dal ministero della salute, che dovrebbe (come ha fatto in passato) offrire adeguati servizi alle donne e alle loro sacrosante scelte, con uno sguardo attento anche alle esigenze delle donne straniere, nel rispetto della diversità culturale. Ma sarebbe anche il caso che il ministero della pubblica amministrazione vigilasse sul funzionamento di quest'ultima e se davvero le opportunità sono uguali, al suo interno, per uomini e donne. 
Sono quelle che in Europa chiamano politiche trasversali: certi obiettivi devono investire l'azione del potere pubblico nel suo complesso, in tutte le sue ramificazioni. 
Si tratta del cosiddetto "gender mainstreaming": portare la questione di genere - donne, ma anche tutela dei diritti degli omosessuali - al centro dell'azione pubblica. Una strategia per far sì che l'uguaglianza di genere non sia un canale collaterale, accessorio, la cenerentola delle altre politiche, ma ne sia parte integrante.   
Mettere, insomma, un determinato pensiero o una determinata azione al centro della "corrente principale", al centro cioè dei programmi e delle strategie della politica, dell'amministrazione e dell'economia, rendendoli al contempo una prassi ovvia e naturale. 
Molti diranno: eh no, i segnali, così come i simboli, servono eccome. 
E invece non è così. Anzi, spesso non fanno altro che reiterare, riproporre nel tempo vecchi modelli (la società è così e non cambia, serve e servirà sempre un ministero per le donne). 
"Non è un ministro che cambia la società - scrive Rossi Marcelli su Internazionale - la parità di diritti non può essere ridotta a una materia di competenza di qualcuno. Mi suona come se avessimo un ministro dell’onestà o un ministro della democrazia". 
In fondo è un fatto culturale, dove ognuno di noi può (e deve) fare la propria parte. 
Ad esempio i media generalisti potrebbero cominciare a farsi un esame di coscienza. Già, perché il Messaggero titola
"Governo, tra il blu elettrico e rosa shocking, le ministre si prendono la scena",
mentre Repubblica opta per un più minimal ma non meno grave: "otto ministre, tutti i look", con annessa galleria fotografica. 
Ecco, è molto più utile abolire titoli come questi, che invocare imbalsamate iniziative ministeriali. 
Quello che non deve mancare, dunque, non è il ministero, ma la volontà politica di perseguire certi obiettivi. 
In molti (in molte) gridano allo scandalo. 
Ma davvero non si sente la mancanza di un Ministero di serie B, spesso salottiero e che sa tanto di riserva indiana. 

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