sabato 19 aprile 2014

Gufi e rosiconi


Rosicare ossia, stando al vocabolario Treccani, "rodersi, consumarsi per la gelosia, l’invidia". E, ancora, gufo, il cui senso figurato, sempre stando allo stesso dizionario, è quello di "Persona, abitualmente di umore tetro e cupo, che vive rintanata per poca socievolezza". 
Queste le nuove categorie dello spirito inventate dal primo ministro Renzi e dai suoi comunicatori, spin doctor e chi più ne ha più ne metta. 
"Abbiamo smentito gufi e rosiconi, sono felice, avremo un'Italia più semplice, andiamo avanti come treni", ha dichiarato ieri Renzi, cui ha fatto eco - dal suo staff - Filippo Sensi, con questo tweet: "All'improvviso, per un istante, avere davanti agli occhi chiaro tutto #gufierosiconi".
Già perché a quanto pare il giovane premier a forza di cambiar verso non è riuscito affatto a sradicare quella tradizione tutta italiana del guelfighibellinismo, del "o sei con me o sei contro di me".  Anzi, se possibile, l'ha radicata ancora di più, di quanto già non fosse - ad esempio - in epoca berlusconiana, dove il doppiopetto del cavaliere divideva due italie, accigliate e in perenne conflitto (conflitto che, va da sé, finiva per fornire reciproca legittimazione ad entrambe). 
Dunque, niente di nuovo sotto al sole. Anzi, si mettono alla berlina quanti - lesa maestà! - avanzano delle preoccupazioni, sollevano legittime critiche e mettono i bastoni tra le ruote della logica del "fare" (con tre f, ça va sans dire, in onore alla fiorentinità). 
E allora, anche qui, impossibile non notare la continuità con il ventennio berlusconiano, che esaltava il  momento esecutivo dell’azione, a scapito di quello deliberativo, in cui contano anche (e soprattutto) il pensiero ed il confronto.
Ma il sistema democratico, insieme alle sue procedure istituzionali, non dovrebbe - mi si passi la metafora - essere considerato alla stregua di un preziosissimo decanter, necessario a dare ossigeno al buon vino delle decisioni?  Forse.
Ma, a ben guardare, alla fine, non è nemmeno poi tanto colpa di Berlusconi o di Renzi, ma di quel deficit strutturale che l’Italia unita si porta dietro a partire dalla sua nascita.
Un insieme sciagurato di peccati originali, a partire dalla mancanza di un’idea di nazione socialmente condivisa, alla quale si aggiunge l’assenza di istituzioni forti (la stessa assemblea parlamentare nel nostro paese non ha mai acquisito, diversamente da quanto è avvenuto in Gran Bretagna, Francia e Spagna, quel granitico valore, effettivo e simbolico). Tutta la vicenda del paese può essere riassunta in una lunga serie di coppie di opposti: monarchici/repubblicani, laici/cattolici, interventisti/neutralisti; fascisti/antifascisti, comunisti/anticomunisti.
Poi è arrivata la politica contemporanea con le sue forti iniezioni di “personalismo” e abbiamo cominciato a dividerci non solo attorno alle appartenenze politico-ideologiche, ma anche intorno alle persone.
È per tutto questo (e altro ancora) che anche sul fenomeno Renzi si posa una fitta coltre di polvere. Che l'immaturo slang giovanilistico a colpi di tweet non potrà certo spazzare via.

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